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Channel: POETAS SIGLO XXI - ANTOLOGIA MUNDIAL + 20.000 POETAS: Editor: Fernando Sabido Sánchez #Poesía
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SADA WEÏNDÉ NDIAYE [17.352] Poeta de Senegal

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SADA WEÏNDÉ NDIAYE

Senegal. 1939 - 2006
La novela "Un pont de lumière pour le fleuve" de Sada Ndiaye Weindé, publicada por Nouvelles Editions Africaines du Sénégal, ganó el Gran Premio del Jefe del Estado de Senegal en 1999.



Tiempo presente

A Amadou Mourtada Déme, hombre de amor y de paz

Debajo de un árbol un anciano
Exhala de su pipa bocanadas
De recuerdos.

Entre el follaje un ave
Clama por la presencia
De la estación sublime.

Con su hacha humeante un hombre
Recorre a grandes pasos los cielos
En busca
De grutas todavía sin desflorar.

Nadie sino tú
Niño
Tiene tiempo
Para el tiempo presente.
Por la calle cabalgas
Sobre tus quimeras
Ante los ojos extasiados de tu madre
De pie
En el brocal de un pozo
Profundo y sin agua.




Carta anónima

Mi corazón entretejiste
En los anillos de tu pelo
Mi cuerpo traspasaste
Con los dardos de tus trenzas.
Tus ojos son nenúfares en flor
En el lago apacible
Cuando retumba a medianoche el silencio
En el distante campanario de la luna.
¿Vendrás a la hora fría
En que sólo tú apareces?
Con fuerza morderemos
La baya ardiente de la noche
Endulzada con la eclosión de estrellas.

Dakar, 1999





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ROBERTO CARIFI [17.353] Poeta de Italia

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Roberto Carifi 

(Pistoia, Italia, 1948)
Tra le sue raccolte di poesia ricordiamo: Infanzia (Società di Poesia, Milano 1984); L’obbedienza (Crocetti, Milano 1986); Occidente (Crocetti, Milano 1990); Amore e destino (Crocetti, Milano 1993); Poesie (I Quaderni del Battello Ebbro, Porretta Terme 1993); Casa nell’ombra (Almanacco Mondadori, Milano 1993); Il Figlio (Jaka Book, Milano 1985); Amore d’autunno (Guanda, Parma-Milano 1998); Europa (Jaka Book, Milano 1999); La domanda di Masao (Jaca Book, Milano, 2003); Frammenti per una madre (Le Lettere, Firenze, 2007); Nel ferro dei balocchi 1983-2000 (Crocetti, Milano, 2008). Tra i saggi: Il gesto di Callicle (Società di Poesia, Milano 1982); Il segreto e il dono (EGEA, Milano 1994); Le parole del pensiero (Le Lettere, Firenze 1995); Il male e la luce (I Quaderni del Battello Ebbro, Porretta Terme 1997); L’essere e l’abbandono (Il Ramo d’Oro, Firenze 1997); Nomi del Novecento (Le Lettere, Firenze 2000); Nome di donna (Raffaelli, Rimini 2010); Tibet (Le Lettere, Firenze, 2011), Compassione (Le Lettere, Firenze, 2012). E’ inoltre autore di racconti e traduttore, tra l’altro, di Rilke, Trakl, Hesse, Bataille, Flaubert, Racine, Simone Weil, Prévert, Rousseau, Bernardin de Saint-Pierre. Ha collaborato e collabara ai maggiori quotidiani italiani ed è redattore del mensile "Poesia".



Al filo de estos años

El lugar de los cerezos, el pasto diminuto
cuando estaba en un sitio
cualquiera de la infancia, solo
con las mil acciones
arrojadas en los patios y todos, 
aún el árbol de la nuez, 
ofrecen un camino
que nada perdonaÉ
nadie, 
nadie se salvará
al filo de estos años
que arrancan el rostro
y bastará aniquilarse, envejecer
para estar en ese punto
terrible, 
anterior a tu nacimiento.




Por todo el otoño

Tomados de la mano lanzan un arañazo
mientras la mañana declara
cada uno tiene una madre que traspasa
y un secreto bajo el saco, 
por tanto, crecen marchitos
desde una lengua muerta
por el otoño todo, siempre
de rodillas en su dictado
con los años hastiados de los niños
cuando la casa es una tragedia
suspendida en el retratoÉ
luego no desean más, 
sólo aquel punto luminoso
benditos por la vida
hasta el fin
hasta
el fin.

Versiones de Jeannette L. Clariond




La sientes, la puedes sentir
ahora que a mediodía se despedazan las altas chimeneas
y en las canteras un pueblo de tierra es devastado,
la sentirás más cerca que la luz
cuando desciende sobre las sienes y es la muerte
y tú no sabes nada más que volver al vientre de tu madre,
tomas este camino que no guía
ahora que a mediodía el sol es una venganza
y la memoria seca como fango,
avanzarás hasta donde no hay camino
y la miseria resplandece.

Traducción de Ana Lázaro





La senti, la puoi sentire
ora che a mezzogiorno si spezza la ciminiera
e nei cantieri un popolo di terra è devastato,
la sentirai più prossima del lume
quando si abbassa sulle tempie ed è la morte
e tu non sai che ritornare nel ventre di tua madre,
prendi per questa via che non conduce
ora che a mezzogiorno il sole è una vendetta
e la memoria secca come fango,
avanzerai dove non c’è cammino
e la miseria splende. 



Poesie
da OCCIDENTE (Crocetti, Milano 1990)


A occidente

A occidente affondano le navi. Quando?
E’ giusta la voce che racconta il nulla?
scintillano, a volte, ma non è sole
piuttosto un fuoco, un fuocherello acceso nella notte.
Accade a occidente, soltanto a occidente
se danno l’ordine le mani
e comanda il gesto spaventoso.
E’ ora di scendere, degradare laggiù,
verso le nebbie, arrancare se occorre
come morti che cercano l’uscita;
questi sono gli ordini, poi basta.
E’ neve la donna che saluta i marinai,
si scioglierà dietro l’angolo,
si annullerà in segreto,
quando si accende la brace dei ricordi
a occidente è perduto chi non salpa.







Sarà un anno, o due, che hanno portato la notizia.
Uno afferrò il tuo braccio, un altro la mia mano,
insieme afferrammo il legno della morte,
insieme facemmo un fuoco nel giardino
illuminammo tutto, tutto fino al buio.
Sarà un anno,o due, che una voce ci disse è stato,
che un’altra ci disse è primavera,
che una mano ci mostrò la sera
dove respirano le ombre.
Non so da quanto una lacrima entrò nelle parole
e imparammo a scrivere a singhiozzi.





Cenere e sangue. Due parole.
Una per dire la foglia secca, sbriciolata,
l’altra perchè il tuo sangue scorra nelle mie vene,
sorella desolata.




da IL FIGLIO (Jaca Book, Milano 1995)


Inverno

Una lampada, tra noi, una lanterna fredda
febbraio oppure capodanno, tesse qualcosa la tua mano
o forse disfa, rovina qualcosa la tua mano
e tesse. Ch filo, che filo di lana,
che pianto porta la tramontana.
Chi tesse, chi disfa con la sua mano,
qualcuno tiene la lampada,
il sangue dorato della lucerna,
qualcuno è andato e c’è chi torna
con un buio mortale sulla bocca.
Una lampada, tra noi, una lanterna fredda,
narra qualcosa la parola, qualcosa che si consuma.
Chi porta questa parola consumata,
chi parla, chi parla in questa lingua arata.




Quando per te decide il desolato
è giallo questo mattino
restano i tuoi capelli a indicare
perchè qualcuno indossi il tuo vestito
stringa le mani, le accarezzi,
uno inatteso più della morte
quando si arrischia la porta di casa
verso i tralicci coperti di neve
e stanno sospesi nel più desolato
il pane e la brocca,
incontro a un vecchio con le tue iniziali
se la più disadorna delle notti
è la tua cena.



Ciità vecchia

La mano di una donna nei vicoli del porto,
i marinai che vanno via di notte
chiamati da un oceano mortale
sto con le cagne e i contagiati
non so più nulla di chi amo
ma sento un pianto a occidente
quando la luce è inseparabile
dagli occhi dei morenti
e illumina la soglia dell’attesa,
la stanza è rischiarata dai lumi della fine
e cercano riparo dentro un cono d’ombra
quelli che inceneriscono la vita,
che baciano carni uscite dalla febbre,
mostrami la salvezza o la rovina
chiedo allo sconosciuto che non dura,
rasenta i muri della città vecchia
vestito di stracci e di sconcezza...
non sai che siamo scintille di miseria,
non sai chi mi ha mandato?





La luce declina ma durano le cose
trascorro gli anni vicino al lume
perché un angelo ama le luci basse
e va dagli esiliati
è scritta, dice, sopra un lenzuolo sporco
la pena da scontare,
l’ora già dichiarata
prima che venga un legno a benedire
e ti perdoni una testa pendente
un’ombra incoronata
se amerai sotto le rosse mura,
dice l’angelo e la luce
è una coperta bianca sl mio letto.






D’inverno entra nelle case
una segreta minaccia,
una manciata di gelo nelle stanze.
Il vino e il pane sulla tavola,
sulla tovaglia un’ombra,
nella luce fioca cresce l’attesa
che dilania.
Fuori la neve calpestata
non sai se dal fuggiasco,
il viandante braccato dal destino
o l’Angelo che torna
con la salvezza in pugno.



da AMORE D’AUTUNNO (Guanda, Milano 1989)

Esatta è la parola
che viene a noi dal bene,
che afferra come la mano del destino
e piega le ginocchia
e l’uno all’altra ci abbandona.
Se resta un’ombra, amore,
non sarà l’ombra del peccato
ma quella che protegge dalla luce estrema,
che custodisce lo sguardo di chi ama.
A volte il tuo viso muta,
un fragile tremore bacia le tue labbra:
soltanto il bene si mostra così,
nella minuscola piega della pelle,
nel battito sottile dello sguardo.
Il male non ha rossori,
nulla lo lascia impallidire
e si nasconde.





In questa notte nuda di parole
come un angelo cancelli il mio dolore
nella grazia tremante del tuo sguardo.
Anche se questo esilio mi apparterrà per sempre
la tua dolcezza è un’anima,
un lampo acceso nel destino,
una carezza deposta nel mio cuore
più forte del vento solitario
che vi respira dentro.
Lo so che un’ombra ci separa,
che questa luce è fragile
come certi lucignoli che scuote
la brezza leggera d’autunno,
ma il tuo sorriso forse l’ha scritto Dio
nel mio destino.





Ora ti parlo, assente, come se fossi qui
nella luce che bacia questo foglio,
angelo che non avevi un nome,
che forse indovinavo in certe primavere,
che già sentivo in fondo al cuore
quando Dio mi accarezzava nella notte,
tu che non concoscevo, di cui sapevo l’esistenza
da quella mano misteriosa
che mi mostrò la gioia più grande
custodita nel dolore,
tu che mi doni in un fragile sorriso
la vertigine
che solamente danno la bellezza e il bene
lascia che ti chiami amore
semplicemenete, così, come colui che prega
chiama amore Dio
e lo ama di più perchè assente.



Chi piange, campana, nel lento rintocco,
che cielo tramonta sul tuo campanile,
il rosso è di sangue
o così si colora l’amore morente?
Tu sola conosci, campana, il canto dolente
che l’angelo intona
quando di sera abbandona chi ama
all’abbraccio del nulla,
ma dimmi se l’angelo piange
nel lento rintocco
oppure è soltanto il mio cuore
che piano si spegne.



Ti prego, campana, non dirmi le ore
del mio solitario abbandono
quando l’inverno declina
a un sole lucente di morte.
Non dirmi dell’angelo il viso
perduto nel tempo di un altro,
ora che un sole vorrebbe fiorire
e muta si spegne la vita
nell’ultimo raggio.



Passasti con quella luce in pugno,
dissi: "Non so, so molto poco dell’amore.
Giù c’è un abisso, lo conosco bene".
Tu mi prendesti per la giacca,
metà del mio viso era già ombra.
Abbiamo corso, volato qualche volta.
Di certo ci sono foglie secche,
qualcuno le calpesta,
stridono in fondo al cuore.
Di certo la stanza è un rettangolo d’angoscia
e il buio completa la sua opera.
Ogni tanto sprofondo nel cappotto,
accelero il passo come fossi atteso.
Più spesso una voce mi precede. Sono in ritardo,
penso, hanno già chiamato!
Allora vorrei che mi afferrassi per il bavero,
che mi tirassi via, dove c’è luce.



Novembre

dove una mano stringe le altalene
e uno sguardo si nasconde
e spia la nostra gioia
di poche ore
quando gettiamo una promessa
nel destino
che accarezza la fronte
e ci disperde
tra le ombre nude d’autunno.




Eppure, amore, corri come un bambino
e lasci il tuo sorriso nell’azzurro,
corre nel filo la tua voce
e accarezza gli angeli malati,
i libri dove imparavo
la cenere del tempo.
Lontano alberi sottili, un’ombra scheletrita
che aprile dona a questo sguardo
di povera anima caduta
tra soffitte di bambole e trenini.
Dentro mi resta un soldatino,
un ussaro di stagno
che mi addormenta sul cuscino.



Lo sai, amore, che mi congedo in fretta,
che tocco terra con troppa leggerezza,
che ho un destino nelle tasche vuote
e un angelo spoglio che di sera
mi piange livido sul petto.
E passo sotto le mura di novembre
con un messaggio da portare
non so né a chi né dove,
scritto a singhiozzi come una preghiera,
e vo quasi fratello nella notte
guardando ombre sorvegliate,
certi lumini accesi
e l’occhio spento di anime perdute.



Amo quelle madonne consumate,
le creature perse in un esilio,
talvolta a un angolo di strada
mi rattrappisce un’ombra sconosciuta.
Salve, le dico, sorella mia nel gelo!
E vado, e vado
con un tremore antico nella penna,
con un singhiozzo stretto nella mano
e so che un brivido di neve
mi bacerà la fronte.



Notte, nella quale ti vidi giacere
quando l’estate devastò il suo mare,
quando nel sasso ti dettero un nome
e calò su di te il mio lenzuolo
tessuto di pianto,
quando il tuo occhio patì per il mio
e verso di noi avanzò
uno stormo di ore cadute,
quando appesero il pendolo che separa
e un uccello rapace beccò fino al cuore.




La luce, di notte, contiene il tuo povero scialle,
le fragili guance colpite,
domando di te alla penombra
risponde un cammimo baciato di sangue.
Chi mai ti depone nel palmo del più devastato,
chi mai ti abbandona allo sguardo
del primo esiliato?
Domando di te al muto animale,
nell’occhio gli gronda l’estrema stagione,
risponde un uccello di neve
e si scioglie in un brivido il canto.
Chi mai ti racconta di me,
chi mai ti rammenta il mio nome
nel regno dei non più nominati?




da EUROPA (Jaca Book, Milano 1999)


Ma tu, l’Europa,
tramonti con gelido sguardo
sei carne e macello
ragazzi ti bruciano in petto
si amano per quanto stranieri
sei terra lasciata morire
nel gorgo dell’acqua
ti piangono addosso
capelli di cenere
sei anima senza ritorno
nell’occhio scagliato contro la terra
il tuo sole si spegne
nella bocca ferita delle tue sentinelle
nel gravido sonno
della cagna guardiana.




Dormono con occhi nella palude i morti.
Uno promette amore,
dispone la bocca al bacio,
si avventa su di te.
Un altro chiede di te,
nel cavo dell’occhio legge il tuo destino.
Dormono, nel tuo letto di foglie, i morti.
Uno prepara la mano alla carezza,
il tuo viso si scioglie nel palmo della mano.
Un altro abbandona il tuo giaciglio,
promette una voce alle tue labbra.
Dormono, i morti, nel tuo cuore.





Per quale cammino ti credettero pronta?
a quale dimora ti destinò il guardiano?
Decise la mano che ti abbassò le palpebre,
l’altra che ti vestì a festa,
che avresti incontrato altre madri,
diviso con loro l’attesa.
Chissà se vedesti il mio candelabro
acceso di notte in un lume di pianto,
la veglia che mi portò fino a te,
a metà del cammino.
Tra verande sbiancate dal sole
l’anello ti afferrò le dita
il giorno che ti vollero sposa
e la bestia ringhiò
nelle braci del mio candelaro.





Il giorno che ti spensero gli occhi
e domandammo pane allo straniero
e tu guardasti verso il nulla,
il pugno stretto nelle mani,
il giorno che brancolò nel buio
l’ultimo infermo
fino al tuo cuore
con l’anello che fu per sempre mio,
il giorno che mi dicesti
ecco l’anello che fa vivere i morti
e venni morto al tuo giaciglio.





Abbiate questo gelo,
queste mani abbandonate al verme
che confonde il tempo,
del Qui non resta che un timbro soffocato,
l’Ora singhiozzeranno in pochi,
c’è una marmaglia cieca
che geme nel mio sonno
abbiate questa barca rotta
che remano i miei giorni.





Promisi alla gelida sorella
la fedeltà degli invisibili,
misi dei fiori alla finestra
per festeggiare il nulla,
tu mi parlavi di notte
in un petalo di rosa,
parlavi al cuore
che batteva a stento
mi mostravi una luce
nemica del giorno,
sulla tua pietra disegnai un occhio
in cerca del mio
alla finestra un sopracciglio
l’innamorato ricciolo dei morti.





Ti abbandonai nell’occhio
che logora la fiamma
e ti promisi, madre, il mio respiro
quando la cera dei tuoi giorni
qualcuno sciolse goccia a goccia
mi dichiarò perduto un Indicibile
quando misero fiori alla finestra
perché nulla fiorisse altrove
e dal silenzio si mossero i guardiani
incespicando labbra nella pietra,
le nude stelle dell’addio
radunò in un rantolo la bocca.





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DANIELA ATTANASIO [17.354] Poeta de Italia

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DANIELA ATTANASIO

Daniela Attanasio. Poeta. Nacida en Roma (Italia).

Ha pubblicato cinque libri di poesia: La cura delle cose (Empiria 1993), Sotto il sole (Empiria 1999, Premio Dario Bellezza, Premio Unione Scrittori Italiani), Del mio e dell'altrui amore (Empiria 2005, Premio Camaiore), Il ritorno all'isola (Aragno 2010, Premio Penna, Di questo mondo (Aragno, 2013). Sue poesie sono presenti nell'Almanacco dello Specchio, Mondadori 2009 e nell'antologia Nuovi Poeti Italiani 6, Einaudi 2012. Dal 2007 cura la rassegna annuale di poesia Teramopoesia. Come critica ha collaborato con quotidiani e riviste letterarie.

Premios

Premio Dario Bellezza, Premio Unione Scrittori Italiani, Premio Camaiore, Premio Penna




LAS HORAS MERIDIANAS

A quién debo dar gracias
por este ancho cielo de luz que de mañana
vence cualquier escándalo privado
y me encamina sobre un terreno
cultivado de prácticas divinas.

Plantada como un árbol en el patio
en mí da fruto la idea de curación de la condena
y miro el gato
adormecido en el fulgor del sol,
los ojos como hendiduras.

El gato permanece en un futuro quieto
sin llenar la espera del sueño
y no conoce otro diseño
si no el del alimento y el amor.

¿Hacia quién debo alzar la mirada
por estas vívidas horas?, ¿qué haré después
cuando la sombra haya ahuyentado al gato
y yo me desarraigue de mi patio?

Traducción de Yolanda Ibáñez





LE ORE MERIDIANE

Chi devo ringraziare
per questo cielo largo di luce che a mattina
sconfigge ogni scandalo privato
e m’incammina sopra un terreno
coltivato a pratiche divine.

Piantata come un albero in cortile
in me frutta l’idea di guarigione dalla condanna
e guardo il gatto
appisolato nell’abbaglio del sole,
gli occhi stretti lavorati a taglio.

Il gatto se ne sta in un futuro fermo
senza riempire l’attesa del sonno
e non conosce altro disegno
se non quello del cibo e dell’amore.

A chi devo levare lo sguardo
per queste vivide ore, che cosa farò dopo
quando l’ombra avrà scacciato il gatto
e io mi spianterò dal mio cortile?





Da: Il ritorno all’isola, di Daniela Attanasio



Risveglio

Questa mattina uscendo dal sonno
ho visto entrare dai vetri della finestra una luce fredda
simile all’incedere di una compagna risentita e severa.
Qualcuno allora mi spieghi perché la mia finestra,
nei risvegli di luce calda, è Gerusalemme e la sua Moschea
Gerusalemme e la sua Porta, Gerusalemme e il Getsemani.
Sembra non ci sia spazio né aria per i miei risvegli:
o nel freddo fondente dell’alba, così vicino al dolore,
o nel calore del sacro che non tocca la verità dei miei
pensieri.
Luce e voce della vita passano senza mai collidere. 



Commiato

Un molo di cemento / dente forte.
Un binario di metafore secche
poche parole di commiato.
Coraggio e dolore insieme
qualcosa di simile
alla poesia.
Nell’aria fluttuava un gocciolare freddo.
Bagnava capelli e spalle, sull’acqua spezzava
piccole lame di vento, un’increspatura
come di labbra disgustate da tanto inespresso dolore.
«Va – t – en, va – t – en…»



Una forma nuova

Un nome, un’idea e ci perdiamo
scivoliamo fuori liquidi,
prendiamo forma nuova -
una forma nuova dell’idea, del nome
il tuo sorriso come un pieno nella vita
come un filo d’erba che scivola fuori dalle labbra.
La nuca è lucida, nera
la luce si spande in una vasca d’acqua
simile a un fiore. Per una breve incoerenza
io sono sola con il silenzio che diventa la testa
che diventa il respiro.
Sono già l’altro
l’altra idea, l’altro nome.



Nata

Niente s’è spezzato.
Nata.
E sono ancora dentro quella
nostalgia di vita che è una nascita.



