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Channel: POETAS SIGLO XXI - ANTOLOGIA MUNDIAL + 20.000 POETAS: Editor: Fernando Sabido Sánchez #Poesía
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GIANPAOLO G. MASTROPASQUA [18.924]

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Gianpaolo G. Mastropasqua

(Bari, Italia, 1980)
Médico y músico, vive migrante entre el puerto del Mediterráneo, la Alta Murgia y Andalucía. Hizo su debut con Silenzio con variazioni (2005) y publicó Andante dei frammenti perduti (2008), para el editor LietoColle. Creó y dirigió el "LietoColle Sur Tour" y editó con Anna Toscano y María B. Tolusso la antología Taggo e ritraggo.




Llama alquímica

Sobre la frente de la materia nunca detenida
que imperceptiblemente te oprime
como una arcaica madre obsesiva
yo bebo los albores de cada edad como
un perro callejero herido por las blasfemias
de los palacios, me hago el muerto
en tu olor a antimonio puro
para refugiarme en tu profecía
en el himno del ombligo mineral
remonto el cordón celeste de la sabiduría
furioso y mudo como Giordano en llamas.


Como alma fija

Me queda esta imagen rauca
clavada en equilibrios que nunca escribiré
y estos ojos de otoño, diseminados
en el florero, en una mañana sin espacios,
cuando ignoraba tus suicidios cotidianos
y no me importaba ser un piano
bajo tus dedos blandos como teclas negras:
has dejado este espejo, que cada noche
se encarna más, como alma fija.

Danzas de amor y duende, edición bilingüe italiano-español, traducción de Francesca Corrias y Julio Pavanetti, Enkuadres, Valencia, 2016




Fiamma alchemica

Sulla fronte della materia mai ferma
che impercettibilmente ti sovrasta
come un’arcaica madre ossessiva
io bevo gli albori di ogni età come
un randagio ferito dalle bestemmie
dei palazzi, mi fingo morto
nel tuo odore di antimonio puro
per rifugiarmi nella tua profezia
nell’inno dell’ombelico minerale
ripercorro il cordone celeste della sapienza
furioso e muto come il Giordano tra le fiamme.



Come anima fissa

Mi resta questa immagine rauca
conficcata in equilibri che non scriverò mai
e questi occhi d’autunno, dispersi
nel portafiori, in un mattino senza spazi,
quando ignoravo i tuoi suicidi quotidiani
e non importava che essere un pianoforte
nelle tue dita morbide come tasti neri:
hai lasciato questo specchio, che ogni notte
s’incarna di più, come anima fissa.



da "Adagio Limbico" del VIAGGIO SELVATICO INCOMPIUTO 


(la stanza selvatica) 

La stanza selvatica ha il corpo di guerriero 
e sulla fronte una medusa di nuvole fisse 
negli angoli assoluti si rincorrono bambini 
il sogno da latte finisce la primavera, 
nelle arcate serpeggiano sillabe, i trofei

intermittenti, per la deglutizione delle prede 
l'indigeno catturasogni ha la vista più lunga 
dell'uccello che è stato, eppure è cieco 
e canto resterà lì a contare le stelle… 
chi vince può cibarsi sull'altalena del buio 
o spingere il pianeta in un ciuffo meraviglia 
sul carro che supera la finzione del cielo 
e dondola nella crepa silenziosa di una culla 
nel Dio che accarezzando l'umana miccia 
saltò in aria per coprirci la testa dagli occhi. 


(la spiaggia) 

Si abbandonò in capovolta di clessidra 
sul fianco più estraneo del cielo 
sorvolò tre volte il capo danzante 
e si distese nel pensiero delle nubi, 
virò nella morsa dove il fiato cede 
nel giro nuvolare degli spiriti attinti 
fino al sudore centrale dei pianeti 
sparsi in briciole sul tavolo dell'azzardo; 
e vidi sfilare l'indicibile, le spose perenni 
il destino nudo nella cartapesta degli anni 
e dimenticai il mio nome selvatico, l'indirizzo 
delle vertebre, la sillaba immobile e ridente 
le generazioni fonetiche, le finzioni alsaziane 
e il pedale rampicante delle macchine umane. 


(la seduttrice) 

Si ciba di polvere e di tarli 
di vecchie caldaie di organici affanni 
va per mostri di carta e dimora 
la soffitta che nidifica ha più segreti 
dei suoi abitanti, li studia a volte 
pesa cellula per cella, giudica la fine 
misura la violenza e il genio, il gesto 
il fallo proteso nel cielo oracolare 
le mani da ultima suonatrice di silenzi 
dove per conquiste senili e glutee 
o fiati di versi per antri temporali 
s'involano le prede nel corpo sonoro 
la somma millenarie delle età sospese 
nell'atto che vita e morte sommerge. 