Da: Lei, la voce
Ti conosci ma non abbastanza per fronteggiare il terrore di
un cielo
troppo scuro sopra la tua testa e di un blu
troppo profondo per essere semplicemente mare.
Dentro o dopo c’è un bianco accecante – tu lo chiami amore



*



da tutti i tuoi mali d’amore nasce sempre qualcosa,
tocca la primavera di aprile scolpita sulle foglie
i voli frastagliati degli uccelli, le rondinelle
ma il tempo non è mai un compagno, ti lascia sempre
indietro.
Da un punto fermo vedi le case che non hai abitato
uomini e donne che non hai conosciuto
spiriti dell’età passati prima o dopo



*



sono da qualche parte le tue mani, infilate nel taglio della
giacca
fredde della neve caduta in un improvviso scroscio d’acqua
sopra la tua città di nero catrame. Sono mani pronte a
congiungersi
- malgrado il gelo di un inverno così poco mediterraneo -
mani sottili e nodose, due libere associazioni lanciate sulla
carta
dei numeri e delle possibilità
e poi cadute strette sul selciato di una chiostrina



*



se nella luce che fioriva hai cominciato a maledire il mondo
il centro del tuo dolore si è allargato come una goccia d’olio
nell’acqua
come una macchia d’inchiostro -
una cosa non vista, persa tra i libri della tua stanza
se hai imparato a maledire il mondo mentre la luce che
fioriva
ti sfiorava la pelle
quella luce non ha neppure riscaldato il poco amore
conservato nel tuo cassetto della malinconia
maledicendo il mondo sei ritornata al dolore dell’infanzia
quando anche la spina di una rosa sanguinava in silenzio.











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PIER LUIGI BACCHINI [17.355] Poeta de Italia

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PIER LUIGI BACCHINI

(Parma, 29 de mayo de 1 927 - Medesano, 5-1-2.014) fue un poeta italiano.

Nacido en Parma, donde vivió hasta 1993, vivió en las estribaciones de Medesano. Hizo su debut en el escenario de la poesía italiana en 1954, con la colección Dal silenzio d'un nulla.

Bibliografía:

Dal silenzio d'un nulla, Milano, Schawarz, 1954
Canti familiari: poesie, Roma, De Luca, 1968
Distanze, fioriture, Parma, La Pliotta, 1981
Visi e foglie, Milano, Garzanti , 1993
Scritture vegetali, Milano, Arnoldo Mondadori Editore , 1999
L'ultima passeggiata nel parco (romanzo), Parma, Monte Università Parma Editore, 2003
Cerchi d'acqua: haiku , Milano, Garzanti, 2003
Contemplazioni meccaniche e pneumatiche, Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 2005
Canti territoriali, Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 2009
Poesie, Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 2013.




INSECTOS NEGROS Y DE ORO

Tomamos el té en el jardín. Pero no fue siempre así.
En aquel jardín soleado,
de color, enardecido, salpicado de agua al atardecer,
entre aquellas emanaciones cálidas, agradables
para nuestros cuerpos, y muchos vuelos sigilosos de tibias mariposas
antes de la noche, hemos debido –con la cabeza gacha,
con las miradas escurridizas– escuchar un lamento
detrás de la persiana,
sin poder soportarlo –por todos lados
también tras los árboles más frondosos, bajo el olmo,
en cada habitación,
era necesario ir al occidente de la casa,
detrás, para no oírlo. Pero no se podía
estar lejos, y se volvía cada vez
alrededor de los jardines
entre los invisibles perfumes, vibrantes de insectos negros y
 de oro
cerca los ornamentales globos de mirto, los orondos geranios
para no alejarse de aquella muerte
que de repente dio casi un grito
y así venció. Y la mujer (digna de este nombre)
que estuvo durante demasiados pocos años
junto a nosotros, y manifestó la dulzura de la madre
y la palabra de la serenidad con su conciencia,
llamó entonces a todos,
saludó a algunos con los ojos, a otros con los labios
y se volvió pálida y la sentimos de repente
muy lejana.

Traducción de Encarny Romero





INSETTI NERI E D’ORO

Prendiamo il tè in giardino. Ma non fu sempre così.
In quel giardino assolato,
colorato, fremente, spruzzato d’acqua verso sera,
tra quelle emanazioni calde, piacevoli
per i nostri corpi, e molti volti felpati di tiepide farfalle
prima di notte, abbiamo dovuto – col capo chino,
con gli sguardi sfuggenti – ascoltare un lamento
dietro la persiana,
da non sopportarlo – dappertutto
anche tra gli alberi più folti, sotto l’olmo,
in ogni stanza, bisognava andare a occidente della casa,
dietro, per non udirlo. Non si poteva però
starsene lontani, e si ritornava ogni volta
attorno alle aiuole
fra gli invisibili profumi, vibranti d’insetti neri e d’oro
presso gli ornamenti globi di mirto. I grassi gerani
per non allontanarsi da quella morte
che all’improvviso diede quasi in grido
e così vinse. E la donna (degna di questo nome)
che fu per troppo pochi anni
insieme a noi, ed espresse la mitezza della madre
e la parola della serenità con la sua coscienza,
chiamò allora tutti,
salutò chi con gli occhi chi con le labbra
e divenne pallida e la sentimmo in un tratto
lontanissima.




Attimo 

Immemorabile è il tempo 
che su queste colline 
il vento scuote i germogli.



Nell’andito 

Dopo che tutte le peonie rosate 
hanno lasciato cadere i petali sul ricamo 
è più alto il silenzio.



Ondicella palustre 

Un cerchio d'acqua s'apre. 
Ora un altro. 
Non più.



Secondo equinozio 

Amo i giardini incolti, 
un vento immobile vi abita. 
Piccola statua di pietra.



Sentiero 

C’è tempo prima delle stelle. 
Dopo la curva dei gelsi 
mi siedo e le aspetto.




Non doratevi, già segretamente aurate

Non doratevi, già segretamente aurate,
non arrugginite, non raggrinzite
quanto un piccolo pugno,
disseccato; restate sempreverdi
finte immortali, simili all'altamente profumata
- e nemmeno sfrangiata
di fronte al vento, coriacea e lucente -
alla regale magnolia, con i semi amaranto;
o alle conifere montane
le antiche cenozoiche.
Non diventate trasparenti, sempre più,
telari lisi
già scarse nel mese d'ottobre,
con nostalgie infinitesimali, un po' indeterminate
come i fischi d'un treno distante
e collegi là in fondo, dentro la foschia
- spazzini sotto muretti erbati,
irrealtà, quasi un disturbo visivo
che nell'intimo spaventa
con l'immagine talvolta
che la materia
d'improvviso scompaia.

Ma tutte le sfumate gradazioni
i delicati intrecci,
gl'inudibili crepitii particellari
sarebbero stati inutili: lo sperpero
d'un Dio, la sua noia.
E ogni minimo sgretolamento, tipo il trascurabile uragano,
il ferro sciolto nel magma,
dicono la fatica
dall'origine
e la tremenda concretezza del mondo,
- senza via di scampo per noi.






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CARLO BETOCCHI [17.356] Poeta de Italia

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Carlo Betocchi

Carlo Betocchi (Turín, 23 mayo 1899, - Bordighera, 25 mayo 1986) fue un poeta y escritor italiano.

Entre los poetas herméticos se considera una especie de guía moral. Sin embargo, en contra de ellos, basado sus poemas en los procesos analógicos que evocan significados, pero en un lenguaje directo, el realismo y la tensión moral.

Betocchi ha sido comparado con Giovanni Pascoli, de Umberto Saba, en el crepúsculo, en Clemente Rebora; pero en el siglo XX su camino es original, fuera de las corrientes literarias.

Principales obras 

Poesía

Realtà vince il sogno , Firenze, 1932 ;
Altre poesie , Firenze, 1939 ;
Notizie di prosa e di poesia , Firenze, 1947 ;
Un ponte nella pianura , Milano, 1953 ;
Poesie , Firenze, 1955 ;
L'estate di San Martino , Milano, 1961 ;
Un passo, un altro passo , Milano, 1967 ;
Prime e ultimissime , Milano, 1974 ;
Poesie scelte , Milano, 1978 ;
Poesie del sabato , Milano, 1980 ;
Antologia personale , Padova, 1982 ;
Tutte le poesie , Milano, 1984 .

Ensayos

Una hermosa selección de ensayos y discursos, Confesiones menores, editado por S. Albisani, salió en Florencia en 1985.





Mi corazón está débil, esta noche
como el sol que lento sube
por los techos, y profundas son mis culpas;
¡ay! el hombre, como siempre se desvanece.

Como siempre, mientras él se desvanece,
queda el horizonte inefable
y el inmenso destino, para cualquiera,
del existir, ¡inmenso!

Lo que dejamos atrás
se arrastra hacia la oscuridad,
lo que nos espera es incomprensible
incluso el momento que pasa.

Yo estoy: ¡aquí me tienes! yo soy,
solo en este débil momento,
lo que decide: yo soy
la línea que divide
el pasado del futuro.

Momento eterno del ser
que te estabilizas en un instante,
eres tú mi gracia, decide.

Traducción de Patricia Corigliani





Il mio cuore è debole, stasera,
come il sole che lento risale
i tetti, e profonde sono le mie colpe;
ahi! l’uomo, come sempre tramonta.

Come sempre, mentre lui tramonta,
resta l’orizzonte ineffabile
e sterminato il destino, a chiunque,
dell’esistere, sterminato!

Ciò che lasciamo indietro
si strascica verso il buio,
ciò che ci attende è incomprensibile
compreso il momento che passa.

Io sono: eccomi! io sono,
solo in quest’ora debole,
ciò che decide: io sono
la linea che divide
il passato dal futuro.

Momento eterno dell’essere
che ti stabilisci nell’attimo,
sei tu la mia grazia, decidi.







DELL'OMBRA

Un giorno di primavera
vidi l'ombra di un'albatrella
addormentata sulla brughiera
come una timida agnella.

Era lontano il suo cuore
e stava sospeso nel cielo;
nel mezzo del raggiante sole
bruno, dentro un bruno velo.

Ella si godeva il vento;
solitaria si rimuoveva
per far quell'albero contento
di fiammelle, qua e là, ardeva.

Non aveva fretta o pena;
altro che di sentir mattino,
poi il suo meriggio, poi la sera
con il suo fioco camino.

Fra tante ombre che vanno
continuamente, all'ombra eterna,
e copron la terra d'inganno
adoravo quest'ombra ferma.

Cosí, talvolta, tra noi
scende questa mite apparenza,
che giace, e sembra che si annoi
nell'erba e nella pazienza.

Echi ermetici insieme a dinamiche pascoliane, invece (anche il De Robertis parlò di Pascoli a proposito di Betocchi), son presenti nella prossima lettura, estratta da Altre poesie del 1939: Il dormente. Questa magnifica lirica, direi di gusto elegiaco, mette in contemporaneità temporale la memoria personale di un sonno vissuto lungo un fiumiciattolo con la medesima esperienza vista dall'alto, da altri ignoti occhi. Dunque non sappiamo se egli fosse al momento sveglio o vegliante. Il poeta, insomma, vede se stesso addormentato dall'esterno, attorniato anzi avvolto dalla vita cosmica, nella quale infine si sciolgon le sue forme corporee. E anche qui, notiamo, è costante la presenza simbolica delle tenebre come pace eterna e logica conclusione - sentita con soave naturalezza. L'ombra in Betocchi non si disgiunge mai dalla sua istintiva radiosità.



IL DORMENTE

Io mi destai con un profondo
ricordo del mio sonno.
Dalla mia veglia guardavo
il mio corpo dormiente,
era giorno, era un chiaro
giorno silente.

Quando le sere d'estate
esalan profumate
tenebre sul fiume, un uomo
giace sopra la riva
addormentato dal suono
dell'onda viva.

Passano sopra il suo viso
l'ombre del paradiso
lunare, tra i flessuosi
salici e il lieve vento;
celano gridi amorosi
l'erbe d'argento.

Vento e prati fluttuando
muoiono con un blando
fiotto e là, presso il suo corpo,
come a un'isola viva
da un mare languido e smorto
il flutto arriva.

Presso il suo corpo si rompe
quell'ineffabil fonte;
e il suo respiro leggero
di creatura che dorme
scioglie nell'etereo cielo
azzurre forme.

Parlavamo di radiosità ma ancor meglio, per definire in toto la poetica betocchiana, sarebbe adottare l'opinione del De Robertis: "È un idillio scontento con solo le apparenze della felicità". Se ciò in generale calza alla sua produzione, questo non toglie, però, la sonorità impressionistica dei seguenti versi, aventi una forma metrica particolare: sono quattro cinquine di settenari con rime ABCBC, DEFEF, eccetera. Una vera dimostrazione di buone capacità tecniche, grazie alla quale ci sentiamo liberati in un sol colpo da tutte le contorsioni intellettualistiche moderne. Qualche precisazione lessicale per coglierne meglio il senso: la ''pruína''è toscanismo per ''brina''; ''crócei'' vuol dire ''color del croco'', ovvero giallini; ''dolca'' sta per ''morbida''. La poesia s'intitola Pastorale.




PASTORALE

Al vento alla pruina
l'acqua rovina al bosco,
la bestia s'inacerba,
e s'arrovella al fosco
giorno, e s'indura, l'erba:

col cuor dove già inalba
come scialba lanterna
l'inverno, il pecoraro
col flauto amaro sverna
mandrie dal passo avaro.

Ed ora andranno i prati
di belati e di rosei
musi fiutanti incolmi,
e neri gli olmi ai crocei
albori, e bianchi i sommi

crinali: e dove inconca
la neve dolca al vento,
diran d'avere udita
della smarrita al tempo
d'estate ancor, la squilla.

Si diceva poc'anzi che l'ombra, la luce (come speranza ed anelito all'Assoluto) e la forte adesione del poeta al vigore della vita - una vita fatta di sacrificio e sofferenza: il fiume della vita, diremmo, rubando al Verga una sua famosa definizione - erano le caratteristiche di base della poetica betocchiana. Ma lo sono certamente anche gli uccelli, i tetti delle case a mo' di simbolo riassuntivo dell'operosità umana vista come derivazione divina (vedansi la famosa Dai tetti e Fraterno tetto), e lo sono pure la Luna, quasi onnipresente in quanto propaggine divina, come ancora le stagioni, sentite con animo arcaico. Bene: nel prossimo componimento, Un dolce pomeriggio d'inverno, potremo osservare un ulteriore elemento molto caro al poeta: le farfalle... o meglio la metamorfosi dei pensieri in impalpabili esserini policromi, avviluppati dalla luce di un sogno d'eternità.




UN DOLCE POMERIGGIO D'INVERNO

Un dolce pomeriggio d'inverno, dolce
perché la luce non era piú che una cosa
immutabile, non alba né tramonto,
i miei pensieri svanirono come molte
farfalle, nei giardini pieni di rose
che vivono di là, fuori del mondo.

Come povere farfalle, come quelle
semplici di primavera che sugli orti
volano innumerevoli gialle e bianche,
ecco se ne andavan via leggiere e belle,
ecco inseguivano i miei occhi assorti,
sempre piú in alto volavano mai stanche.

Tutte le forme diventavan farfalle
intanto, non c'era piú una cosa ferma
intorno a me, una tremolante luce
d'un altro mondo invadeva quella valle
dove io fuggivo, e con la sua voce eterna
cantava l'angelo che a Te mi conduce.

Le rondini andrebbe analizzata ed approfondita con l'ausilio di troppo tempo (anche perché proprio del tempo essa tratta) ma di tempo - ovvero di spazio - qui non ne vogliamo occupare materialmente troppo, per evitare di tediarvi. Essa costituisce, noteremo tuttavia, un esempio del Betocchi ermetico (cioè del Betocchi filosofo tra virgolette). Cosí, semplificando di molto le cose, suggeriremo che le rondini sono dei cerchi di vita inconsumata e dunque perfetta - il cerchio rappresentava per molte delle società mediterranee antiche la completezza, la perfezione della linea ininterrotta coniugante divinità, morte e vita -; le rondini sono, quindi, degli animali sacri o addirittura delle anime in senso cattolico, poiché godono del tempo assoluto, quello trascendente estraneo all'immanenza cronologica. Questi cerchi-anime, dunque, in quanto riassuntivi della vita e della ultravita, calano, guidati dal suono di campane divino, sui nostri cieli terreni e, assorbite le esperienze della vita materiale umana, tornano all'onda antica (cioè all'eternità).




LE RONDINI

Le rondini, bei cerchi della vita,
intatti e non vissuti,
senza che il tempo azzurro li soverchi,
son tempi in cui non vige una misura
sommersi dentro un suono di campane
che li innalza e li abbassa,
che forano e trapassano,
per ritornare fertili di vita
e privi di ricordi, a l'onda antica.

Ancora la luce riflessa della luna si appropria della visione urbana del poeta, che sente i propri pensieri sulle attese e gli eventi come diventar di vento. È un paesaggio dell'anima, questa Ora ad altre speranze, robusta e un tantino stonata pennellata ermetica dai nodi sintattici quanto meno difficili da intendere, se non propriamente irrisolvibili eccetto che intuitivamente. Comunque, per me che sono umbro (e al di là dei difetti del componimento), è troppo forte la tentazione di vedere, tramite gli occhi del poeta, gli antichi tetti delle nostre case, tanto simili a quelli toscani.




ORA AD ALTRE SPERANZE

Ora ad altre speranze ecco si leva
non veduta la luna
e il cieco sguardo mio di cruna in cruna
delle finestre mena

come a spente farfalle,
ed alle assurde mura
trasumanate come aperta valle
da un riflesso di luna.

E le attese e gli eventi
nell'alzato mio volto errano un poco
sostando e dubitando eguali al fioco
sospirare dei venti,

e in me è tutt'uno
l'animo e questo moto, incerto e bruno.

Il verbo ''giocondare'' (''giocare con giocondità'') potrebbe esprimere già di per sé la bambina sensibilità di questo poeta, che perfino Pier Paolo Pasolini definí come il possessore di una "Gioia tutta profana" coincidente con quella sacra. Questo verbo entra ad illuminare una deliziosa descrizione, in Piazza dei fanciulli la sera. Qui il labbro di pietra è l'orlo di una fontana di paese ricoperto di alghe, e il labbro dell'acqua è la superficie dello specchio acqueo della medesima. Solo che il cielo sceglie l'acqua per trasferirsi, aggiuntiva gioia, alla piazzetta festante, mentre l'ambigua luna può attendere senza turbare la serenità dei fanciulli.




PIAZZA DEI FANCIULLI LA SERA

Io arrivai in una piazza
colma di una cosa sovrana,
una bellissima fontana
e intorno un'allegria pazza.

Stava tra verdi aiole:
per viali di ghiaie fini
giocondavano bei bambini
e donne sedute al sole.

Verde il labbro di pietra
e il ridente labbro dell'acqua
fermo sulla riviera stracca,
in puro cielo s'invetra.

Tutto il resto è una bruna
ombra, sotto le logge invase
dal cielo rosso, l'alte case
sui tetti attendon la luna.

Ivi sembrava l'uomo
come una cosa troppo oscura,
di cui i bambini hanno paura,
belli gli chiedon perdono.

Incredulo davanti alla guerra? Forse piú: la rondine, solitamente latrice di speranze celesti, passa nel vuoto lasciato da alcune case frantumate e questa volta porta all'uomo soltanto rassegnazione davanti alla sua stoltezza. Una rondine nel vuoto della disperazione: Rovine, del 1947.




ROVINE

Non è vero che hanno distrutto
le case, non è vero:
solo è vero in quel muro diruto
l'avanzarsi del cielo

a piene mani, a pieno petto,
dove ignoti sognarono,
o vivendo sognare credettero,
quelli che son spariti...

Ora spetta all'ombra spezzata
il gioco d'altri tempi,
sopra i muri, nell'alba assolata,
imitarne gli incerti...

e nel vuoto alla rondine che passa.

Tutta la suggestione e la forza dei suoni sta nella prossima lirica, scritta nel 1932: L'ultimo carro. Per quanto riguarda il lessico, si tenga presente che l'aggettivo ''chiotto'' significa ''prudente'' e che il ''cavallo manritto''è quello che sta alla destra della pariglia trascinante il carro.




L'ULTIMO CARRO

Prima che l'alba sfarfalli,
dentro un suono di sonagliere
l'ultimo carro a cavalli
passa, al grido del carrettiere.

Terribilmente giocondo
è questo suon di sonagliere
squillante nel buio mondo
al grido aiuh! del carrettiere.

Sveglia chi deve svegliare,
il can del giardino di rose,
il gallo che sa cantare,
le lavandaie, belle spose.

Entrando nella farina
sveglia il pane, fin dentro il forno,
squillasse in campi di brina,
di pane riempirebbe il mondo.

Passando a una casa gialla
che l'uomo dice inabitata
turba un'occulta farfalla
dentro un solaio addormentata.

Va il suo cavallo mancino
con una zampa chiotta chiotta:
sovra il lastrico, argentino
il cavallo manritto schiocca.

L'ultimo carro a cavalli
passa al grido del carrettiere,
con strepitosi sonagli,
avanti l'alba, in strade nere.

Della solitudine a mio avviso è il manifesto, o meglio la sintesi, dell'identità versificatrice ed esistenziale di Carlo Betocchi. La lascio come ultimo esempio e, prendendo a prestito la verace definizione della critica Laura Cioni, ve la presento come un tesoretto costruito di Parole limpide.



DELLA SOLITUDINE

Io non ho bisogno
che di te, solitudine;
alta, solenne, immortale,
dove piú nulla è sogno.

In questo deserto
attendo l'implacabile
venuta d'un'acqua viva
perché mi faccia a me certo.

Se trionfa il sole
o la luna impassibile
il loro lume fluisce
come vuole nel mio cuore.

E godo la terra
bruna, e l'indistruttibile
certezza delle sue cose
già nel mio cuore si serra:

e intendo che vita
è questa, e profondissima
luce irraggio sotto i cieli
colmi di pietà infinita.










LUCETTA FRISA [17.357] Poeta de Italia

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Lucetta Frisa

Lucetta Frisa nació en Génova, 1949. Vive en Génova. Es poeta y traductora. 

Entre sus más recientes libros de poesía:

La follia dei morti,(Campanotto,1993) Notte alta,(Book,1997), L’altra (Manni,2001), Disarmare la tristezza (Dialogolibri, 2003), Siamo appena figure(GED,2003) e Se fossimo immortali(Joker,2006). Ha tradotto Emily Dickinson, Henri Michaux e due libri di Bernard Noêl (Artaud e Paule,2005 e L’ombra del doppio,2007),entrambi per la collana  I libri dell’Arca delle edizioni Joker, di cui è curatrice insieme a Marco Ercolani. 

Colabora en varias revistas como La mosca di Milano e La clessidra ed è presente in antologie, tra cui Il pensiero dominante (a cura di Davide Rondoni e Franco Loi, Garzanti,2001) Trent’anni di novecento di Alberto Bertoni (Book,2005) Altramarea a cura di Angelo Tonelli (Campanotto,2006) La poesia erotica contemporanea (Atì,2006) e Voci di Liguria ( a cura di Roberto Bertoni, (Manni 2007). In coppia con Ercolani, scrive libri di storie immaginarie e non, come Anime strane (Greco&Greco 2006).

Con sus cuentos para niños trabaja con el diario Avvenire. Entre varios premios, siendo el más reciente el Lerici Pea-2005 Inédito.




Antigua amiga mía, mi canción
elevo por ti en esta ligera brisa
que parece separar y en un acento
une instante lápiz alma voz
e ilumina mi sonido entre el ruido.
Tú lo has dejado en el aire suspendido
un don airoso del aire elevado
que la palabra crece en su vacío
incendia sangre y hojas como fuego.
Es la ley del canto. Todavía escucho
hoy, en el antiguo aire, nuevos aires.
Sólo excavando en el sonido del tiempo
con las palabras juego, siembro viento
en el alma ardo y que me escuches invento.

Traducción de Patricia Corigliani





Antica amica mia la mia canzone
levo per te in questo vento breve
che sembra separare e in un accento
unisce attimo penna anima voce
e illumina il mio suono nel rumore.
Tu l’hai lasciato nell’aria sospeso
un dono arioso dall’aria levato
che la parola cresce nel suo vuoto
incendia sangue e foglio come fuoco.
È la legge del canto. Ancora ascolto
oggi, nell’aria antica, nuove arie.
Solo scavando nel suono del tempo
con le parole gioco semino vento
l’anima ardo e che mi ascolti invento.





Ogni respiro, attimo, ora, hanno scadenze

Ogni respiro, attimo, ora, hanno scadenze
come lo stretto viaggio in mezzo al vuoto
del pendolo e il mio cuore è bianco aperto
a ogni ritmo e ritorno. Si corrompe
la freccia dritta in ottuse parabole
se la gravità della terra precipita
il volo dei più alti uccelli. Io voglio
espandermi voglio un centro che sia
tutte le cose qui e ovunque prima e dopo
e non mi tocchi l’alternarsi dei poli,
che la sinistra dolce sia alla destra
- mani serene delle statue egizie. Aria
e totale energia nel sorriso che conosce le legge
e i meccanismi. Ma io per centro chiedo
una radice, punto solare con braccia
senza tempo infinite e finite e splenderanno
tutte le cose insieme in cerchi e cerchi
di continui universi dove vivo da sempre
senza saperlo.






Ancora solo, dentro la tua folla

per E. Neil

Ancora solo, dentro la tua folla
di parole e cose, ellissi del delirio:
ti avvolge una spirale, un soffitto di stucchi
che tu scavi in un giro d’occhi voraci.
Ogni solco, incisione, è sprofondare:
tutte le cose sono labirinti e il centro
la voragine che succhia spazio.
Non discendere più. Ci sono viaggi
anche diritti da risalire, linee calme, sopra
il barocco ansioso della tua mente. 






Penelope

Si disfa il giorno nella notte che s’annoda di nuovo al mattino
(al canto del gallo, chissà).

Un filo che vado legando a tutto quello che vedo
e cuce strappi e buchi notturni
per alzarmi più leggera:
lo lego e sono
lo slego e muoio.

La tela non sarà rete dove s’impigliano Proci e uccelli selvatici
né casa insidiosa di ragno per lente morti di farfalle.
E’ gioco invisibile trama
che imparo a scoprire poco a poco
- cancello e ripeto le falle, le assenze -
e mi vedo sola filare
a volte scuotendo la testa parlando
al mio filo (un po’fune catena vela ala)
felice di non aspettarti. 




Il coraggio

Seguendo le inclinazioni del coraggio
lascia la serpe avanzare la parola rannicchiarsi
e a corpo a corpo
bàttiti dritto con l’ombra
nel supplizio meridiano.
E spegni tutti i rumori –
che l’aria sia tesa come lama di guerriero,
vergine per le tue labbra assorte.
Il bianco sarà traversato da una freccia rossa.

Rapido è il rito del coraggio. 





Gli sposi Arnolfini, Van Eyck

In silenzio lo specchio mostra figure rovesciate
se è vero che siamo qui a bisbigliarci qualcosa
di molto elegante scandendo sillabe leggere
dove l’eco si cancella sulle labbra e pure le mani
appena sfiorandosi, non osano farsi domande.
Se questo fosse il sogno di un’altra coppiaun
mistero cortese che invisibile soffoca
nel quieto disegno delle cose per svelarsi
solo di là, nell’ardore di gesti dissennati
in ombre e profili capovolti. Ma è così
che ci immagina il nostro desiderio. 









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FERNANDA ROMAGNOLI [17.358] Poeta de Italia

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Fernanda Romagnoli 

(Roma, 5 -11 -1.916 - Roma, 9 -6 -1,986) fue una poeta italiana.

Se graduó en Roma especializada en piano, terminando al mismo tiempo en la escuela secundaria estudios sociales de psicología educativa.

Poco antes del final de la Segunda Guerra Mundial, en 1943, compuso su primera colección de poesía titulada "Capriccio". Con su familia se escapa al campo el año siguiente, de regreso en la ciudad natal dos años más tarde. Se casó con un militar Vittorio, lo que le permite vivir en varias ciudades italianas (Florencia, Pinerolo, Caserta) hasta los años sesenta. Es en estos años, su segundo trabajo, "Red Cap" en 1965. 

Enfermó de hepatitis durante la guerra,  en 1977 se complicó la enfermedad, todavía se las arregla para publicar una última colección de poesía, hasta que se apagó en el hospital romano de San Eugenio, en 1986,  de edad de 70 años.

Obras 

Capriccio, Roma 1943
Berretto rosso, Roma 1965
Confiteor, Guanda, Parma 1973
Il tredicesimo invitato , Garzanti, Milano 1980

Póstumas

Mar Rosso. Il Labirinto , Roma 1997
Il tredicesimo invitato e altre poesie , Scheiwiller, Milano 2003





DOLOR A DOS

Sí, nosotros nos detestamos con amor
en esta luz de abril que nos acusa
abiertamente de todo eso que está en nosotros
efímero, o en vilo, o ya gastado:
de arrugas y de ojos que pierden esplendor
y de todos los desgastes registrados
en nosotros a nuestra espalda, con engaños:
mientras nos preocupábamos de los críos,
de las cosas, y el mundo ocupaba los años
de la existencia – salvo alguna fisura
del alma.

De repente con angustia
te asomas a la calle, las casas: intentas
aferrarte al semblante de las cosas.

Yo no me muevo: tengo en el regazo
este dolor a dos, este misterio
de una llama que más se agita en cantos
cuanto más se apaga. Y en el silencio “intenta
a deshacer lo ya hecho”
te reto –aprovechando
que me das la espalda, para sonreírte.

Traducción de Encarny Romero




DOLORE A DUE

Sì, noi ci detestiamo con amore
in questa luce d’aprile che ci accusa
apertamente di tutto ciò ch’è in noi
non durevole, o in bilico, o già guasto:
di rughe e d’occhi che perdono splendore,
e di tutte le usure registrate
su noi a nostra insaputa, con inganni:
mentre ci affannavamo con creature,
con cose, e il mondo ci occupava gli anni
dell’esistere – tranne qualche feritoia
per l’anima.

Di repente in una angoscia
ti sporgi verso la via, le case: tenti
un ormeggio nel volto delle cose.

Io non mi muovo: ho in grembo
questo dolore a due, questo mistero
d’una fiamma che più s’agita in canti
quanto più affioca. Ed in silenzio “provati
a disfare il già fatto”
ti sfido – approfittando
che mi volgi la nuca, per sorriderti.





SI TÚ SUPIERAS

Tú, que sin sospecha eres mi amigo,
no oses buscarme. Si tú supieras.
Este amor que se abre a traición
dentro de mí – esta navaja,
afilada en tabernas de insomnio
y de vergüenza, sepultada en la almohada
atormentada de los sueños – te busca.

Me embriago con el golpe que te asestaría
a la altura del alma. Me embriaga
pensar cómo el rostro
te palidecería, y perdida
la honradez de la mirada.
Clara mirada – ofuscada.
Animo – mordido. Por mi culpa.
Tu Eva, convertid

Traducción de Encarny Romero





TU SAPESSI

Tu, che senza sospetto mi sei amico,
non osare cercarmi. Tu sapessi.
Quest’amore che s’apre a tradimento
dentro di me – questo coltello a scatto,
affilato in cantine d’insonnia
e di vergogna, sepolto nel cuscino
a tormento dei sogni – cerca te.

M’inebrio al colpo che t’assalirebbe
all’altezza dell’anima. M’inebria
pensare come il volto
ti si farebbe pallido, e smarrita
l’onestà dello sguardo.
Chiaro sguardo – offuscato.
Animo – morsicato. Per mia colpa.
Tua Eva, divenuta, tuo serpente –
io – battezzata!







E fra tutti che parlano – lui ascolta.
Fra tante risa cerca di sorridere.
Inetto, benché arda,
a sostenere quel peso di splendori,
si sente grato se qualcuno casualmente
lo guarda. Quando in cuore
si smarrisce atterrito: sto per piangere!
E all’improvviso capisce
che siede un’ombra al suo posto,
che – entrando – lui è rimasto chiuso fuori.

(da: Fernanda Romagnoli, Il tredicesimo invitato, Scheiwiller, Milano 2003)












ANTONIO SANTORI [17.359] Poeta de Italia

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Antonio Santori 

(Montreal, catorce de marzo de mil novecientos sesenta y uno - Civitanova, 30 - 08 - 2007) fue un poeta, profesor y ensayista italiano.

Nacido en Montreal (Canadá) de padres italianos, regresó a una edad temprana al territorio de la Marche, donde, entre las localidades de Fermo, Macerata, Civitanova Marche y Sant'Elpidio a Mare ha vivido durante el resto de su vida.

Se graduó en Filosofía en la Universidad de Macerata, fue profesor de Ciencias Humanas de las escuelas secundarias públicas de Camerino y Fermo y al SSIS de 'Universidad de Macerata. Fundó y dirigió el Centro de Investigación de "Laboratorio de Poesía", dedicado al estudio de la literatura europea y activo 1993 a 2007; Laboratorio, Santori ha ocupado en los últimos años talleres y reuniones con los principales poetas italianos contemporáneos. Entre los participantes activos en los talleres Santori en esos años se incluyen, entre otros, el poeta y el filósofo Massimo Gezzi y dramaturgo César Catà, su discípulo y luego por el resto de la vida de Santori.

Fundó y dirigió la casa "Ediciones El Albatross" que publican y, entre 1998 y 2001, el "Laboratorio" literaria mensual, una de las primeras revistas italianas telemáticas dedicadas a la literatura europea contemporánea.

Murió en la ciudad de Civitanova el 30 de agosto de 2007, a los 46 años, de un cáncer de pulmón.


OBRA

Poesía

Infinita , NCE, 1990.
Albergo a ore , NCE, 1992.
Saltata , NCE, 1998.
La linea alba , Marsilio, 2007.
Antonio Santori. L'opera poetica , Antologia a cura di Cesare Catà e Angela Bianchi (forthcoming).

Ensayo

La poetica del dialogo , in Annali della Facoltà di Lettere e Filosofia, XVIII, Editrice Antenore, Padova, 1985.
Quei loro incontri… (i Dialoghi con Leucò di Cesare Pavese) , Antenore 1985 ("Premio Pavese" 1993).
Verso la meraviglia d'oro. Dono e incoscienza in Nietzsche , Il Lavoro Editoriale, Ancona, 1990.
Dall'Infinita al dialogo , in "clanDestino", 3 / 1990.
Chi sono io, chi sei tu: l' uomo, la donna, il rapporto con l'alterità dal Medioevo a noi , Andrea Livi Editore, Fermo, 2003.

Teatro 

Come Dio
Il sogno di Dante
Nel Voltarsi

Canción

Alberi volanti. La storia di Bosko e Admira , musica di Bip Gismondi testo di Antonio Santori





Esta noche he soñado contigo, tú
eras blanco y me quitabas
el maquillaje con las manos.
Manos de luna, manos
de ladrón. Al despertarme
he sentido en mi
un aliento, como si
otro viviese
en mi aliento. Así que
he pensado en nuestro
plan, en la cuerda enganchada
al clavo del balcón,
como previsto.
Fin del laberinto, fin
del destino.
He dicho: no puedes
haber perdido el hilo
de la conversación. El guión
había que leerlo, no recitarlo.

Traducción de Encarny Romero



Stanotte ti ho sognato, tu
eri bianco e mi toglievi
il trucco con le mani.
Mani di luna, mani
da ladro. Svegliandomi
ho sentito in me
un respiro, come se
un altro mi vivesse
nel respiro. Così
ho pensato al nostro
piano, al filo appeso
al chiodo del bancone,
come previsto.
Fine del labirinto, fine
del fato.
Ho detto: non puoi
aver perso il filo
del discorso. Il copione
andava letto, non recitato



da Saltata


Saltata. Sono stata
saltata. Una sera
lui parlerà di me,
dirà: peccato, non averla
mai incontrata,
e berrà vino di Francia
dimenticando ancora
la mia vita.
Riderà, raccontando
di altri libri e di donne
perdute nell’Oceano.
Non mi rimpiangerà.
Io che potevo cambiarla
la sua vita.
Mi ha semplicemente
ignorata.
Ha scorso veloce
la pagina accanto
(il viso infuriato)
chiudendo di scatto
il libro pregiato
in cui sono nata.

*

Avrei preferito non esserci
mai stata.
Nel vento che mi apriva
(mi inseguiva)
inseguivo un’altra pagina
(nell’aria)
che diventava, come me,
una cosa inviolata,
non necessaria.

*

Eppure avrei potuto cambiare
la sua storia. Improvvisarla.
Dentro di me la gioia, l’intesa
sibillina che ci salva,
dentro di me la voglia
dell’attesa (dentro di me)
dentro di me la nostra storia.

*

Dentro di me.

*

Dentro di me la gioia,
la strada silenziosa
senza porta.
Non andare. Non andare.
Non c’era una volta…

*

Tu insegnavi ai ragazzi
la follia. Forse per questo
ti preoccupavi di fingere.
Sognavi versi afatici,
una piccola libreria
da stringere, un sogno
di metallo, denso di cornici.
Avevi compreso di essere
inaudito, di vivere
come i suoni delle radici
o come il senso della corsa
del cavallo, verso il mondo
immenso. Non avevi amici,
se non i tuoni e le stanze
dove a volte ti creavi,
o il giallo furibondo
negli occhi di Euridice
e la borsa in cui stivavi
rivolte e danze.
Non intendevi essere felice.

*

A volte sognavi di entrare
nella pelle, di entrare
dolcemente, freddamente.
Come la pioggia
che scende dentro il mare.
Perché come il mare
sentivi di essere settembre,
di proteggere l’odore
dell’animale ribelle,
sgusciante nell’acqua luminosa.
Non chiedevi l’amore. Sognavi
di inseguirlo nell’aria
sospettosa della terra del Nome,
tra i silenzi delle cose,
dove un giorno hai dormito
come un colore. […]

*

Per questo mi sognavi.
Mi sognavi distesa
come una donna prima
dell’amplesso. Ero io
l’amore? Ero io l’attesa?
Ogni volta mi sentivi
diversa ma mi chiamavi
con lo stesso nome.
Ero la tua cantina, la tua
discesa. La tua vita,
la tua morte, irrisolta.
Così la mattina ti svegliavi
in difesa della tua sorte.
Del tuo mazzo di chiavi,
delle porte che aprivi
e chiudevi, dei tuoi scaltri
colleghi. Mi lasciavi al di là.
Come una storia noiosa,
come il furto del cuore
degli altri. Al di là di te.
Come una cosa.

*

Come una cosa.
Come le cose
del mondo che rimangono
cose. Cose ignote
e sole. Silenziose.
Tu lo sapevi da sempre
che io non ero là
ma nel dolore
delle cose, delle cose
del mondo che rimangono
cose. Io non ero là,
perché il dolore
è nella pagina piena
di cose, di cose ignote
e sole. Silenziose.
Tu lo sapevi da sempre
che io ero il nome
delle cose, nella pagina
infinita e stretta
su di sé, come una cosa.
Tu lo sapevi da sempre
che io ero là, la vita
stretta su di sé,
la dolorosa[…]

NCE, 1996 (2° ed. I Quaderni del Battello Ebbro-L’Albatro Edizioni, 2000)




da Infinita


I.

Stanotte abbiamo parlato
di gesti diversi,
di possibili creazioni,
immersi nello spazio
udibile, tra i corpi
assorti nel sonno.
Ho respinto l’idea
di un desiderio mai sazio,
che imponga ribellioni,
Tu hai fatto un cenno
con lo sguardo alla ragazza
che ci dorme accanto
e che tenta verso il confine
l’impossibile richiamo.
"Elena rischia di perdersi",
hai detto infine, e il tuo
disegno di donna
si è mosso (già assonnato)
nella luce del faro
che scivolava: il nostro
è stato un sonno agitato.[…]


III.

Ecco la valle: non confonderla
con uno spazio d’intese,
dove il verde e il giallo
formano canali da percorrere.
Senti ancora impensabile
la strada da qui a lì
e i traguardi parziali
che nessuno di noi
ha ancora colto.
Tutto è vulnerabile
per questa via; gli stessi
sguardi che incontrano
animali (in volo o in fuga)
o un volto.


IV.

Cediamo perfino la nostra
distrazione alla conca
dai grandi raggi,
alla tensione di formule
in ascolto, ai nostri passi.
Nascosti dentro i sessi,
ci confondiamo con i giorni
per credere che siano
noi stessi, inventiamo forze
sconosciute per ritrovare
i vicoli, le baracche.
Entriamo con tanti altri
nudi, nelle docce.


V.

Cediamo i nostri giuochi
di marionette ai cunicoli
di sabbia ed erbe
o alle rocce.
Ripetiamo i nomi delle cose
perché intendiamo e
essere tra queste.
E dall’alto senti impensabili
le nostre stesse risposte,
se ciò che si rinserra
senza minacce
noi lo dobbiamo ripetere.
Senti ancora attendere
la voce, mentre hai
tra le mani frutta
di terra e mi guardi
e credi di sorridere.

NCE,1990





da Albergo a ore


L’albergo non ha finestre. Né potrebbe averne, mi pare.
Percorri da anni le buie ringhiere e sali o scendi
gli innumerevoli piani.



CORRIDOIO

Non comprendo ancora
il nostro significato.
Se camminiamo
tra porte
inseguite
da porte,
ripenso (ridendo)
a ciò che siamo.
Tu aspetti il boato,
le fiamme,
l’odore del gatto
bruciato, la nostra
vera sorte.
Io non so dove
ci conduciamo.

*

Forse davvero tavoli
e sedie parlano
un linguaggio
cifrato, oltremondano.
Io non so se il tempo
ha già tracciato
le svolte,
se il cammino
che resta
non sarà illimitato.

*

Sono pensieri, Sara,
che non ti ho mai
confessato.
Ma se camminiamo
sfiorando le braccia
alla donna sudata,
all’omino fissato,
se nel buio inseguiamo
(oltre al gatto)
la traccia
del bambino scocciato
che ruba le scarpe,
puoi pensare anche tu
alla formula usata
per stanare di fatto
l’inquilino assediato.

*

Il cliente è da sempre
sfrattato. Lo dice
il contratto.
Noi possiamo seguire
l’eterna sfilata
e sorridere appena
dei tanti
che non hanno sporcato.
E’ la solita scena
e non ha significato.
I garanti lo sanno
che anche il nostro
sorriso fa parte
del giuoco.

*

Forse davvero dovremmo
fermarci in un unico
corpo abbracciato,
bloccare il trasloco,
produrre dissensi.
Diranno che nulla
è mutato?

*

Sara, che ne pensi?

NCE, 1992




translations



OVERLOOKED

Overlooked. I’ve been
overlooked. One night
he will talk about me,
he will say: what a pity, I
never met her,
and will drink French wine
forgetting my life
once again.
He will laugh, telling
about other books and women
lost in the Ocean.
He will not regret me.
Me that could have changed
his life.
He simply
ignored me.
He quickly skimmed
the page next to me
(fierce look on his face)
abruptly closing
the precious book
in which I was born.

*

I wish I’d
never been in there.
In the wind that opened me
(chased me)
I chased another page
(in the air)
that became, like me,
an inviolated
unnecessary thing.

*

And yet I could have changed
his story. Improvise it.
Inside me the joy, the sibylline
understanding that save us,
inside me the wish
for waiting (inside me)
inside me our story.

*

Inside me.

*

Inside me the joy,
the silent road
with no way out.
Don’t go. Don’t go.
Once upon no time…

*

You taught youths
craziness. Maybe that’s why
you strove to make believe.
You dreamed of aphasic verse,
a little library
to hold tight, a dream
of metal, full of frames.
You had understood you were
unheard, you were living
like the sounds of roots
or the sense of the horse’s
run, toward the endless
world. You had no friends,
but the thunder and the rooms
where you sometimes created yourself,
or the furious yellow
in Euridice’s eyes
and the bag where you stowed
revolts and dances.
You weren’t looking for happiness.

*

Sometimes you dreamed of deep
into the skin, deep into it
tenderly, coldly.
Like the rain
going deep into the sea.
Because like the sea
you felt you were September,
you felt you protected odour
of the rebellious animal,
slipping away in the luminous water.
You weren’t asking for love. You dreamed
of chasing it in the suspicious
air of the land of the Name,
among silent things,
where once you slept
like a colour.

Tanslated by Tania Calcinaro





GIAN MARIO VILLALTA [17.360] Poeta de Italia

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                                                                        © Dino Ignani 


GIAN MARIO VILLALTA

Gian Mario Villalta (Visinale de Pasiano, Italia 1959) es un poeta y escritor italiano.

OBRA:

Poesía 

In dialetto (veneto periferico)

Altro che storie! , Campanotto 1988, vincitore del premio San Vito al Tagliamento (in giuria Zanzotto, Naldini, Turoldo, Giacomini, Guarneri)
Vose de Vose/ Voce di voci' , Campanotto 1995, vincitore del premio Lanciano (in giuria Loi, Rosato, Giacomini, Serrao); ristampato nel 2009
Revoltà, Biblioteca Civica di Pordenone 2003

In italiano 

Traccia, Niemandswort 1982
Limbo, Nuova Compagnia Editrice 1988
L'erba in tasca , Scheiwiller 1992, vincitore del premio Laura Nobile (in giuria Fortini, Luperini, Nava)
Malcerti animali , in Terzo quaderno italiano , Guerini e Associati 1992
Nel buio degli alberi, Circolo culturale di Meduno 2001
Vedere al buio , Sossella 2007
Vanità della mente, Mondadori 2011, vincitore del premio Viareggio nello stesso anno

Ensayo y Crítica

La costanza del vocativo. Lettura della "trilogia" di Andrea Zanzotto , Guerini e Associati 1992
Ha curato: Andrea Zanzotto, Scritti sulla letteratura , Mondadori 2001
Il respiro e lo sguardo. Un racconto della poesia italiana contemporanea , Rizzoli 2005
Ha curato (con Stefano Dal Bianco): Andrea Zanzotto, Le Poesie e prose scelte , "I Meridiani" Mondadori 1999
Ha redatto l'aggiornamento della voce Poesia per l'Enciclopedia Italiana Treccani nel 2007
Ha scritto un contributo su Belli e uno sul verso libero per il 3° volume dell'Atlante della Letteratura Italiana Einaudi nel 2014.
Padroni a casa nostra, Mondadori 2009

Narrativa 

Un dolore riconoscente , Transeuropa 2000 (racconti)
Tuo figlio , Mondadori 2004 , vincitore dei premi Vittorini e Fenice Europa, supervincitore del Napoli, vincitore del “primo romanzo italiano” a Chambery
Vita della mia vita , Mondadori 2006
Alla fine di un'infanzia felice , Mondadori 2013, finalista ai premi Dessì e Fabriano
Satyricon 2.0 , Mondadori 2014






Te he pedido que no hables, que seas
en este verano inmóvil tormenta
copiosa y estéril, negros labios, negra
también la herida de los labios
y carente de sangre, igual
que las salas que habitamos,
que una intacta devastación
habita.
–Es bonito esto –me has dicho– es como
una palabra–
Yo vivía en aquella palabra, era igual
que las palabras posibles, era gris. Era roja
roja tu boca, era presente.
Era un siempre desgarrado por un para siempre.

Traducción de Yolanda Ibáñez





Ti ho chiesto di non parlare, di essere
su questa estate immobile bufera
copiosa e sterile, nere labbra, nera
anche la ferita delle labbra
e priva di sangue, uguale
alle stanze che abitiamo,
che un’intatta devastazione
abita.
– È bello qui – mi hai detto – è come
una parola –
Abitavo quella parola, era uguale
alle parole possibili, era grigia. Era rossa
rossa la tua bocca, era presente.
Era un sempre lacerato da un per sempre.




Da Vanità della mente (2011)


dalla sezione Nel buio degli alberi


*

Si diceva che una festa era stare così,
con le braccia vicine, tutto il mangiare nei piatti,
il buio degli alberi, l’estate piena dei suoi rumori.
“Possiamo farlo ogni volta...”
Dalle parole sapore e parole dai sapori.
Le nuove serate insieme a tavola,
i progetti, le date... ci apparivamo migliori,
gli amici e noi, per prova
nel ricordo del dopo... una prossima volta
in questa prima accadeva, pensata, e pareva ripetersi
come non sarebbe più stata.


**

Posso aggiungere solo che incontro
sullo stradone ogni mattina
i pioppi, e uno per uno
fogliano lenti e insieme fanno il tempo.
Ogni giorno anche loro cambiano,
li indovino nel verde più intenso
(vorrei fermarmi, guardarli uno per uno)
e quando ritorno, ogni giorno, nell’altro senso,
li perdo – e allora penso: passano.


***

Quello che sento diventare è sapore
e distanza che si piega nella mente.
Il tiglio è adesso tiglio veramente,
ogni goccia di pioggia nel suo nitore
è pioggia e goccia infinitamente.

****

Ruotano intorno al noce le cinque case,
la terra dolce arata, la strada alta.
Anche i nuvoloni e il muro di pietre
ruotano dolcemente intorno al noce.
E chi si ferma a comprare dei fiori bianchi
sotto il tendone all’incrocio nel camper
intorno al noce ruota e non se ne accorge.
Viene a incontrarmi, calcolando il metro
del mio passo, la curva dello sguardo
fuori di me, il noce intorno ruotando.



*****

Sono venuto qui a guardare gli alberi
anche se è buio. Vedo come si incurva
la terra e posso raggiungerla
dove l’erba falciata sbianca.
Sono i miei pensieri più antichi
i rami nel buio, la terra guardata.
In pensiero di casa



dalla sezione Vedere al buio

La casa vecchia

La gru andava via con un giro lento dietro i nocciòli.
Era settembre. La casa era quasi finita
e sarebbe rimasta così per sempre,
con i ferri ricurvi in terrazza,
la malta grezza ai lati della scala.

Il rampicante rischiara la parete,
ricopre il muro, la rete dell’orto.
Lo zio era un ragazzo quando è morto.
Poi altre estati calcinarono le vertebre,
inverni gelarono i nervi del grande corpo contorto
di lobie, stalle, tettoie.

Le automobili dalla statale
proiettano a lampi sopra il letto
il negativo delle persiane
prima di addormentarmi.

Inizio sempre da qui, lo sguardo fisso
nel buio: ricostruisco la casa vecchia.
E mi inabisso
con i visi e le mani che si pensano,
proprio quando è il momento di riunire
tutti in cucina, con le voci che feriscono
per proteggere, mentono per salvare.



Da madre a figlio

Le palpebre chiuse, piano, senza stringerle,
che si perda la memoria della luce.
Adesso apri e non guardare niente.
Lentamente trova l’ombra (ce n’è sempre),
trova una linea, un contorno sullo sfondo.
Adesso guardati le mani. Se le vedi,
calcola la distanza che separa
la loro forma dalle sagome più scure:
ora trasforma il vuoto in volume.

Avrei voluto insegnarti un bene grande,
l’acqua che nasce, le nuvole selvagge
sopra i campi profumati dai sambuchi.
Avrei voluto il tempo di conoscere
il mio cuore che ti aiutava a crescere.

Ma non c’è tempo. Lentamente, trova l’ombra,
trova una linea, trasforma in orizzonte
la distanza tra un’ombra nera e il fondo.
Posso insegnarti a vedere al buio.
Non c’è mai tempo, prova adesso, prova.



In pensiero di casa

Unica anche la tua –
chiede – anche la tua –
sofferenza unicamente
perché.
E non si accontenta
di risposte. Deve assestarsi
come osso,
callo calcareo che asseconda
la lenta ripresa del movimento
nella frattura, un dolore che passa
dentro un dolore diverso, diversa postura,
menomazione più lieve e duratura.




dalla sezione Atto unico

*
Ho aspettato la fine della giornata, e la stanchezza
per accostarmi a questa terra
e non ho portato fiori,
perché li ha fatti la terra, i fiori, e se li prenda.
Ti ho portato le mani, le ho posate
su questa terra squadrata, perché le mani
le ha fatte nostra madre e non possiamo renderle.


**
Sanno di cenere le labbra e sabbia
nell’incàvo del sonno, sanno come
si apre tutto e si affonda nella notte
insieme con la casa
muti.
Cosa c’è nella pietra?
Lontane nuotano nuvole –
mani vuotano il cielo. Cosa c’è dentro
la pietra?
Sanno di acqua, le labbra, di pianura
e latte freddo, attesa, indecifrabile scrittura delle stoppie,
sanno come si parla alla pietra,
come la pietra
ascolta.
Nessuno aiuta il nostro dio
a continuare la creazione,
nessuno più lo pesca in fondo al male
con l’anima-uncino: anche uno solo
di questi bocconi risputerebbe: alito Ritorni istriani
e argilla, i semi neri del nostro sonno.
Anche la pietra cresce, una parola
calcarea goccia bianco
su bianco – nessuno aiuta il nostro dio
a scrivere ancora –
e il cielo, l’erba, di che cosa
devo meravigliarmi.




dalla sezione Regione


Generazioni

La pressione dell’erba nuova aggruma il verde
a un centimetro dal suolo, in sospensione.
Così le parole di chi si innamora
formano un nuovo colore
sul parlare comune, delimitano appezzamenti del sentire,
contendono alle frasi il nutrimento.
Così si forma la lingua famigliare,
così cresce e diventa quotidiana
la lingua propria del sentimento
di quegli unici corpi, di quei muri,
quella scansione condivisa del tempo.
La lingua che i figli falciano e disseccano
crescendo, disperdono di nuovo per distrazione,
per la pressione del desiderio, per amore.




Stazione di servizio

Affanno nel fogliame, nell’attesa
della prima sgrondata di piovasco.
Tu che sei sceso dall’auto per pagare
annusi l’aria, alzi il bavero, ti guardi
nella vetrata mentre ti avvicini.
La bandiera tentenna nei tiranti.
Tu alla colonna della benzina
con la faccia controvento di trequarti.
L’uomo prende la carta, l’erba alta
preme sul cartellone con un paesaggio
appoggiato tra il marciapiede e il muro.
Tu e le tue dita che perdono lo schema
delle cifre da imprimere sulla tastiera.
Quando riparti (hai pagato, confuso
– dopo altri due tentativi – in contanti)
l’uomo è rimasto immobile a guardarti
come avresti ripreso la strada con quel sorriso.




Vero viso

Un viso, nell’opera degli anni, quando si compie?
Uscendo dall’adolescenza, quando pare fermarsi
per la prima volta, dopo tante prove e i tentativi
di assomigliare a un parente, o a un amico, falliti?
Oppure quando passati i quaranta anni,
nel peso delle palpebre, nell’esimersi delle labbra,
nella tensione delle narici, il carattere,
le manie, vengono fuori, i vizi, la memoria
che adesso occupa il suo presente?
O quando, prima della devastazione, vi si imprime
l’ultima forma, semplice, riassumibile in poche linee
essenziali, l’effigie, la caricatura?



Sera

La luce si alza verso il cielo sopra le luci
e il buio dolce degli edifici
abbraccia a lungo lo sguardo.
La luce si alza con un respiro
e promette a tutti un segreto, quiete profonda, pianto.
Passano una sull’altra
facce nelle auto che incroci,
le guardi, a cosa appartieni questa sera, a chi parli?
La lingua perduta degli stormi
che alti si adunano nella luce.
La lingua dei perduti per una parola non detta,
per una parola distorta pervenuta all’orecchio.
Per una volta non sia la ragione o la colpa,
chiama tu, pronuncia le parole che più non hai detto.
Non c’è vergogna se trovi nel cielo di questa sera
fiducia in qualcosa che non conosci,
e non la vita che si sogna,
ma qualcosa di tuo nella vita che vedi.
Adesso componi il numero, adesso chiedi.











MASSIMO ROSSI [17.361] Poeta de Italia

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MASSIMO ROSSI

Massimo Rossi nació en Venecia, Italia en julio de 1956, vive en Mogliano Veneto (Treviso), periodista, experto de autógrafos y manuscritos antiguos.

La críticos que enmarcan su poesía en el "Neolirismo". Sus poemas aparecen en muchas antologías, revistas de poesía y Internet.

Ha pubblicato la sua prima raccolta di poesie: Aritmie Metriche; nel 1993 con altri tre poeti l'antologia di poesia erotica: La mano sulla carne con prefazione di Dario Bellezza. Nel 1998 per le Edizioni del Leone ha pubblicato: Minima Poetica e altri versi giunto finalista al premio Ungaretti. Nel 1999 Ha vinto il primo premio al concorso nazionale per testo teatrale Sottopalco. Nel 2001, presso le Edizioni del Leone, ha pubblicato il testo teatrale La sorte dei poeti (o dell’ironia). La sua produzione poetica è riconosciuta dalla critica nel Neolirismo; ne hanno scritto Dario Bellezza, Alberto Cappi, Roberto Carifi, Luciano Nanni, Paolo Ruffilli. Sue poesie compaiono in molte antologie, riviste di poesia e in Internet. Tra il 2000 e il 2002, pubblica sotto pseudonimo due libri di narrativa. Ha tenuto corsi di studio e approfondimento della Poesia per il Comune di Mogliano Veneto (Treviso). Ha scritto articoli per il Gazzettino di Venezia, per il mensile di antiquariato Charta, attualmente tiene laboratori di poesia e teatro per l'Assessorato Politiche Sociali - Reds del Comune di Venezia. E' stato direttore editoriale della Libreria Chiara & Co. Editrice





Con tal que pueda quedarme junto a tí
ser querría tu sueño
ese que al despertar olvidas.


*


Ahora tengo algo mío:
tu hermoso ombligo
punto cardinal del norte
del deseo primordial
icono del placer rebelde
ojo de tu piel
bribón sin pestañas
con una forma de zucchini que tapa
hostería o hotel de cinco estrellas
pequeño frijol saltarín
pequeño diamante jugoso del eros
sobre la corneada azucarada.



da Aritime Metriche 1993

Verrà ancora l’alba, Padre mio
e parlerai illuminando il pioppo :
così lo stagno e il suo meditabondo
castagno, torneranno a nuova vita.
Come Lazzaro affogato nel buio
sconosciuto, inumano, già dovrò
aspettare la morte di una notte
per cogliere la Tua luce divina. 



da La mano sulla carne, 1993

Penso: "nel bene e nel male: io ti amo!"
ma forse più nel male che nel bene. oggi.
                                                  domani notte
                                                  baciarti il sesso
                                                  mi auguro abbia più senso.
rimane dunque un sonetto incompleto il mio amore per te.



da Minima Poetica e altri versi 1998

MINIMA POETICA
(nuova versione)

        Parte I

Tu dovresti non credere
a nessuna delle mie parole?
proprio a nessuna?
ascolta questi tuoni verità
e chiedi: " amore siamo dunque poeti? "
mia bella chioma rossa penserei
che in te vive poesia!
sì! e vorrei berla tutta dal calice
forgiato da cupido
e cesellato da eros
poiché il desiderio di averti
non abbandona il senso del mio verso
questo devi ancora capirlo. aspetta!
non coprire le nostre nudità
dovrai sentire il fremito
barbaro che nasce dal roseo ventre
ed in quel mentre egli t'apparirà
bufera intima brutale e corrotta.
la poesia penetra nei nostri corpi
in ogni possibile buco o fessura
e raggiunge i misteri del perenne.
travolge e purifica senza paura
l'anima. squarcia il velo
d'un indefinibile colore dove si intrecciano
in un amplesso antico quanto il mondo
pensiero e azione.
pensiero e azione!
e fare il pensare e pensare il fare
edificare inclite architetture
alte cattedrali pagane in versi.
marmi mattoni e mosaici di sillabe
allo scopo di donare un rifugio
inviolabile e sacro
tra le righe di un libro.
inizi a capire
l'importanza del canto?
dynamis eterna della parola!

per comprendere tutto
sulla natura delle cose umane
il segreto non è solo nel verbo.
c'è un suono ovattato soffocato
dai crescenti rumori
di ingranaggi e motori:
il perpetuo respiro del creato.
ciò da coscienza della vita eterna
poiché nulla veramente
ha un destino di morte.
ma l'uomo
seppure cosciente che nulla muore
nel corso della sua esistenza
vede e sente la morte
la invoca nella disperazione
la ripudia nella gioia.
solo se uniti
in una assoluta e mesta armonia
il pensare e il fare sostengono
quella forza vitale ed interiore
d'accettare la propria natura
senza porsi perché.
io in questo preziosa amica non riesco:
pormi perché mi occorre per vivere.


       Parte II

nel mare delle umane incertezze
sto navigando sospinto da un alito
verso la terra dei sentimenti
governati dall'anima e dalla ragione.

mi affanno in una sterile
ricerca del ritmo del verso chiuso
del verso libero del verso malchiuso
e bacio e ribacio montale.
e di sicuro sbaglio capisci? sbaglio
e sbagliando sbadiglio
poiché mi annoio a morte.
meglio sarebbe riprendere a fare all’amore
scoprire insieme ogni ruga dei nostri corpi
o percorrere con le labbra
le vie che portano ai tuoi accelerati sospiri.
rileggendomi
in queste ore di fine d’anno
mentre qualcuno anticipa l’inizio del nuovo
con castagnole e razzi solitari
il dubbio si è fatto più forte
se in questo momento scrivo poesia
o uno zibaldone
con pochi ingredienti conosciuti.
non sono pazzo pazzo pazzo!
appena in tempo
arrivo alla conclusione
guardando il tuo corpo nudo
che non mi importa un cazzo
se scrivo poesia o prosa.
lo ammetto.
fino a due ore fa
mi importava e tanto
della forma della musicalità
e della lunghezza del verso
ma ora?

Ora che le mie dita battono fonemi al computer fonemi che generano sillabe che generano parole (e se ne fottono dell’a capo), voglio partorire qualcosa di indefinibile messo al mondo solo per discutere. Pensi serva qualcosa la mia opinione se questa che stendo come panni al sole sia Poesia? Che importanza può avere per noi, per chiunque di noi, stimarsi poeti? La presunzione in arte non significa un difetto perché dispone ad una affermazione e infonde apparente sicurezza. Però credimi, il giusto prezzo da pagare è esattamente il contrario: infinita incertezza, infinita fragilità. Non esiste modo per sfuggire al pegno. La maturità in Arte sta nel convivere con la certezza del dubbio nel tenere in equilibrio il mondo interiore con quello quotidiano. Bada, non può essere mai un equilibrio stabile: in ogni istante è d’obbligo verificare i pesi d’anima e ragione; spostarli continuamente da un polo all’altro e tu sei l’asse, il fulcro e la padrona delle forze in gioco. L’Arte non è certo figlia o madre della serenità.


       Parte III

la funzione del poeta
pensando bene
gocciola misteri.
se vuoi forse una funzione
è quella di percepire infinite realtà.
per primo grido che un mondo senza poeti
non potrebbe essere né vivo e reale
la parola è necessaria all’uomo quanto l’aria.
e il poeta essere dai mille occhi ed orecchi
osserva ascolta trascrive condensa
il fare e il pensare dei mondi.
ma tutto ciò a me importa?
o importa a te che ascolti indifferente
la mia piatta infantile lettura?
accetto il compito che l’arte mi ha affidato?
scrivere per essere compreso dagli altri
è veramente ciò che voglio?
la parola quanto spazio e silenzio
invade di me stesso?
la forma rimane lo stimma
dell’uomo incarnato poeta?
dal basso dei miei anni
vorrei capire capire di più
forse conoscermi meglio
cercare di comprendermi
affinché altri possano comprendersi.
leggendo ancora una volta
questi liberi versi il loro senso e suono
scopro del mio delirio l’inutile grandezza:
il bello e il buono devono in arte
attraverso una mirabile metamorfosi
trasformarsi in utile.
un verso inutile
non ha ragione d’essere immortale.
anche se scritte le mie parole
e tremo per questo
avranno un futuro
da donare al maestrale.


       Parte IV

ed il nostro vento soffia impetuoso
alberi antenne e versi
dondolano come impazziti pendoli.
anche i miei animali preferiscono
restare dentro casa.
noi dovremmo uscire
sentire l’aria di gennaio gelida
frustarci viso e mani
eppure molti
il cui destino disegna in astratto
andranno alla chiesa
per ascoltare messa
convinti sia una prova d’amore
verso dio ed il suo casuale ministro
e l’astratto divenga figurato.
il prete sarà grato ed orgoglioso
di sentire tanto calore in chiesa
ma non ringrazierà.
migliaia di peccati
verranno perdonati.
l’urgenza di essere puri
almeno per un paio d’ore
candeggia le coscienze
di deboli e vigliacchi.
il poeta si confessa nei suoi versi
e più si confessa meno è sincero
non vuole un perdono
piuttosto una tregua agli effetti
della sua naturale ambiguità.
siamo dannati condannati
a non avere pace
a non godere come vorremmo
di modeste umane gioie
a comprenderle
a farne canto quasi senza viverle
prostrati da una sofferenza
continua e strisciante
da un fastidio sottile
che bene espresse baudelaire.
quando un ragazzo
mi offre i suoi versi
non li leggo li sento e respiro
sono aliti sonori di una spontanea tristezza.
la giovane melodia assume
una forza liberatrice
un tentativo di graziare
la pena esplosa dal cuore.
quanto mi sono cari
i versi semplici degli adolescenti!
sono verdi arbusti di salici
ignari d’essere piangenti
cercano la purezza del crescere.
il loro spleen si nutre ancora di speranza.
l’intimo dolore l’intima privazione
si canta più della gioia
alla penna si affidano testimonianze
che mutano come dal sereno in tempesta
e spesso mutando lasciano godere l’anima
di un’effimera quiete
ma dietro lei si nascondono orribili
rassegnazione
sete dell’invisibile
rimpianto.


       Parte V

ora non parlare
perché è giusto domini il silenzio ai suoni
i tuoi occhi urlano
la rabbia per l’assenza d’amore.
forse il poeta
uomo o donna che sia
non riesce ad amare
(un’altra dannazione)
poiché comprende dell’atto l’origine divina.
quando dal sonno risvegli l’ispirazione
qualunque cosa tu scriva
è all’amore che stai pensando.
potrei adesso trovare il coraggio
per dirti: "poesia è amore!"
o se vuoi ne è la vera voce.
no. no. no! mia occasionale compagna
che serve ti sussurri con docile rabbia
ciò a cui per primo non credo?
se tanto valgono le sillabe
non chiamarmi poeta
non scaldarmi con i tuoi rossi capelli il petto.
diffida. sono un nemico astuto
che cerca la propria sconfitta nei baci
negli amplessi furibondi
consumati nel sottoscala o sopra la lavapiatti.

ma sono così stanco.
dormire indifeso sulla tua pelle
sperando nella tua vendetta...
voglio arrendermi
ad un sonno senza sogni.
prima permettimi d’immaginare
il nostro verbo vele di un vascello
in rotta verso una terra
che mai raggiungeremo.

Si vis me flere, flendum est. Primum ipsi tibi…*

* "Se vuoi che io pianga devi piangere prima te stesso" 
dall' Arte Poetica di Orazio



Da qui tutto comincia.
l’andirivieni di deboli tramonti
e d’albe malate di buio
segnano l’età dei miei figli.
vivere sembra una convalescenza
senza fine: l’attesa
unico rimedio alla pazzia.
oppure somiglia ad un banco dei pegni
dove mi prestano un terzo del bene
e rinnovo ogni sei mesi il coraggio
per un indifeso sorriso.
mi accorgo di invecchiare
dai prestiti restituiti
dalle bollette pagate e non pagate
dal preventivo del dentista sempre più alto
dall’usura dell’auto e della caldaia
dai gratta e vinci inutili
dalle sere trascorse immerso nel web
cercando nel virtuale il reale.

ti credo sempre leopardi
ma non più al vigore del passato
è una condanna pietosa il ricordo!
senza tempo senza dimensioni
la malinconia ha ceduto la cattedra
al maestro dei maestri: l’attimo.
da lui dipendo da lui apprendo
ora l’arte amica.



E' lieve appartato modesto l'obbligo
di te. un rumore lontano di battaglia
s'incaglia tra i nostri obsoleti stupori.

                                  siamo giunti alla resa.

nascono nuovi amori nella battigia
i bacini lì apprendono a muoversi:
non esiste più del sospiro il pudore.

tra noi non c'è che il rigore del pianto

e domani. domani
lo scheletro d'assenza.



Fu cenere ancor prima di ardere
l'intesa meditata perenne.
avevi intenzioni velate
tronchi perché piane emozioni
fini fiammiferi sdruccioli.
con la testa china
in attesa di cenere
insisti ad incendiare il domani
ignifugo quanto l'oggi.

e dal quartiere dormitorio
dove la notte distendi il mio
corpo abbandonato
risorge la noia dell'insonnia
ed il sospetto che al nulla
si opponga sconfitta la parola.

piantarsi in terre che amplessi non videro
provoca ustioni appena visibili.
potresti pensandoci chiamarle
così: solitudini stratificate.
formano direttrici oblique
allo stesso modo di sguardi indifferenti.



Desidero esserti dentro
pure nei pensieri
scoprire se uno mi appartiene.

se fossi certo
che il mio viso non ti è tregua
alla noia del giorno
come lo è il tuo per me
che il vedermi al mattino
non è un intenso possente respiro
comunque ti amerei.


nel silenzio infranto dai tasti del p.c.
scriverei di te come sto facendo ora
racconterei di quest' amore monco
alle mille orecchie invisibili
che tutto con attenzione ascoltano.

28 luglio 1996

E’ un giorno dal colore asprigno
questo. dal suono grigio alluminio
dal gusto sordo.
la pioggia riciclata da un lontano
temporale non mi chiede il permesso
d’essere ospite al mio compleanno:
poco male. non ho preparato la torta.








ALESSANDRO AGOSTINELLI [17.362] Poeta de Italia

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ALESSANDRO AGOSTINELLI

Alessandro Agostinelli nació en Maremma, Italia en el año 1965 y vive a Firenze. 

Si è laureato in Lettere ed è dottore di ricerca in “storia delle arti visive e dello spettacolo”. Dirige il “Festival del Viaggio” e, insieme a Manuele Masini, la collana “Poesia” di alleo/edizioniEts. Scrive su “L’Espresso” e ha diretto alcuni documentari di viaggio e d’inchiesta. Tra i suoi libri: le raccolte di poesia Numeri e Parole (Campanotto, 1997), Agosto e Temporali (ETS, 2000), Poesie della linea Orange (ETS, 2009), Il Cristo dei poeti (ETS, 2010), En el rojo de Ocidente (Olifante, 2014); i romanzi La vita secca (Besa, 2002) e Honolulu Baby (Vallecchi, 2011); i saggi La Società del Giovanimento (Castelvecchi, 2004), I comandamenti dei fratelli Coen (Besa, 2010-2013), David Lynch e il Grande Fratello (Besa, 2011). 



POESIE





de En el rojo de Occidente


viaje en autorreflexión

a veces, por la noche
vuelvo los ojos hacia el oeste,
un avión aterriza en Pisa
en la misma dirección de mi coche.

siento un destino que se cumple,
como uno de los sitios
donde iré de una manera u otra.

escogemos una conducción separada,
pero constante,
presente como una fatalidad
que aprendí a reconocer
de los mapas del mundo,
se abren en mitad del tórax
mientras empieza a soplar el viento,
un alma.

(traduzione di Manuel Masini e Stefania Gandolfo)




Vicolo del porton rosso

c’è un muro di fronte alla finestra
della cucina di casa mia
nel vicolo del porton rosso.
è su quel muro che leggo i continenti
sento i refoli dei venti
le turchesi braccia dei tesori
sventolare sulle terre del galoppo
e vedo agitarsi oceani in tempesta.
proietto lì, sopra i mattoni multicolore,
le direttrici di viaggio della mia età quasi adulta
io che non cresco mai
perché vedo il mondo intero
dentro un pezzo di muro.

(inedito)



da Il Cristo dei poeti


Deposizione del Rosso

(Preghiera del volontario di Ground Zero)


non credo in dio
non riesco nemmeno a dire
e non riesco a smettere di piangere
non riesco a smettere di piangere.

mi copro il volto con le mani.

non pensavo dentro ci fossero
ancora tanti oggetti di quei giorni.
per quanti mesi è durata questa
pratica dell’umanità…

era una serata più faticosa delle altre?
erano angeli questi?

fuori era l’inferno,
a qualche decina di metri l’acciaio
proseguiva a fondere a centinaia di gradi,
dalle macerie si continuavano a
tirare fuori pezzi di corpi umani.
qui dentro non uno sguardo allarmato,
non una faccia tirata,
solo calma e gentilezza.

erano angeli questi?
non riesco nemmeno a dire
e non riesco a smettere di piangere
non riesco a smettere di piangere.

copro il mio volto con le mani.

molti di noi si riposavano sulle panche
di legno, vestiti com’erano,
ci chiedevano se volevamo caffè, doccia,
oppure ci abbracciavano e basta.

è questa la carità?
non credo in dio,
nella fede che scuote.

quando io entravo per questa porta
a volte ero coperto di sangue e loro
mi abbracciavano. mi amavano
e si sono presi cura di me.
mi hanno nutrito e massaggiato.
ero morto dalla fatica e da quel che vedevo.
ero morto.
loro mi davano la forza.

erano angeli questi?
non credo in dio,
nella fede che scuote.

quando io entravo per questa porta
di st. paul’s chapel…

sono la mia gente.
questo è il mio posto.
questo è il paradiso.

io non credo in dio,
io credo alla gente di st. paul’s chapel,
credo nella loro aspirazione alla pace.

io credo nelle parole del reverendo
lyndon harris:
what we tried to offer at st. paul’s
was an integrated approach to ministry
where all the needs of the human
being were taken into consideration,
especially the needs of the body.

non riesco nemmeno a dire
e non riesco a smettere di piangere
non riesco a smettere di piangere.

mi copro il volto con le mani.

ogni giorno una maceria da sollevare,
continuamente una croce da togliere.

sempre quell’odore, quell’infamia
della polvere di amianto e di acciaio.

ogni giorno un occhio in più per piangere,
e i rumori insopportabili delle ruspe
di continuo, un giorno dopo l’altro,
questo lavoro incessante dentro
l’inferno. loro erano là, con noi.

io non credo in dio
credo nella gente di st. paul’ s chapel,
nella loro aspirazione alla pace.

io non credo in dio
io credo nella gente di st. paul’ s chapel,
credo nella loro aspirazione alla pace.
  


close to after

sitting
in a starbucks coffee shop
i see people coming in
and a fleet of cabs
slipping downtown.

i’m on the corner
at this urban simple corner
behind the clean windows
is the only way to keep
in in and out out.
a shape, a style
of that ancient new city
this postmodern middle-age
of contemporary
fence cultures.

inside me i feel what i’ve heard
inside me
up to this exact moment
and outside walking the joy
of clothes on the street or
the burden of my soul
in the eyes and over
the shoulders of people
who come back home
from jobs and opportunities.

i drink coffee and
turn my head around
like a little bird that stopped
his singing
to listen from other trees.

(inedito, in inglese)



da Agosto e Temporali

Brodskij

lo diceva josif brodskij
in una sua conferenza
che questa stanza, proprio questa
– diceva lui –
non è sempre così,
così come la vediamo ora noi;
questa stanza è riempita
per lo più di silenzio
nell’arco delle 24 ore,
io dico che anche per questo
si deve avere rispetto
dignità!, dico rispetto
per il suo silenzio
e se ancora questa stanza
ha una sua disposizione
che può apparire naturale
non si deve stravolgere
troppo.

lo scriveva josif brodskij
che ha vinto il nobel
come tanti l’hanno vinto
e tuttavia sono più quelli
che non lo hanno vinto,
e che comunque hanno scritto
e suonato con le parole,
con le loro serpentine di parole,
magie bicchieri favole
e le altezze delle donne
il loro sguardo
di gioie freschezze
giorni di festa,
e il mare di notte
che è nero, perché
è nero come il mare
che mugghia e poi
spuma bianco e
resta nero a largo
di notte che l’orizzonte
si stempera nel buio
del mare-cielo
tutt’uno divino e santo,
e si diceva del nobel
di brodskij e che
scriveva qualcosa che poi
alla fine ha a che fare col mare
perché introduce un vero
essere del mare
di un mare caldo e forte
come quello di derek w.
mezzo rosso e mezzo nero
come quel mare là, insomma
il suo mare nero
ma anche mezzo rosso.

e lo scriveva josif brodskij
per la mappa del nuovo
mondo di derek
che le civiltà sono qualcosa
di finito, e nella vita di ognuna
viene il tempo in cui il centro
non tiene più, e allora,
quello che le salva,
che salva queste civiltà in declino
(come questa nostra)
questi imperi sottosopra,
quel che le salva dalla disintegrazione
non sono gli eserciti e le legioni,
ma la forza della lingua,
fu così per roma
e per la grecia dell’ellenismo
- voi lo sapete -
e poi alessandro magno....

in questi momenti
lo scriveva josif brodskij
il compito di tenere
di reggere il declino spetta
agli uomini delle province
delle periferie.
la periferia dell’impero
non è il luogo in cui
finisce il mondo, ma
è il luogo dove il mondo canta,
perché alla fine si canta.

e quando josif brodskij
scrive così – e anche fra pochi secondi
che ve ne racconto un’altra delle sue –
lo so perché ha vinto il nobel.

e lo scriveva josif brodskij
che le vere biografie dei poeti
sono come quelle degli uccelli,
i dati vanno ricercati
nei suoni che emettono;
e allora voglio cantare anch’io
e sproloquiare qui davanti a voi
che bevete tranquilli
nelle vostre tiepide case
e che trovate tornando a sera
un cibo caldo e visi amici,
ditemi chi sono io che il mezzo
del cammin di nostra vita
è ciò che non siamo
come cocci aguzzi di bottiglia
che il guardo esclude e poi
pum pum
quella albero secco lassù
e la forza dell’intelligenza
di josif brodskij e di voi
che state seguendo questo sintomatico
armonico ossimorico
rap serenata al sapore di sale
sapore di mare che pisa
non fa la stupida stasera
che azzurro il pomeriggio
e stato troppo azzurro e lungo
per elisa quando margherita
non c’era sulla locomotiva
che buca ancora e a notte
alta e sono sveglio e
il chiodo fisso ora
è come finire questa
vita spericolata che mi fa
continuare a parlare sulla musica
e tutto qui è reso magicamente
soffuso da questa luce
seminotturna seminterrata
e tutto non potrà che andare bene
e anche per il meglio
perché conosciamo le strade
e la luce della notte
e sappiamo dove andare
e abbiamo occhi per guardare
altri occhi e mani per toccare
e orecchie per sentire
e bocche per dire e piedi
per muoversi e siamo
tutti quanti noi puri
e statemi bene e buonanotte
a me a voi, e a tutto il mondo
di cui siamo cittadini
e buonanotte suonatori…..





FRANCA ALAIMO [17.363] Poeta de Italia

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Franca Alaimo

Franca Alaimo nació en el año 1947 en Palermo, Italia donde vive. 

Esordisce come poeta nel 1989 con Impossibile luna (Antigruppo siciliano). Seguono le raccolte: Lo specchio di Kore (1996, Tracce), Il giglio verticale (pref. M. G. Lenisa, 1997, Bastogi), Il luogo equidistante (1998, Laboratorio delle Arti), Il messaggero del fuoco (1999, Thule), Samâdhi (2000, Bastogi), Magnifici dispetti (pref. N. Bonifazi, 2001, Helicon), Giorni d’Aprile (2002, Thule), Lo splendore imperfetto (pref. F. Loi, 2005, Thule), Corpo musico (2007, Il Bisonte), Amori, Amore (2009, La lampada di Aladino-The Lamp Art Edition), 7 Poesie (2011, Il Bisonte),  Alejandra es aquí (2010, Editorialdeloimposible),  Sempre di te amorosa (2013, LietoColle), Come ninfee (con S. Strapazzini, 2015, Girovaghe dell’anima/4), l’antologia Fil rouge (2015, Ed. CFR), Sorsi (2015, e-book La Recherche). Con il romanzo breve L’uovo dell’incoronazione (Serarcangeli) esordisce nella narrativa. Ha tradotto le raccolte di Peter Russell: Le lunghe ombre della sera (Il foglio Letterario) e Vivere la morte (Paideia). È autrice di saggi sulla poesia di numerosi autori.
 
 
 
POESIE


Y dónde tú

Y dónde tú
Donde el amor me escondes?
Bajo el rojo de la lengua,
en las cuerdas vocales
en las neuronas o en el mítico
espejo de Narciso?
O tal vez en las huellas digitales,
Dentro del flujo de la sangre,
en las vísceras,
acaso en la música de Bach?
Pero el amor me inunda,
me tiende come un arco,
me hiere, me sana,
el amor me dicta,
crece, me hace desvariar,
transforma el cenagal en agua clara.

(traduzione di Juana Rosa Pita)

 

Antes de leer

Antes de leer mi madre me enseñó las cantilenas
De su memoria infantil
Que juntaba peluca y acurruca en las rimas
Y a veces, si tenía el sueño difícil,
En voz baja para mí sola las repetía,
Pegada a la cabecera de la cama, la ventana de par en par
sobre  las  piedras  ennegrecidas de la pared del huerto,
cuando de noche cantaba el ruiseñor
Y yo trataba de entender  su idea de lo oscuro
Como un color atravesado por la música:
Un punto de vista absolutamente fantasioso,
Una manía de gracia en la desolación.
Era tan encantador que de él solo fuese la voz:
Nota tras nota contra la angustia de no ver más nada.
Al día siguiente se apoyaba a la rama del albaricoque
Y entre las frondas el plumaje de su pecho era la certeza
De que cada noche el vacío de la muerte era transportado
Hacia la vida en alas de una velada musical.

(traduzione di Juana Rosa Pita)

 
 
Da Il giglio verticale
 
 
La parola celata
 
Parola che s’incurva nello strazio
Sapendo invalicabile lo spazio
Tra quello che sommuove la mia mente
E quel che l’altro ode eppur non sente.
Parola nuda che in diversa mente
S’ingravida di vesti e d’ornamenti
Rinserrando qual guscio il suo gheriglio.
Sol saettando al di là del muro
Sa la mia lingua trasmutarsi in giglio,
Suono spandendo così bianco e puro
Da annodarti a me qual madre al figlio.
 
 

Da Corpo Musico
 

Toys
 
Torna la lingua adolescente
Declinando rosa rosae rosae
Rosam, rosa, rosa
In suono rosaceo mentale
Come la ferita del cuore
Da suo primo dolore
Affatturato franto, morta
L’infanzia di sonante
Sillabare ronzante come
Alba rugiadante roseti tra
Fervide api. Quelle giornate
Tra giochi gioconde blabando
Filastrocche: vucca vucchedda
‘u pani a fedda a fedda.
O madre,  ‘a picciridda
Tra rose bianche dormiente
Come mai più non canta?
Ma la rosa di suono latino
Rosae rosarum rosis…
Piantata tra mezzo i ricordi
La bocca infiorava ed era
Pulcherrima morte: we have
Naught for death but toys.
Così persuade la fralezza
Dei giorni: rubinosa rosa
Aulentissima, poesia, in vita
Incupita fenestrata di sole.
 
 
 
Da Amori, Amore
 

Non so amarti
 
Disperata caldissima violenza
Del tuo amarmi così prossimo
Al lamento dolente dell’animale
Innamorato che fugge dal recinto
Come ferito a morte.
Ha una parvenza d’ardore
Anche la luce scivolata
Sul letto, il sole
Che tocca il guanciale.
E tu hai mele sulle gote,
La febbre sulla fronte,
Parli in modo vago e appassionato,
E sei così triste dentro.
Ed io vorrei innamorarmi di te,
Ma non posso: è questa la distanza
Che cresce tra i nostri corpi uniti.
 

 
Da Alejandra es aquí
 
 
I poeti
 
Perché, Alejandra, le  nostre anime sono sempre in tumulto?
Perché ci seduce nello stesso modo, lo splendore della luce
E il mistero dell’ombra? Io a volte penso che le piccole cose
D’ogni giorno siano molto più profonde di quanto si creda.
Stamattina, guardando una campanula viola, mi è accaduto
Di andare oltre il suo colore e trovarmi in un mare di luce
E ti sentivo ridere, Alejandra, di quel lieve riso di bimbi
Che sanno ancora di Paradiso, mentre nascondevi il viso
Sul mio petto come una piccola figlia. Quando sono tornata,
Con un passo d’angelo incredulo, ancora barcollante,
Nella mia stanza solitaria, ho guardato a lungo la tua foto,
Passando l’indice sui contorni del tuo viso, e ti ho chiamata.
Mi è sembrato che mi dicessi: Ascoltami, cara! Le mie parole
Sono nate tutte dall’amore più grande e negato. Nessuno,
Se non il poeta, ama i poeti, il loro modo d’essere timidi
E spietati, la loro fiamma ardente sulla malvagità della vita.
 
 
 
Da 7 poesie
 

Accumulo di luce
 
Occhi di tenere campanule
Avviluppate ai muri della casa
Che dipingono di vago rosa
Quando la luce si fa fiore nel fiore
Ed altra luce dal boccio luminoso
Sboccia e poi trasvola nell’aria,
Si accumula sulla faccia dei sassi
E lamiere e riluce la più umile cosa.
Si alza una lieve piuma perduta
Da qualche passerotto in volo
E nella luce traspaiono lo stelo
E le sottili barbe colorate.
Abbondano la grazia e la passione
In questo mondo che è tutto una miseria.
 
      
 
Da Sempre di te amorosa
 
 
O madre  bellissima  del parto
 
Mentre ti sfioro il ventre gonfio come una susina
Torna improvviso il tempo del giardino
Che s’infolta e aggroviglia d’erbe selvatiche:
Qui crescono i giri e i cardi spinosi,
Là cespi di borragine e i fiori gialli della cardella,
Fruttificano i noccioli sotto il cielo autunnale,
O madre bellissima del parto,
E le tue gambe sono ingioiellate di sudore
E i capelli biondissimi fanno sul cuscino
Quel movimento delle spighe al vento estivo,
Mentre il lenzuolo si consuma tra le dita
Ondeggiando al ritmo delle doglie.
Poi, nel guardare fuori, tra i gemiti,
Ti scivolano negli occhi  piccole foglie
E le nuvole fuggevoli dell’alba così fioca
Di novembre che il vento, per ninnarti,
Fa entrare dalle finestre tra sibili e fischi.
E infine ecco la tua intima rosa tutta dischiusa
Per dare alla vita un’altra freschissima vita.
Somigli ad una morbida giumenta sfinita dal dolore
Quando dai lombi mi doni alla luce,
Ancora scintillante e tiepida d’umori,
Con un grido alto che, adesso, balza fuori
Dai margini ingialliti della foto, come una gazza
Impaurita da uno sparo dal folto di un carrubo,
Ed io dalla tua bocca con la mia bocca lo raccolgo
In comunione d’anima e d’amore.
 
 
La rosa pallida del volto
 
Vicina  al tuo fiume ti adagiarono,
Con il viso rivolto alle acque scorrenti
Tra sassi scivolosi di muschio dove
La luce lanciava saette di rame e l’aria
Chiaroscurava tra il fresco del fogliame.
Là sotto tu sentisti le radici della cicoria
Attorcigliarsi ai piedi e i bulbi dei narcisi
Selvatici crescere tra le nocche delle dita
E poco a poco tutto il tuo corpo bianco
Aprì fessure per essere invaso dalla terra
E celebrare le nozze di umori e mucose
Fino a un  fermento fecondo
Di fiori bianchi e di agrumi dorati
Dove si posavano di giorno insetti ronzanti.
Finché gli ultimi quanti dell’anima
Trasvolando nei cieli ti accordarono
La leggerezza del nulla. Ma talvolta
Nelle notti d’agosto la luna che si colma
Mi porta la rosa pallida del tuo volto
Come una folgorante stupefazione dell’altrove.
 
 

Da Come Ninfee
 

Le trombe degli angeli
 
A volte ritorna, la piccina, con gli occhi luminosi
Come di chi ha pianto o smania per la febbre
Mostrandomi una tromba d’angelo più grande
Della sua mano, ma meno bianca, dicendo
“Senti come sa di vaniglia”, con la certezza
Che basta il suo profumo ad aprire le porte del paradiso
“Ma solo se restando ad occhi chiusi
Lo lasci entrare là dove l’estasi comincia”:
Lo so che lei è come se fosse morta
Lasciandomi erede di tutti i suoi ricordi.
Però ogni volta mi meraviglia la bellezza del fiore
E mi commuove l’orlo sinuoso della corolla come
Spuma che ricama il profilo dell’onda.
E tuttavia c’è una cosa che non le ho detto mai
Per non guastare la sua festa infantile:
Oh, la bella pianta, la datura suaveolens,
Che lei tanto ama, come le altre della sua specie,
Come tutte le cose inebrianti,
Serba in sé un veleno potente.
 
 
 
I-sola
 
Che viviamo, sì, che viviamo sole
In  un’isola sola con tanto mare
Attorno, e le Sirene blu che cantano,
Che cantano sopra gli scogli assolati
In mezzo all’onde. Le ascoltiamo
Notte e giorno quelle creature strane
Che sono un poco pesci e un poco donne,
Così salate, così lucenti d’acqua.
Sono loro che c’infilano dentro le orecchie
Un liquore d’alghe, di stelle e di coralli:
Una fattura ci fanno, una magia bellissima,
Che fa delirare: oh mare, mare di parole
Azzurre e verdi che tutte ci colorano.
 
 

Da Fil rouge

 
Luna, mestrui, maree
 
Fu allora che mi disse vergognosa
La madre, guardandomi sottecchi,
Essere donna è un’antica colpa
Che si sconta con questo segreto ruscellare
Che si spande tra le sponde delle cosce,
Sangue di morte che monta e scema,
Come le maree e la faccia della femmina lunare.
Ma io mi portavo addosso con fierezza
Quel tiepido di cellule sfaldate
Come un uscire dal grembo di me stessa
A piccoli singulti umidi e rossi,
E quella giovane rosa che aspettava
Dentro gli aromi del suo orto concluso.
Mi piaceva perfino guardandomi allo specchio
Toccare il cerchio scuro delle occhiaie.
E poi mi fiutavo, sì, mi fiutavo,
Come una selvatica bestiola già ferita
Che finalmente sa qual è  l’odore
Che così tanto inebria il cacciatore.
 
 
 
Da Sorsi
 

Senza la rete dei simboli
Ogni cosa diventa
Isola senza approdo

*

Scuotendo la rugiada
Dai ramoscelli del nocciolo,
Il vento s’inargenta.

*

Caddi nel sonno
Mentre i grilli cantavano:
Mi risvegliano i passeri.

*

Una piuma che cade
Dimostra che la leggerezza
Ha orrore della terra.
 
 
 
TRADUZIONI

 

Swirl of dancing

A momentary swirl of dancing
Grace  set loose in air:
I sing
 
Rose parting open in morning
And already at sunset bending toward death:
I weep

Silvery face
Bitten by the anguishes of night:
I gaze

My arms east and west
Origin and dissolution
Limpid sky-blue and dusky purple.
My forehead to the north
Flung into spiraling torment.
 
My feet rest south
Pathway to the hearth of earth
Where time is sunken to the bottom of vastness.

(traduzione di Andrew Frisardi)

 


Schlucke

2

Mein Dank an den Mond
Dem Ursprung jeder Veränderlichkeit
Substanz des Lebens


8

Eine einzige Mohnblume
Bei den Maiven:
Wer hat einen Rubin verloren?


18

Während er den Samen
Gedankenlos ausstreut
Wird der Spatz zum Blumengärtner


34

Nur einen einzigen Vers schreiben
Der Antwort ist
Auf alle Fragen


36

Ein fallende Feder
Beweist, dass die Leichtigkeit
Sich vor der Erde entestzt.


54

Während ich durch den Garten wanderte
Verlor ich mich in
Seinem Pflanzenzauber


132

Der Wind rührte ihn und der Zweig
Klopfte an mein Fenster:
Alles sucht Trost.


149

Das rote Licht der Sonne
Erleuchtet die Rosen:
Welch Feuer im Garten!

(traduzione di Stefanie Golisch)









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MARIA GLORIA GRIFONI [17.364] Poeta de Italia

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Maria Gloria Grifoni

Maria Gloria Grifoni nació en Firenze, Italia en el año 1943 y vive en la provincia de Como. 

Ha pubblicato: “L'inchiostro dell'uomo” (Cesati 1988, poesia), “Forza di Gravità Verbale” ( Edizioni del Leone 1991, teatro), “Dialoghi Assenti” (Sapiens 1992, poesia), “Negli Enigmi” (Pulcino Elefante 1992, poesia), “Il Canto di Giuda” (Amministrazione Provinciale di Como 1998, poesia), “Terre Rare” (Libri d'arte 2002, poesia e foto di Beniamino Terraneo), “Ateh” (Motta 2004, poesia e foto di Heinz Scattner), “Nei suk della storia” (Biblioteca dei Leoni, 2015). Suoi testi drammatici sono stati rappresentati da compagnie teatrali.


POESIE



El Canto De Judas

Yo, Judas Iscariote...
Seré un viandante de una realidad muda.
¿Mis señas...?
En unos años
historia...
Un día tendré
la aorta...
de un morbo espectador.

La muchedumbre
Gritaba:
¡Judas Judas... Ju... Judas!
Una luz que posee y que...
desposee.
Usaba calderilla
y su suerte:
¡sólo en vertical!

Muñeco de alquimia
nacido...
todavía...
Moderno.

Le odiamos...
Porque estaba enfermo
de una existencia muda.
Odiar por amor:
fue su pecado.

PADRE
sucedió...
sucede...
Persigo las formas
no las redenciones
encerrado...
en las cárceles de los tiempos...

Entré
sin salvoconducto
desgarrando una tela de distancias.
Madre
conoces mi duelo
mis rostros ocultos
las promesas...

YO
Madre
interrogo
a ese hombre sumergido.

Estaba escrito...
¡HERMANO!
¿Dónde yacieron los demás?

En la bisagra del tiempo
Política
Putas
y
Pinochos



Il canto di Giuda

Io Giuda Iscariota…
Sarò un passante di una realtà muta.
Il mio recapito…?
In quale anno
storia…
Un giorno avrò
l’aorta …
di un morbo spettatore.

La folla
urlava:
Giuda … Giuda… GIU… Giuda !
Una luce che possiede e che …
spossessa.
Usava spiccioli
e la sua sorte:
solo in verticale!

Manichino alchemico
nato…
ancora…
moderno.

L’odiammo…
perché ammalato
di un’esistenza muta.
Odiare per amore: fu il suo peccato.

Padre
accadde…
accade…
Inseguo le sagome
non i riscatti
chiuso…
nei lager dei tempi…

Entrai
senza lasciapassare
lacerando una tela di distanze.

TU
madre
conosci il mio lutto
i miei volti nascosti
le promesse…

IO
madre
interrogo
quell’uomo sommerso.

Era scritto…
FRATELLO!
Dove giacquero gli altri?

Nella cerniera del tempo
Politica
Puttane
e
Pinocchi..!


L’Inchiostro dell’uomo

Palermo 1984 novembre

Credo nella rabbia
dimentica dell’ora di Dio
nel carro che percorre la strada
terra dell’assoluto.
Visi scuri nelle forme:
occhi
nel cammino dei gatti nutriti di macerie
nei panni rossi
di quella terra
che sorge
isola della tristezza.

Cedimi la tua fame
La pietà
ha logorato la forza.
Cedimi la tua fame
nella lavanderia della storia.




Dialoghi assenti

La frontiera accusa

La frontiera accusa
la sua gente
formicola nel petto.
Cresciuto
nei feretri
l’esilio del suo popolo.


Gaza

Un buco lacera
piccole teste.
Figlia di corpi
Gaza
Un ventre a spicchi.
Mani firmate
Donne Chador.


Stesse stanze

Una madre rastrella
graffiando con le mani
la vita di suo figlio.
Rabbia nei bastioni:
Stesse stanze.


a Osip Mandel’stam

Chiamato con forze aspre
ha creduto di essere vivo.
Erano notti
cariche d’insetti
dove i vecchi
nascevano per la seconda volta:
ripetendo al poeta
un paradiso aperto.


a Nadezda Mandel’stam

Calcato nelle ore
il veto di una donna:
l’eco.



Candele umane


Il mutamento

Il vento della voce
con la luna:
canta le tombe amate.
Io Serbo
tu Croato.
Il mutamento:
ha radici.


Sarajevo (lo stupro)

Figure
Vissero…
Per chi alzò la sottana
e
concepì la morte:
si cancello l’epigrafe.

Le memorie hanno
corpi urbani.
Donne ululano
il sequestro dell’amore.

Nella fabbrica della storia
si consumano
aborti.



A…Come America

Comunicato stampa:
hanno visite la notte
in quel bagaglio di arti figurate
calze…sesso...e…litanie.
Le sazie masse urlano
A…come America…
hanno bussato a quella porta
ha risposto
un formato tessera.

Ma la nostra musa
avrà il potere
carta…matita…e patatine fritte.
A…come America…
la stampa si farà prostituzione
immagini cartone ripeteranno
al coro greco la trasmutazione…
coca cola, parrucche e…erotismo missionario.

E tutto si fermerà per un attimo
e…il vento scivolerà dalle grondaie
lei diventerà strumento…
e bocche dilatate urleranno che…
la gioia equivale alla maledizione.

A bordo di una rivista…
un cartellone pubblicitario.
Noi…
testimoni farneticanti, farneticati.
Entrate…
La festa è piombo!



Nei suk della storia

Ho pennellato di rosso
la corsia della metropolitana
La terra di Abramo
cambierà colore
bene e libertà
si esporteranno.
Nella casa delle religioni
donne veggenti
nutriranno
con mammelle cariche
la redenzione.

Nel paradiso
non c’erano scene
solo acrobati.
Balbuzie
fecero abuso.
Narrati
come scommesse
di chiuse di ricordi
lacerati edifici
evaporano
fucili.
In una agenzia di viaggio
la moschea del loro canto.

Condannati a percorrere
il teatro delle orme
parlavamo
senza mostrare emozione
e questi erano i figli
non solo di Gerusalemme.
Questa è la lebbra
di un infinito vuoto.

Vedo le sagome dilatarsi
gli occhi cicatrizzarsi
non abbiamo più il diritto di guardare.
La fede nei passi del giorno
è una abitudine stanca.
Lucide rotaie
percorrono il peccato
che è ovunque
mescolato alla preghiera.


AN IMAGINARY DIALOGUE: 
FRANCIS BACON – BOHUMIL HRABAL


BACON

We are meat, we are potentially bodies on the sidewalk of the world.
My characters scream, but no one hears them…this is how I affirm silence.
Mine won’t be a death, a disappearance instead…Look for me till I can be found.

HRABAL

You, Mr. Bacon, are a master at evoking ghosts, emotions, faces…

BACON

But…they are people’s portraits and you won’t succeed in understanding how the image is composed…I believe alcohol helped me to be a little more free.
Creation is an absolute need that makes you forget the rest. I find it the strongest, the most suggestive, the most violent among every other things.

HRABAL

I believe the truth is something the Gods throw to us, to please us, as we were dogs, when they abandon us.

BACON

I feel the universal tragedy and human pity. Man is a degraded hero’s larva. But of that hero we still keep the fading traces.
HRABAL

Every suffering man is slaughtered meat. It is the common area between man and beast.
Would you prefer torment?

BACON

Like you, I love to provoke and seduce, to offer simplicity and complexity. We are consecrated to passion. 
Do you know, Mr. Hrabal, that poets help me to go even further? We are all naked when it comes to feelings. Don't you think?





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ALBERTO MARIO MORICONI [17.365] Poeta de Italia

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Alberto Mario Moriconi

Alberto Mario Morioni nació en Terni, Italia en el año 1920, murió en el año 2010. 

Penalista, poi docente di letteratura drammatica all’Accademia delle Belle Arti di Napoli, pubblicista: in particolare, critico e rubricista culturale de Il Mattino. La sua opera poetica: Vortici rupi mammole (Gastaldi, 1952), Trittico fraterno (Ceschina, 1955), Anno Mille (Rebellato, 1958), Le torri mobili (Guanda, 1963), Dibattito su amore (Laterza, 1969), Un carico di mercurio (Laterza, 1975), Decreto sui duelli (Laterza, 1982), Il dente di Wels (Pironti, 1995), Io, Rapagnetta Gabriel - e altre sorti (Pironti, 1999), Non salvo Atene (Pironti, 2007), Un autocommento discreto (Liguori, 2003), La trilogia tragicomica - Dibattito su amore - Un carico di mercurio - Decreto sui duelli (nuova edizione a cura di A. Maglione, Pironti, 2011). Sue opere sono state tradotte in più lingue. Un’ampia bibliografia della critica dal 1952 al 1987 sulla sua opera è consultabile nel volume La poesia di Moriconi di Franco Lanza (Liguori, 1988, pp.137-153, preceduta da una rassegna della detta critica, pp.105-131); ed una bibliografia essenziale fino al 1998 in una serie di saggi (di Marcello Carlino, Elio Gioanola, Giuliano Gramigna, Niva Lorenzini, Francesco Muzzioli, Raffaele Nigro, Tjuna Notarbartolo, Antonio Piromalli, Giorgio Patrizi, Giuseppina Scognamiglio) su La poesia di Moriconi pubblicati da Nord e Sud (Edizioni Scientifiche Italiane, aprile-maggio 1996 e agosto 1998).



EL SAUCE

Rasgué a mi antojo esbozos 
frígidos y fértiles 
de victorias: he caído, consciente 
de los malos pasos, armas y venenos gratos 
al siglo 
descartando regiamente 
pobre. 
Desnudo jovencito, de ojos agudos, 
dado a los cachones precoz y arrojado 
feroz a la orilla. 
Goteando, jaspeado de luna 
helada, me estremecía y levanté el puño 
al halo de sangre, a las pitas 
negras, que acaso eran enredos 
de sierpes humanas, allá arriba, 
al aullido a las garras de la maleza 
negra, que me esperaba -
las oleadas galopaban a mis lomos. 
Serpiente y toro, el león y la zorra 
me vi alrededor a luz de relámpagos, 
o divisé en mí, en al abismo de mí, 
enardecido...
                      Y salió 
de las tinieblas una sombra, 
lenta, encorvada: 
que me acalló sumisa; me envolvió en paños, 
y cavó mi ira 
en un pesado sueño sobre la fina arena. 
Al alba 
hasta soñé dulcemente: un nido 
de hombre bueno, un comedor,
 los hijos... Abrí las cejas 
al sol alto: mamá me sonreía 
al lado, el mar 
un chapoteo de torrentito.

Sólo así disipados, 
a veces, enemigos y acechos.

Conocí los despiadados 
esbozos fértiles 
de las victorias vuestras. Sólo 
siempre escuchaba las elegías mías; 
peanes pero de niños, silencios
de amplias necrópolis, por las vías Apias.-
Aquí estoy. ¿Fuerte, flaco?

¡Oh, qué fácil es agredir, dilatarse grama, 
ortigas: abrirse flor, 
es éste, áspero milagro! 
Doblarse como el sauce...

¿De qué victorias rompí esbozos rígidos? 
¿Caí, después? ¿Me rendí o vencí? 
¿El sauce, llora, que tiembla 
al ajeno correr undoso, y en alto 
abriga tibieza de vuelos? 
De cabeza el torrente lo deshoja 
mugiendo, brinca, quiebra, roba, bulle... 
y feble se detiene, luego, se vacía 
en un gran campo de agua soñoliento.

(Del libro "Le torri mobili', Guanda)



TODOS EN LA CRUJÍA

Hermana Muerte,
sí, como una hermanita 
que sierra los ojos al paciente, enfermo 
del mal de haber nacido, 
                                         y lentas húmedas 
pupilas vuelve a camas en que crujen 
pesadillas, gimen amores, 
lloriquean los primeros, adormilados, antojos 
de los chicuelos.

                             Pasa 
y suspira, 
y aquí y allí apaga, y a todos, poco 
a poco, de la 
delirante crujía, 
adormece.

Y Tú, Doctor, mañana nos visitas, 
desnudos nos llamas...
                                     ¡Sin enojo...!

(Del libro "Dibattito su amore", Laterza)





DOS DEDOS

Da la mano a quien cae, y a quien se levanta, a quien sube
 también: 
y corra aéreo por la cuesta 
florida: 

hallará cumbre seca, desierta
la vida,
y a sí mismo alto en la nada 
(así en la cuna oscilaba). 
Y tú, dale la mano antes: 

la desdeñará: luego... 
Luego aquella frente dura, cera mojada, 
tendrá falta de dos trémulos dedos.
(Del libro "Dibattito su amore", Laterza)

Traducciones por Vincenzo Josía



VITA BECERA DEL POETA

Meno 
            la vita becera 
del poeta,
                 mi tengo il ceffone 
o mal lo rendo, 
                          tento 
schivare il briccone e m'industrio 
briccone, 
                 scendo 
nella mia stima, patteggio, mi 
                                                  svendo. 
 Oh ma a quel nono patto 
mi rizzo, rilutto, m'impunto: 
strappo il contratto.
                                  Sì sì, riscalo
la china. 
Miserabile, porto 
quel mio gesto d'oro in regalo 
ai miei.
              Con gli occhi a una cima, 
rimbocco il mio sozzo angiporto.

(da "Un carico di mercurio")


                 

URBANESIMO

Madre, tu hai sbagliato 
tu m'hai buttato fra i cementi lisci* 
ch'ero ancor gleba erbosa, senza
consentimento,
ch'ero ancor vento,      
e per questi rigagnoli

- neve, ero, d'Appennino, -
ero aroma di pino, fra i miasmi
d'un addome di vicoli.
E non è a campo la tua sepoltura 
nemmeno.

M'hai scodellato nella città laida, 
che già ne aveva troppi, d'orfani, 
con padre e madre vivi, sì proclivi
al canto molle e allo spuntato
lazzo e all'avvampo
e svampo immediato, gente
che "tene 'o core" (riposto)
"e 'o ca..." (non so) ma
d'altro niente,

come me.

Volevo a campo
la mia sepoltura.

* Morto mio padre, quando avevo cinque anni, mia madre si trasferì e mi trasferì dall'Umbria nativa a Napoli.

(da "Decreto sui duelli")





PESCE RONDINE

S'io fossi turchino 
e più corto 
sarei quel pesce rondine (celo 
due, forse, aluzze vertiginose),

del pari attratto 
da coste umane, e da oscuri 
venti interni distratto, ritratto.
                                                  Né è più
l'età per la mia sete d'alto 
mare.

            Balzo a tre o quattro
metri sul viscido pelo e per cento
metri anch'io volo:
                                 e il goffo 
rituffo, in vista d'un molo 
calcinato, in un liquido 
letame.

Non ho né squame né ali 
turchine, 
                 son tozzo non corto, 
pesce gregario sì, e solo,
nel fondo del tossico porto 
di Napoli.

(da "Decreto sui duelli")



 L'ETERNA RIMA IN ORE
(IL DISTACCO)

Solo chi non è amato 
muore senza dolore:
il solo desolato 
ch'ora si aspetta amore.
Ma io che ho amato e amato 
e sono stato amato 
e sono ancora amato
invidio il desolato 
che senza un cane muore
accanto, 
e sorride un compianto 
al mio schianto d'amore 
sognando amore, vita, 
all'uscita da questa 
sua vita camposanto.

(da "Io, Rapagnetta Gabriel")



PRIMO PARTO

E urlò e urlò contro metalli e usci 
abbaglianti...
                       D'un tratto 
bisbigliò: "Salvate lui."

(da "Dibattito su amore")



 PRIMA GRAVIDANZA
(IL GIGLIO)

E Adamo ripeteva: 
"Ma tu partorirai con gran dolore, eh?"
Ed un turgore guaente, un fumido 
vermiglio lezzo 
                          espulse 
un giglio.
E ancora l'eiulìo, Caì Caì, 
dell'inesperta, Caì... "No, 
no, su!" 
Adamo lo levò - "carino!..." - a Dio. 
Caino, insomma.

(da "Dibattito su amore")




 LE NUOVE SOLUZIONI
(PER MANZONI )

"Vuoi tu, Lucia Mondella, per tuo legittimo sposo 
qui il signor don Rodrigo?" 
E poi il divorzio. Mutar di prospettive.
          - Mutatis mutandis... - 
"A te l'anello e la pillola 
anticoncezionale..."
          - ... omnia munda mundis -

(da "Dibattito su amore")




 FALLO

                                    Silvia, rimembri ancora
Ecco quel davanzale 
donde mi sorrideva gioventù 
donde la gioventù. 
E che fu il marmo tombale 
alla tua verde virtù.
Eccole quelle scale
per cui volavi tu,
e scivolasti male, 
dissero: e bello fu.

(da "Dibattito su amore")




 NO ALL'" INFERNO "
(PER FRANCESCA E PER GIANCIOTTO)

Virtù, anche tu fortuna.
Date a Gianciotto un vero stinco, o un arto 
d'alluminio, di pròtesi perfetta: poi, 
poi, menategli Francesca... 
la ravegnana, che ignora, cui,
in batticuore, al cospetto, e il pudica-
mente ostinato occhio al suolo, di lui 
primo apparì quel piè.
                                     Le sbalza 
l'occhio 
               le rotea... 
                                 e in quello 
di Paolo, a un canto, svolò batté.
Fate a Gianciotto un piè dritto:
e lui ci pesta 
peccato e delitto.
La trafiggeva (poi, trafitto...) il fresco
 occhio cognato, mordace audace: "Pace, 
ora, pace... 
o suora..."
L'occhio ferito esplora 
tutto in lui gaio e ritto.
Oh avesse, per bon'ora, 
prima di quel ch'è torto 
- nera virgineità! - lei scorto l'aspero 
austero pelo o quella dentatura 
guerrïera del Ciotto 
o mensurato la muscolatura...
Virtù, pur tu 
ventura.

(da "Decreto sui duelli") 




MATTINATE DEL PADRE VEDOVO

Mezz'ora di sfizio, cent'anni di guai.
E voi mi vedete
                          sul mio cantone,
coi miei quattordici figli e figlie, ciascuno
alla sua magione.
Sfizio, mezz'ora: soffiavo "oh dimmi:
ma tu li conti?... "
"Certi momenti pure, coi conti?!..." lei, cara:
cara e così
di parto
se ne partì.
Facendo il pieno (sfizio) si va 
lontano: 
                e crescitene quattordici!...
E busso là, l'ospizio, mi dà 
una minestrina. 
C'è una suorina 
per chiamarmi 
                           papà.

(da "Dibattito su amore") 




 LA DISOCCUPATA E LA MERETRICE

Essa dice dice d'un posto,
è riccia mora, la pelle scabra 
[però avrebbe attratto 
(ancora?...)],
forse le spetta (il posto), 
confida, e l'amica nega, saputa, 
nel viscido scendere, un'ansa 
intestinale, della ventruta 
tonitruante città.

Che forse, può 
darsi, l'avrà, no?
"... Dio ssolo 'o 
sape." 
L'amica nega: "Con quelle cape!..."

"E nun sonco, vuò
dicere, mo, manco cchiù bella...
no?" 
"Tu non si' quella che 
si dà, cumm'io mi do,
 me donco."

Scendono per le budella 
della città (sfocianti 
al mare, all'Immacolatella).
"I' nun dico 'fai male:'
nu 'o saccio fa'!" 
"Porta l'onore - e cuntame -
a 'o monte di pietà. 
S'impara, impara." 

"E nun sonco cchiù chella 
ca 'mparà può... Tu credi, 
'cu cchelle ccape, 
niente da fare'...?"

"Tu sei un'Immacolatella 
che niente 
d''o mare 
sape."

(da "Un carico di mercurio")




LA PROPRIETÀ

Il giorno in cui distinsi 
                                       il mio 
dal vostro, io persi tutto il nostro 
immenso tutto, 
il giorno in cui recinsi 
                                     andò distrutto 
quel confine che c'era l'orizzonte 
solo d'ogni vagare 
nostro leggero incantato.
                                         Così
io m'inibii con una 
                                 siepe 
ogni monte, ogni mare, 
per amor d'una zolla incondivisa,
su cui sol io picchiare,
friabilissima zolla.
                               E a chi tentò, 
per ruzzo, inconsapevole 
di barriere, saltare 
picchiai in fronte; e a chi bere 
poi volle alla mia polla, mia d'un tratto, 
e sete e vita estinsi.
Né uno m'abbruciò la siepe, risero 
i selvaggi di me, quel folle: 
                                            e il folle 
moltiplicò le sue 
zolle, le sue 
zolle, 
le sue... 
I miti selvaggi ridevano!

(da "Il dente di Wels") 




 ELOGIO DELL'ECONOMIA

Con sua tale ossessione del risparmio, andava 
spegnendo a sassate i fanali ai viali. 
S'attenuò anche il lume degli occhi, 
per la riserva al domani 
- e apposta udì anche di meno, -
e il lume ch'è nei medii cranii, 
e, ipoteso già, i pulsi minimi 
dei cuori sani (non seppe oh degl'insani
l'alte tensioni, gl'irraggi e il bruciare). 
Ovvio, ovvio, anzitempo defunse (consunse 
meno giorni). 
"Che sperpero di fiori..." 
Riemerso dalla cassa, soffiò su tre candele.

(da "Il dente di Wels")











RICARDO ARIZA [17.366] Poeta de México

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Ricardo Ariza. Foto de José Omar Ornelas.


Ricardo Ariza

1973
Cuernavaca, Morelos, México.

Escritor, periodista y editor. Ha publicado el libro de poemas El título es consecuencia del azar (Colección El Ala del Tigre, UNAM, 1996). Y también el libro Física de cuerpos ausentes (Colección La Hogaza /5. Instituto de Cultura de Morelos, 2009). Así como la antología personal En donde la memoria arda. (INBA, CONACULTA, SEP, Editorial Eternos Malabares, 2013). Ha sido becario del Fondo Estatal para la Cultura y las Artes (1997-1998) y del Fondo Nacional para la Cultura y las Artes (2003-2004). Dirigió los periódicos Postal (2003-2007), El papel cultural (2008-2010). Ha publicado en varias antologías de poesía y cuento a nivel nacional y en Latinoamérica. Ha impartido talleres, conferencias y clases de poesía, narrativa, creación literaria, y periodismo. Ha publicado en la revista Milenio y en la Jornada Semanal. Fue jefe de redacción por dos años del periódico La Opinión de Morelos 2011-2012. Actualmente es colaborador de la revista francesa El Café Latino con distribución en Canadá, Europa y Sudamérica.



Toca la delgada piel de los días

Toca la delgada piel de los días,
las atmósferas de sábanas maduras
de todos los hoteles que han sido
recientemente abandonados.
Escucha el fragor de esos cuerpos
que oficiaron en sólidas arenas.
La física nos cuenta
que se convirtieron
en sutiles porcelanas.
Toca los frutos rasgados de la infancia,
las flores rotas,
las tardes de ángeles encallados.
Porque más allá,
otros también ofician
ritos más oscuros,
soles negros.
Qué terrible es la esperanza en estos días.
No hay palabra más teñida que las horas.



Cualquier día

El cuerpo se romperá.
Astillará las sábanas un martes. 
Olor a café supurarán las comisuras.
Náufragos se detendrán tus ojos en la página,
¿relumbrará el árbol de naranjas a pesar de las palomas?
¿Algo más que gusanos devorará mi carne sibarita?
La casa y sus frutos madurarán de noche
con el sol de abajo.
Habré amado intensamente el estallido,
explotando,
pozo sin reposo,
siempre quieto, siempre ardiendo,
siempre fondo sin pozo.
El día en que perderé mis ojos,
¿mañana, tarde, primavera?
Recordaré las catedrales y las ciudades visitadas.
Como si en ello se me fuera la vida.
Un día cuando deje de llamarle,
y sólo sea el viento que dobla la calle,
semáforo para las nubes,
esencia Chanel No. 5 en algún cuello rosadito de diamantes
o, cuando sea absolutamente necesario,
igual que una tortilla con frijoles en Tijuana.
Mi nombre no lo dirá la lluvia,
no lo dirá el Kiosco, el puesto de periódicos,
no lo murmurarán las secretarias,
no dirán mi nombre las bocinas de ofertas,
los pasajeros buscarán un destino en los cristales,
un día con mar soplará en mis huesos húmeros,
y subiré, supongo, a ese autobús,
con la alegría de quien lleva su boleto.



Otro

Otro será el que mire las calles y dibuje entre miradas
las catedrales, otro será el que imagine tiempos
de realidad escrita y tiempos en edición bilingüe.
Otro atrapará la noche, otro caminará sobre tus zapatos.
Alguien desconocido leerá y dejará abiertos tus libros.
Otro beberá agua en la madrugada y se quedará pensando,
mirará por la ventana el tamaño de una estrella,
congelará las verduras y el pollo
en el lugar menos indicado,
probablemente incendie la casa,
quizá retoque tus fotos y nunca repare la tubería.
Otro, ajeno, enemigo de tus buenas costumbres
se reirá y revolcará en el piso,
liberará tus monstruos sagrados,
bramarás espuma desde el lunes,
ensuciando las calles de estiércol boscoso,
las calles oscuras que otro camina,
las habitaciones de paso que nadie alquila.
Sin sombra te arrastrarás hasta cavernas.
La ciudad desaparecerá cuando el tequila
recorra tus labios
y las luces de amarillento plasma
borren tu rostro y te devuelvan el tuyo:
No serás tu padre, no serás el hermano,
ese no ser te reconforta, incluso has dejado una propina.



Los poetas de setenta años

A través de sucesivos puntos cardinales
un abrazo inmenso en la plenitud de la noche
acaricia el estilo de los poetas de setenta años.
Cuando están solos son el diablo.
El sol y los niños amarillos
tienen para los poetas de setenta años
un sabor cercano al olivo.

El fuego del mundo
participa a sus legiones
la gran cosecha de cuerpos enamorados
si los poetas de setenta años
abatidos en el fulgor de la luna
inciertos
enredados
en el rumor de las olas
desdibujan
en el incendio de la memoria
las palabras recordadas
las caricias
los duraznos
todo lo que ahora es nada
y se nos escapa.
Desprendiendo poder y bosques
la noche se mueve supersticiosa
contra el avance de parvadas.
A ciertas horas desaparece la noción de uno mismo.
En ciertos sitios frente al espejo
se diluye el rostro en flores negras
nada resplandece tanto como una sombra.

Los poetas de setenta años nos miran a través de noches.
Viajan en carros tirados por miedos
imaginan labios y ciudades
piensan cosas sencillas
recuerdan puertos.
Ellos
son la estirpe inconfundible
de acechadores vibrantes
cuando están solos.

Nada es igual después de los setenta años
la piel se quiebra como un trueno
el mar se abre ante los pies como en los sueños
la tormenta resucita en el recuerdo de un cuerpo enamorado
como una flor se abren los brazos de la muerte
llega en bocanadas nocivas la impaciencia de la memoria
el otoño de páginas celestes aún no escritas en el tiempo…
Los poetas de setenta años
bailan sobre caballos ciegos.

De soledad hacen su cuerpo
nos visitan
siempre a solas
cuando nos enamoramos
cuando nada nos hace sonreír.
No es el vuelo de fragancias mudas
a través de la soledad que a penas
como el harapo
de un acorde de guitarra
humo
y sueños
nos cobija.



Marginalia

Visiblemente trastornado
Eras ángel del atardecer
Dibujante en alas de acetileno
Que no contemplará la furia
De tantas páginas escritas.

El laberinto de los días
Se abrió para ti
Con la clave designada
Y vivir era estar atado a la melancolía
De un constante ir al tumbo de los mares.

Animal de juegos en barcos de papel
Que atracaron más rápido que 
La isla en dibujarse en ese mar ignoto
De la infancia.

Eras sólo el traje de luces
Que vistieron tus años niños
Entre alevosa utilería de fantasmas
Las horas muertas frente a la ventana.













PAUL CHAMBERLAND [17.367] Poeta de Canadá

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Paul Chamberland 

Poeta (Nació en Longueuil, Québec, Canadá el 16 de mayo 1939). Chamberland fue el más iconoclasta poeta quebequense de la década de 1960 y uno de los ensayistas más innovadores de la década de 1970. 

OBRAS PUBLICADAS:

Genèses, 1962 [réédité aux Herbes rouges en 1971 et à L’aurore en 1974].
Le Pays, Éditions Librairie Déom, 1963.
Terre Québec, 1964 [réédité chez Typo en 2003 sous le titre Terre Québec. Suivi de L’Afficheur hurle et de L’Inavouable].
L’Afficheur hurle, 1965 [réédité d’abord en 1969, puis chez Typo avec Terre Québec et 2003].
L’Inavouable, 1967 [réédité d’abord en 1971, puis chez Typo avec Terre Québec et 2003].
Éclats de la pierre noire d’où rejaillit ma vie. Poèmes suivis d’une révélation (1966-1969), Éditions D. Laliberté, 1972 [réédité aux Éditions de l’Hexagone et 1991].
Demain les dieux naîtront, Éditions de l’Hexagone, 1974.
Le prince de sexamour, 1976 [réédité en 1991].
Extrême survivance, extrême poésie, Éditions Parti pris, 1978.
Terre souveraine, Éditions de l’Hexagone, 19804.
L’Enfant doré : 1974-1977, Éditions de l’Hexagone, 1980.
Le courage de la poésie. Fragments d'art total, Éditions Les Herbes rouges, 1981.
Émergence de l’adultenfant : poésies et essais, Éditions J. Basile, 1981.
Fidèles d’amour, 1981.
Du côté hiéroglyphe de ce qu’on appelle le réel. Suivi de Devant le temple de Louxor le 31 juillet 1980, Éditions Les Herbes rouges, 1982.
Aléatoire instantané, Écrits des Forges, 1983.
Le Recommencement du monde : méditations sur le processus apocalyptique, Éditions Le Préambule, 1983.
Un parti pris anthropologique, Éditions Parti pris, 1983 [réédité en 1991].
Compagnons chercheurs, Éditions Le Préambule, 1984.
Mise à distance de toute technologie. Conférence, Union des écrivains québécois, 1984.
L’Inceste et le génocide, Éditions Le Préambule, 1985.
Phoenix intégral. Poèmes, 1975-1987. Suivi de Après Auschwitz, Écrits des Forges, 1988
Intarsia, 1990.
Marcher dans Outremont ou ailleurs, VLB Éditeur, 1990.
Le multiple événement terrestre. Géogrammes I, Éditions de l’Hexagone, 1991.
Terre souveraine, Éditions de l’Hexagone, 1991.
L’enfant doré, Éditions de l’Hexagone, 1991.
Demi-tour, Éditions de l’Hexagone, 1991.
Un livre de morale. Essais sur le nihilisme contemporain, Éditions de l’Hexagone, 1991.
L’assaut contre les vivants. Géogrammes 2, Éditions de l’Hexagone, 1994.
Témoin nomade, Éditions de l’Hexagone, 1995.
Dans la proximité des choses, Éditions de l’Hexagone, 1996.
Le froid coupant du dehors. Géogrammes 3, Éditions de l’Hexagone, 1997.
Intime faiblesse des mortels, Éditions du Noroît, 1999.
En nouvelle barbarie, Éditions de l’Hexagone, 1999 [réédité chez Typo en 1991, édition augmentée en 2006].
Poésie et politique. Mélanges offerts en hommage à Michel van Schendel, Éditions de l’Hexagone, 2001.
Au seuil d’une autre terre, Éditions du Noroît, 2003.
Une politique de la douleur. Pour résister à notre anéantissement, coll. « Le soi et l’autre », VLB Éditeur, 2004.
Résister ou disparaître, un manifeste, 2007 [disponible en ligne : www.resisteroudisparaitre.org].
Cœur creuset. Carnets 1997-2004, Éditions de l’Hexagone, 2008.
Comme une seule chair, Éditions du Noroît, 2009.
Les pantins de la destruction, Éditions Poètes de brousse, 2012.
Accueillir la vie nue face à l'extrême qui vient, coll. « Le soi et l’autre », VLB Éditeur, 2015. ISBN 978-2-89649-485-9

HONORES:

1964 - Prix Du Maurier
1964 - Prix David
1999 - Prix de poésie Terrasses Saint-Sulpice
2000 - Prix Spirale Eva-Le-Grand
2005 - Prix Victor-Barbeau
2007 - Prix Athanase-David

Membre de l'Académie des lettres du Québec




La niña

es a través de tus ojos ligados al mundo  
como tejo el hilo de mi propia mirada  
de tus opacidades cautivas en lo hondo de la médula  
como extraigo el alimento de mi irradiante veracidad  
esta luz que te subyuga  
y que aún no te atreves a ocupar como morada tuya 
y así te asustas en tus extravíos  
en tus delicados excesos de santa  
que el divino depredador tocó  
tiemblas en la orilla del acto inconcebible  
del audaz sobresalto de la esencial codicia  
que sólo logra apoderarse de su objeto  
mediante una figura "transmutada" y sacrílega  
y a través de la cual encuentro irrupción en la materia terrestre 

a tu confianza siempre le hace falta  
algo más de ese abandono mediante el cual se obtiene  
la entera licencia del juego del amor

 Traducción: Glenn Gallardo




CE FRÉMISSEMENT MUET

Ce frémissement muet
c’est, venu de partout
comme d’une seule chair,
la Terre des mortels.

Chacun de nous en s’en allant dépose
un fardeau
dont nul ne connaît vraiment le poids
ni ce qu’il aura porté d’inassouvi,
d’inexaucé. Une vie!

Quelle Terre auront vu des yeux ouverts,
ceux-là, surtout, à qui l’on arracha l’horizon?
Gong d’or — et
allez, splendeurs
vite remballées,
il faut partir: on en spolia combien
du simple répit d’une bouffée d’air?

Il y avait une place à table
où tu n’es pas venu. Ce soir-là,
qui sait, peut-être… mais pourrait-on espérer tenir
ce que toujours reprend la vie courante?
Espérer! Oui, parfois
contre l’exil — gong d’or —
revient — aucun doute — l’heure
d’une fugace éternité
que la mémoire retrouve, saveur
appelée par tant d’autres.



JE TE TROUE

Je te troue,
tu me troues,
c’est fait sec et véloce
sous nos sourires crispés.
À fond de train
la dislocation du monde.



JETTE-TOI DANS LES BRAS DE L’AIR

Jette-toi dans les bras de l’air.

Non?
Trop lyrique?

À ras de terre
mâchouille les gravats de chantiers,
obsède-toi de la laideur des êtres,
ne lésine pas, gobe jusqu’au fiel.

Ton regard a bien fait le deuil de cette sucrerie,
un pan de ciel?

Le nirvana n’est pas d’abord un aller simple pour l’extase
mais un tourniquet de gifles.

Es-tu prêt à flairer la poche de hontes rassurantes
que tout un chacun traîne avec soi, furtif, dans la cohue?

La bande du trottoir est un Jugement dernier en marche.



LA HERSE DE LA RAGE

La herse de la rage
racle un trop-plein de corps.

Dans ta mâchoire une mâchoire
— d’État! — claquénonce
sa loi hors loi,
la fringale thanatos.

Un Ézéchiel énergumène
halète d’un charnier à l’autre,
compte les os,
n’y arrive pas
et fout le reportage dans la déchiqueteuse.

Est-ce qu’un écrit pourrait encore prophétiser?

T’arrachent la chair,
veulent te voir pisser le sang,
savourent leur... 
preuve.

D’un poing lustré à l’eau de Pilate
ils hissent le fétiche colombe
car ils d’apprêtent à ligoter
l’humanité
dans leurs traités de paix.


LA NUIT DU MONDE

Oh! oui, la faille, — la
faille qu’on ne voit pas.

Voir aveugle,
et la proie piaille
ébouriffée dans sa jactance.

Un ni-vu-ni-connu
obtus
risque à tout moment de bazarder
net sec
l’acquis,
le délicat.

La faille
sillonne par le fond
tout le vivier.
Vas-tu faire l’épargné?

Désétouffe-toi si tu le peux.

Trauma-tronçon…
est un nom de l’homme.







IHSAN DENIZ [17.368] Poeta de Turquía

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Ihsan Deniz

Poeta turco. Nació en 1960, en Bursa, Inegol. Estudió en la Universidad de Estambul, Facultad de Filosofía y se graduó en 1985. 

Obras 

Mağara Külleri (Üç Çiçek Yayınevi, 1984)
Yalnız Sana Söylenen (Bürde Yayınları, 1985)
Adımlarımın Gizli Sokağı (Şiir Atı Yayıncılık, 1986)
Şiirler (Bürde Yayınları, 1991)
Perdeler (Bürde Yayınları, 1992)
Gecediloldu (İz Yayıncılık, 1998)
Hurûfi Melâl (Hece Yayınları, 2002)
Bozgun Siperi (Şule Yayınları, 2004)
Buz ve Fire (Hece Yayınları, 2005)
Daima Unutma (Sır Yayıncılık, 2007)
Baht-ı Siyâh (Asa/İpek Dili, 2009)
Sırtlan Kayboldu (Asa/İpek Dili 2010)




El arte de la lluvia

¿quién va a traer a nosotros
el sol que va a calentar nuestras manos?
Yannis Ritsos


antes mirábamos mucho el cielo  
éramos hombres a favor de su belleza  
crecía nuestro pelo, se incendiaban   
    nuestras médulas  
no se cansaban nuestros ojos de mirar  
    los grandes mares  
para engañarnos con sueños no pedidos.  
Hacíamos de testigos al destiempo del  
     cielo 
El cielo componía nuestros trozos dañados.

Versión de Ceslik Sadar











VAGIF NESIB [17.369] Poeta de Azerbaiján

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Vagif Nesib

(Baku, Azerbaiján, 1939). Poeta.





Canto de crujidos

Los gorriones más pequeños que los   
   gorriones  
comían los granos más pequeños que los  
    granos.  
Chillando con chillidos más pequeños  
cantaban los cantos más pequeñitos. 

Un hombre más pequeño que los hombres  
miraba a los gorriones más pequeños que  
    los gorriones.  
Se alegraba y daba palmadas  
con las manos más pequeñas que las manos. 

Había un mundo  
más pequeño que el mundo.  
Dentro de él  
vivían hombres más pequeños que los  
    hombres.  
Se alegraban y daban palmadas  
a los gorriones más pequeños que los  
    gorriones. 

Pero la pena es que  
también los gatos más pequeños que  
     los gatos  
observaban  
a los gorriones más pequeños que   
     los gorriones  
y lamían  
los bigotes más pequeños que los bigotes.

Versión de Ceslik Sadar









GUADALUPE MORFÍN OTERO [17.360] Poeta de México

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María Guadalupe Morfín Otero

María Guadalupe Morfín Otero es abogada y maestra en letras.
Nació en Guadalajara, México a finales de 1953.
Estudió un año de teología en la Universidad Gregoriana de Roma, la licenciatura en Derecho y la maestría en Literaturas del Siglo XX en la Universidad de Guadalajara. Hizo un diplomado en Derechos Humanos.
Colaboró hace años en la fundación del periódico Siglo 21 en Jalisco y ha sido editorialista en Mural, del grupo Reforma.
Fue presidenta de la Comisión Estatal de Derechos Humanos de Jalisco del 28 de abril de 1997 a la misma fecha de 2001.
En 1999, fue candidata a presidir la Comisión Nacional de los Derechos Humanos; declinó para concluir su encomienda en Jalisco.
Tiene dos poemarios individuales y su obra ha aparecido en antologías en español, inglés e italiano y en suplementos y revistas literarias. Está por aparecer su libro de poemas Mansos diluvios, de la editorial Arlequín. Ha participado con ensayos en libros colectivos como Sentimientos de la Nación, de Luis H. Álvarez et al. (Ed. Jus, México, D.F., 2000); El voto de las mujeres, compilado por Sara Lovera y Xoloxóchitl Casas (Plaza y Janés, México, 2003) y en el libro Gritos y Susurros. Experiencias intempestivas de treinta y ocho mujeres, coordinado por Denise Dresser (Grijalbo, México 2004).
Es miembro de la Academia Mexicana de Derechos Humanos. Se ha dedicado a divulgar temas de derechos humanos en ámbitos académicos y sociales. Ha publicado en libros y revistas especializadas. Ha sido profesora invitada por el
Instituto Interamericano de Derechos Humanos y por otras instituciones como la Comisión Europea para dar conferencias y cursos y participar en foros y misiones de observación en San José Costa Rica, El Salvador, Lima, Quito, Barcelona, Panamá, Tijuana, San Luis Potosí, Guanajuato y, por supuesto, en Guadalajara. Ha sido consultora de organismos de cooperación internacional para evaluar proyectos de impacto en derechos humanos en Guatemala, y en México ha brindado asesoría en el mismo tema a instituciones públicas y privadas. Ha sido parte del Consejo Consultivo del Programa de Dinamarca para los Derechos Humanos para Centroamérica (Prodeca) en el área de Administración de Justicia. Fue candidata externa a una diputación federal plurinominal por el partido México Posible.
En octubre de 2003 fue nombrada Comisionada para Prevenir y Erradicar la Violencia contra las Mujeres en Ciudad Juárez, Chihuahua.
Su último poemario publicado, ''Tiempo de Plantar Olivos'' (Arlequín, 2012).




Poema para el agua del desierto

¿De dónde, si no del desierto
esta agua limpísima
nobleza de la escasez
este incesante flujo de un manantial
que pocos adivinan?

¿A medida de qué estamos hechos
a imagen de quién?

¿No era ésta la tierra del abrigo
el refugio de los perseguidos
el último contacto con lo familiar
al lado sur del río, la entrada
a la blancura mítica de las arenas
mecidas sierra abajo por un viento
que nunca termina de peinar pedruscos?

¿No era de aquí el vigor
del último pecho erguido de la patria
el postrer filón de una dignidad
de laboriosa pobreza
empeñada en arrancar sombras de árbol
justo allí donde sólo crece
el silencio infinito de una estación sedienta?

¿Qué no pasaba por aquí un tren
de ida y vuelta
en cuyo chirriar se oía
el rumor del diálogo
entre los pueblos del norte y los del sur?

¿No era ese el río metálico
donde la luna rielaba su pasaje
de viaje y tolerancia?
¿No era acaso nuestro el río?

¿Y cuándo y por qué
comenzó a llenarse de sangre
la hora del crepúsculo
el suave balar de las ovejas
en espera del rito?

¿Qué conjunto de trampas fue preciso
poner a la femineidad
y qué señuelos
qué cuentas de cristal
cuántas promesas y cuentos de oropel
cuánta oferta de “se busca señorita”
“vacantes” “medios turnos”
cuánto engaño:
“transporte” “guardería” “salario”
“prestaciones” “becas” “alimentos”?

¿Y qué pasó con los niños, di,
quién les contó los cuentos
y qué mano les puso un manto encima
para el frío
y por qué este silencio de los hombres
este hacerse a un lado este rencor
este cáncer de callar dolores
y la grieta en la piel por sofocar el grito y el reclamo.

Se están llevando a tus hijas
¿No dices nada?
¿Eso te han enseñado?
Y quién te dijo que los hombres no lloran
¿quién?

Porque, mira, esta agua limpísima
que da alivio a mi cuerpo
no viene del desierto
ni de ocultos manantiales
es el llanto de todos los que lloran
en esta larga noche
mientras otros afilan su impotencia
y salen, rabiosos y ebrios,
tras su cacería de ovejas.

Aquí no se oye ladrar a los perros
aquí, entre el lote baldío y el deshuesadero
sólo gime el viento
y alguien carga y viste
una a una a las niñas
que luego aparecen y nos dicen
que nada será en vano
nada
ninguna lágrima
ninguna.

Ciudad Juárez, 18 de diciembre de 2003




Llueve

Con olfato de fiera en el exilio
con lastimada estampa
en la ebriedad del tropiezo
comienzo, mi ciudad, mi canto:
es tiempo de aguas.

Tus pájaros acampan a mi sombra
y a ninguno hago daño.
Soy la que ha mirado y no ha mentido
soy la otra de ayer cuando oteaba
en alegres manadas de liviandad del viento
y celebraba las estaciones pródigas
de la lluvia de oro y la jacaranda.

Conozco los eucaliptos de mis pasos
y las veredas de los arrayanes
con el instinto de la memoria.
La danza sigue intacta en mi cintura
pero camino ya en las puntas del sueño.
Me despido
del barro perfumado y la cantera
que gotea por las noches del verano
su libación de piedra enamorada.

Por estas calles mi abuelo iluminaba
los ojos de los ángeles, tan alto era.

No eran flores sino prismas de oro
lo que él y mi padre coronaron
en las atalayas y las torres.
Las cúspides libraban con la nube
una batalla de altura.
Sosegaba el día los naranjos
del patio de mi abuela.
Mamá era apenas inventada
en el corazón de Dios.

Amanecía sobre las cúpulas del alma
y aquí se conocieron y se amaron.

Con olfato de fiera en el exilio
con la sangre encendida por un saxo
que no termina nunca de llorar
lluevo ante mí los ritos del despojo.
Los rayos han cesado y dulcifica
esta víspera de día feriado
el tintineo del agua.
No hace falta llorar, todo está húmedo
y llueve y tiembla la piel con el instinto
y reconozco y canto

la daga en la garganta

la verdad de lo justo, la memoria
de la miel que transita en estas plazas
y la despertenencia inevitable del desnudo
desleído y devuelto a la tierra.








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NATHANIEL TARN [17.361] Poeta de Estados Unidos

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Nathaniel Tarn

Nathaniel Tarn (nacido en 1928 en París) es un poeta americano, ensayista, antropólogo y traductor. Nació de madre francesa y padre británico. Vivió en París hasta los 7 años, luego en Bélgica (Lycée d'Anvers) hasta la edad de 11. Emigró a los Estados Unidos en 1970 y enseñó en universidades de Estados Unidos.

Tarn fue educado en Clifton College, Reino Unido y se graduó en historia e Inglés en el Kings College, Cambridge. Regresó a París y, después de ejercer el periodismo y trabajar en la radio, descubrió la antropología en el Musée de l'Homme, la Escuela de Altos Estudios y el Collège de France. Una beca Fulbright le llevó a Yale y la Universidad de Chicago, donde Robert Redfield lo envió a Guatemala por su trabajo de campo de doctorado (1951-2). Realizó este trabajo como estudiante de posgrado en la London School of Economics.


Publicaciones:

Old Savage/Young City . London: Cape, 1964; New York: Random House, 1966
Penguin Modern Poets . London: Penguin Books, 1966
Where Babylon Ends . London: Cape Goliard Press; New York: Grossman, 1968.
The Beautiful Contradictions . London: Cape Goliard Press, 1969; New York: Random House, 1970; New York: New Directions, 2013.
October: A Sequence of Ten Poems Followed by Requiem Pro Duabus Filiis Israel . London: Trigram Press, 1969.
The Silence . Milan: M'Arte, 1970.
A Nowhere for Vallejo: Choices, October . New York: Random House, 1971; London: Cape, 1972.
"Le Belle Contraddizioni". (tr. Roberto Sanesi). Milan & Samedan, Switz.: Munt Press, 1973
The Persephones . Santa Barbara, California, Tree, 1974; Sherman Oaks, California, Ninja Press, 2009.
Lyrics for the Bride of God . New York, New Directions, and London, Cape, 1975.
The House of Leaves . Santa Barbara, California, Black Sparrow Press, 1976.
From Alashka: The Ground of Our Great Admiration of Nature . With Janet Rodney. London, Permanent Press, 1977 .
The Microcosm . Milwaukee, Membrane Press. 1977.
Birdscapes, with Seaside . Santa Barbara, California, Black Sparrow Press, 1978.
The Forest . With Janet Rodney. Mount Horeb, Wisconsin, Perishable Press, 1978.
Atitlan / Alashka: New and Selected Poems , the * Alashka* with Janet Rodney. Boulder, Colorado, Brillig Works Press, 1979.
Weekends in Mexico . London, Oxus Press, 1982.
The Desert Mothers . Grenada, Mississippi, Salt Works Press, 1984.
At the Western Gates . Santa Fe, Tooth of Time Press, 1985.
Palenque: Selected Poems 1972-1984 . London, Oasis/Shearsman Press, 1986.
Seeing America First . Minneapolis, Coffee House Press, 1989.
The Mothers of Matagalpa . London, Oasis Press, 1989.
Drafts For: The Army Has Announced That From Now On Body Bags Will Be Known As "Human Remains Pouches" . Parkdale, OR, Trout Creek Press, 1992.
Flying the Body . Los Angeles, Arundel Press, 1993
A Multitude of One: The Poems of Natasha Tarn . (NT Editor). New York, Grenfell Press, 1994.
I Think This May Be Eden , a CD with music by Billy Panda. Nashville & Small Press Distributors, 1997.
The Architextures: 1988-1994 . Tucson, Chax Press, 2000.
Three Letters from the City: the St. Petersburg Poems . Santa Fe, The Weaselsleeves Press and St. Petersburg, Borey Art Center, 2001.
Selected Poems: 1950-2000 . Middletown, Wesleyan University Press, 2002.
Recollections of Being . Cambridge and Sydney, Salt Publishing, 2004.
Avia: A Poem of International Air Combat, 1939-1945 . Exeter, Shearsman Books, 2008.
Ins and Outs of the Forest Rivers . New York, New Directions, 2008.
"Sur les fleuves de la forêt (tr. Auxeméry); Paris, Vif Editions, 2012.

Traducciones:

Stelae , by Victor Segalen, Santa Barbara, Unicorn Press, 1963 .
The Heights of Macchu Picchu , by Pablo Neruda. London, Cape, 1966.
Con Cuba: An Anthology of Cuban Poetry of the Last Sixty Years . London, Cape Goliard Press, 1969.
Selected Poems: A Bilingual Edition , by Pablo Neruda. London, Cape, 1970.
Pablo Neruda: Selected Poems . London, Penguin Books, 1975 .


Antes de la serpiente

Sentado, enfrentando el sol, los ojos cerrados. Puedo oír el
sol. Puedo oír la vida del pájaro por millas a la redonda.
Vuela a través de nosotros y alrededor de nosotros, acapara
todo el espacio, como si no estuviéramos allí, como si nunca hubiéramos
interrumpido este lugar. Los pájaros se mueven tridimensionalmente 
a través de nuestras cabezas, desde oreja a oreja. Qué están
haciendo, cantando en este otoño luminoso. Es 
maravilloso estar tan solo, los dos, en este desierto
jardín. Olvidados, pero recordándonos
a nosotros mismos de un modo que ninguno nos recordará jamás. El
espacio entre los árboles,  el campo de arena descubierto
entre ellos, puedes ver la piel de la tierra la que
es mucho hogar. No podemos comprar o vender este
día maravilloso. Puedo escuchar el sol y, dentro
del sol, el viento que sale de los pulmones
del mundo desde una profundidad inconmensurable; agarramos solo 
un eco distante. Más allá de los pájaros hay personas 
cargando sus nombres como grandes pesos.
Solo piensa: cargando X tu vida entera, o Y, o Z.
Cargando toda esa A y B y C alrededor contigo,
teniendo que ser A todo el tiempo, B o C. Aquí puedes
ser el sol, el pino, el pájaro. Puede ser 
la respiración. Puedo decirte, pienso que esto puede ser
el Edén. Pienso que lo es.

Traducido del inglés por Myriam Rozenberg




Ancestros

En el sitio exacto de la tragedia del Lituanica, en los bosques de Soldin, Alemania, el Club de Aviación de Lituania rentó por noventa años una zona en forma de círculo y erigió ahí un monumento. Su inscripción decía: ``Aquí murieron como héroes los pilotos trasatlánticos Darius y Gierenas (15 de julio, 1933).'' Después de la segunda guerra mundial, esa parte de Alemania se anexó a Polonia y Lituania fue ocupada por las fuerzas soviéticas.

Pequeño pueblo de provincia
en la tierra de ``mis'' padres
al filo de la creación,
el puesto fronterizo desierto,
una hilera de tilos,
el puesto contrario desierto,
ya nadie cruza
como alguna vez
del viejo al nuevo mundo.

``El patio de juegos de Dios''
solían llamarlo por aquí:
¿con qué juega El,
cuál es el mensaje de una vida,
cuál la información,
qué podrá significar el juego
de ida y vuelta del dato a la vida?


Al otro extremo del pueblo:
pequeño, soleado cementerio
ribeteado de pequeñas selvas:
avellanos, manzanos, rosales, helechos,
ortigas, hongos, hierbas
alharaca de gorjeadores,
cigueñas allá arriba
pájaros de mi secreta infancia.
Rito de regreso
elegante ``pájaro'' naranja
resplandece en mi memoria
sus alas cruzan el sol de oeste a este
de vuelta a su tierra natal,
los dos pulcros niños
héroes de pura sangre
simple narrativa
el testamento de una nación
arrancado del anonimato
el doble molde
gracias a X y al gentil Y.

¿Cuándo fue ``nuestra'' partida:
antes de que las señales de advertencia
se distinguieran con claridad
o muy cerca del término
de la posibilidad,
por qué camino de avance
bajo los tilos
fue a siniestra
o a diestra
fueron del este al oeste
y con qué objeto
con qué fin en ``mí''?

Hay que raspar para leer las tumbas
cuatro horas y el calor aumenta.
Pequeña losa en forma de libro
la tercera de arriba para abajo
es una lápida puntiaguda
(como gorro de payaso)
acaso una señal de ``nosotros''
cuyo oficio familiar era el de encuadernador de libros.

Cuando no hallar no importa
esto es comunidad,
``mi'' gente hundida
en ``nuestra'' gente que flota aquí,
sus piedras en el mar de las praderas.
De modo que no importa
si el nombre canta aquí o no:
¿qué es un nombre en las entrañas del olvido?

Sin dinero suficiente
para comprar el equipo adecuado
acogido al heroísmo:
llegada no llegada,
un choque antes de la meta
en un ``gran'' país ``vecino'',
la escena toda bajo un relicario
de vidrio en su propio museo
cuando la habían sustraído
de las suásticas.
Tamaña multitud en el funeral
nunca antes vista en la historia.

Tras la tumba puntiaguda,
gruesos árboles esparcen la oscuridad,
una enorme trinchera cual casa alargada:
mil personas ocultas ahí,
no de muerte
natural, un tiro en la nuca:
llevará vidas enteras
leer aquellos muertos.

Llegaron al cielo
estos luftmenschen antes de tiempo
a contrapelo
de sus determinaciones.
Ahora estoy en la mesa:
¡Devora mi vida, sol profundo!
¡Baja a los encantadores pilotos
y a ``mis'' ancestros también!

En el pueblo,
``ellos'' los siempre presentes
celebran el festival
de las generaciones por venir.
A medio camino entre creaciones
todos comieron y bebieron lo mismo
escucharon el pulso de la misma sangre
en la música excreméntica,
no les pusimos atención.
¿Cuántos de ``sus'' padres
acaso habrían ayudado
a rellenar este campo?

``Sus'' pilotos:
nada tan infiltrado
como ``nuestras'' cetrinas legiones
de las que los milicianos nazis
dispondrían en su momento.
Cómo más podría un vuelo oficial
entre tantos otros
traer a casa los cadáveres
embalsamados
más tarde, escondidos por años
de los diversos opresores
hasta que, otra vez: independencia.

Al tiempo que consta en registros
(quienes no duermen ni sueñan)
que en un pueblo vecino
``ellos'' se paraban en los techos
muchos sonrientes
a ver la balacera de circo.


Versión de Pura López Colomé




Ancestors 

"At the exact site of the Lituanica's tragedy, in the forest of Soldin, Germany, the Aero Club of Lithuania rented for ninety nine years a . . . circle-shaped area and erected a monument. (The inscription:) "Here died as heroes the Transatlantic Flyers Darius & Girenas " (July 15, 1933) . . . After World War II, that part of Germany was annexed to Poland and Lithuania was occupied by the Soviets."


Small provincial town
in "my" fathers' land
at creation's edge -
border post deserted,
a line of lindens,
opposite post deserted,
no crossings anymore
as there once were
between old world and new.

"God's Playground" here
as they used to call it:
what does He play with
what is the message of a life, 
what is the information,
what can the play mean
from bit to life, and back?

Other end of town:
small sunlit graveyard field
edged with small jungles:
hazels, apples, roses, ferns,
nettles, mushrooms, herbs -
loud with warblers,
storks overhead
birds of my secret childhood.

Rite of return
elegant orange "bird"
shines on my memory
flying the sun from west to east
back to its homeland,
the two boys clean
pure-blooded heroes -
narrative simple
a nation's testament
torn out of anonymity
the double fit
thanks X and gentle Y.

When was "our" departure:
before the warning signs
were clearly witnessed
or very near the terminus
of possibility -
by which way forward
under the lindens
was it to left,
was it to right
they went from east to west
and to what purpose
to what end in "me"?

Scrabble to read the graves
four hours the heat increasing.
Small stone book-shape -
third the way down from top -
grips one pointed gravestone
(like a clown's hat)
perhaps a sign of "us"
whose trade was bookbinding.

When not finding's no matter -
this is community -
"my" people sunk into
"our" people floating here
their stones on the grass sea.
So that it does not matter
if name sings here or not:
what is a name inside oblivion?

Not enough money
to buy the right equipment
homed into heroism:
arrival no arrival
a crash short of the goal
in a "great neighbor" country,
the whole scene under glass
shrine in its own museum
when it had been subtracted
out from the swastikas.
Crowd size at funeral
never yet seen in all of history.

Behind the pointed grave,
thick trees spread darkness,
huge long-house trench:
a thousand hidden there -
but not by natural
demise - shot in the neck:
it will take lifetimes
to read those dead.

Came to the sky
these luftmenschen too early
against the grain
of their determinations.
Now I'm at table:
Gorge at my life deep sun!
Take down the charming pilots
and too "my" ancestors!

In the town,
"they" who are always present
holding a festival
of later generations.
Midway between creations
all ate and drank the same
heard the same blood beat
of excremental music -
we paid them no attention.
How many of "their" fathers
might have helped
to fill that field?

"Their" flyers:
nothing as infiltrated
as "our" sallow legions
storm troopers in their time
would soon dispose of.
How could a record flight else
among so many
bring home the corpses
embalmed,
later, hidden for years
from various oppressors
until again, an independence.

While it is on record
(those who don't sleep or dream)
that in a neighbor town
"they" stood on rooftops
many smiling
to watch the shooting circus.



Unravelling / Shock

A hole torn in the fabric of the world,
the web, the whole infernal weave
through which live-giving rain is falling
but mixing with the tears and with the blood.
Dead body-snatchers enter, the mega-corpses,
much in the news these days, enter and grind
bones, flesh and sinews down to dry tree bark,
mixing with tree bark, crawling with the demonic
beetles. They’ll tell it later: “No one expected this”:
not one—patient, doctors, practitioners
of every stripe, no one except the one whose daily
work is close to prophecy, who feels it in his nerves
or in her muscles—where news travels up fast
and lodges in the eyes, all-seeing, all-pervading vision
of disaster. And comes in like a mouse, wee small,
[wee modest, so wee, wee practical,] mouse with big ears
and popping eyes, looking this way and that and not
one tittle-tattle fazed by your huge presence. Later
drowns in a bucket with a lizard: everything drowns
round here getting to water. Not able to get out again.
Thus coming quietly, thus probing, [thus stealing in,]
squatting thus quietly back of the house:
how do the tears well up, well down again,
what makes them well, the seeing eyes know not,
what routes the change parent-to-orphan? Stop.
Orphan-to-parent? Stop. Then back again to tears?
Look out beyond the healthy trees preserved
in a close circle round the house for privacy,
look out the window over hills and dales
of this milagro country, see living green, see dying
brown—on each and every morning mourn the trees.
Criminal imbeciles who run the shows we live in
from top to bottom of their slimy theater, have now
decreed they will not solve the water. Matter of fact,
they will not solve what we are made of—the high
percentage water in all of us compounded. They will not
solve a single problem by the name of life we give
to human business. They will prefer
to dip their steel in blood, to let the semen drip
from off of their steel into the blood and thus contaminate,
infuse with every cancer both body politic and body
not so politic, just private, single, individual—but
gives to other individuals their mien and color. Ghosts
walk the hills and dales between the dying trees.
“Remember now,” they say, with stab at tragic countenance,
[for when can privacy enter into collective?] “those days,
those days you took no notice of, counting them poor,
dispersing them among the memories you could not value
at their true worth, you could not recognize enough to feel:
who knows if these few days, [these very days], were not
those ones we lived together here, the only paradise?”

Nathaniel Tarn, “Unraveling / Shock” from Dying Trees.










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