(piazza degli eroi) 

Ci trovammo nella piazza imbandita della sera 
nel nucleo di una tavola meccanica 
come tante posate volanti, come macchine scolpite 
nel capodanno preistorico della fame: cigolavano 
le moire dell'equilibrio, le muse strepitose 
del ferro, come lance definitive, come teoremi 
a orologeria, prima dell'ultimo canto nuziale 
vagavano a folle i mulini a vento, le imprese ruotanti 
di una storia che da un futuro voleva essere 
raccolta, raccontata, come una bimba! E scoppiava 
in lacrime d'argento, fiorivano i tarli argentini 
sfinivano nell'estasi come il diavolo del passo 
e smarrimmo l'alfabeto nella folgore cenerina 
ma la tecnica non bastò a disarmare il sogno 
la festa è un passaggio fossile, un furto della polvere 
un ronzino che acceca la corsa, una morte accesa. 


(una forma di murgia) 

L'antico ragazzo fiutò la piazza per correre 
incanalò il palo di folla e impallidì 
tutti erano rimasti indietro accecati: 
cominciò a muovere i pedali come petali 
ora a folle, ora dosando il gas con mestiere 
quando superò le case e afferrò l'arrivederci 
capì di aver cancellato il paese dalla nascita 
fu felice di andare dove attraversano le greggi 
o qualche vacca di nebbia dai segnali arrossati 
come le tempie quando incontrano un'uscita 
di murgia, quando cadono nelle rete 
degli alberi palafitte, quando avvistano 
il castello terragno appostato a mezz'aria, 
in dolce attesa, da noi un passo. 


(il vaso) 

Mondo è questa voce che toglie un fiato 
più dello spazio logico è il seme 
che scompare piantando la realtà nel suo vaso 
una rosa senza spine può piegarsi ai fatti 
il sangue punge sempre verso il basso 
l'ubriaco è già bagnato sull'orlo della sera. 
Escono come aghi dalla pelle punta 
girano i tacchi e rubano le scarpe al tempo 
le parole vanno vengono a carica lenta 
ci ridono pagliacci dalle stupide colonie 
ci fingono attori immensi come insetti 
le coppie si agganciano nei circuiti amorosi 
come quando non c'è più corrente 
e ci si muove appena, come nascosti 
nel rumore accecante di un labiale 
un atto di bruciante fissità 
dove ci si muore, per poco. 


(la bevuta) 

Quest'utile che corre come una lama 
scandita sulla parola in amore 
come la smorfia dei padri in vendita 
nelle vetrine altolocate della morte. 
Questa gloria filiale del macero 
che scardina gli avamposti delle cosce 
fino alla lacrima, fino all'ultima foce 
dove beve ogni conquista, ogni sangue civile. 
Quest'ombra che a giorno fatto si accompagna 
guardinga come un abisso epidermico, immota 
fino al giudizio della cellula, allo stato 
delle giunture urlanti, fino all'acrilico 
di una libertà impazzita, una zanzara, punto. 








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CLARA NÚÑEZ [18.925]

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Clara Núñez 

(A Coruña, 1990). Poeta residente en Barcelona, licenciada en Periodismo por la Universitat Autónoma de Barcelona, posgraduada en Estudios Africanos  y especializada en poesía africana por la Universidad Pompeu Fabra. Trabaja como editora y redactora encargada de la sección de literatura en la revista Radio Africa Magazine. También es cofundadora del “Funzine Human Beings” junto a la ilustradora y amiga Carmen Seijas (Hanako Mimiko) en el cual publica sus poemas. Ha sido la comisaria y traductora del Primer Recital de Poesía Africana organizado durante la Semana de la Poesía Barcelona 2016 y acaba de terminar un fotolibro de poemas que se publicará en Octubre creado junto a la fotógrafa Gema Noach en la Residencia Artística Thread de Senegal de la “Josef Anni Albers Foundation”.



Augustain es de la región de Tambacounda
Nació en un pueblo cercano a Sinthia
Se levanta cada día a las seis
Riega el huerto atentamente
Planta, cultiva, arregla
Es parco y políglota en pulaar, wolof y francés
Su sonrisa está llena de vida y
Obligaciones hechas de buen grado
Toma su té, come su cena, duerme como un niño
¿con qué sueña?
Nunca le verás apoyarse en el mango
De la pala pensativo y melancólico
El pasado, si le asalta, no lo muestra
El sol no le afecta
Su tenacidad recuerda al mar
Y nunca enferma
Me pregunto si, al igual que los baobabs
albergará miles de litros de agua
en su interior,
como ejemplo de fluidez y de reserva



Quiero estar presente en mi falso bautizo
Méteme en el agua completa y profundamente
Y si el agua se tiñe de rojo, no mires
Tengo lo que los ingleses del XIX llamarían “un pasado”
Brillo intermitente,
Tú sospechas como un bosque oscuro
Yo sospecho y voy como una dama
Abriendo los ojos tiernos, danzando rápida como un misterio
Por momentos quiero confesarme, pero,
¿querrás tú escucharlo?



Paseábamos y llovía, discutíamos
Sobre la lengua, el barroco
Los tres bajo un paraguas, todo era húmedo
Oscuro, salvaje, musgo en las cortezas
En la piedra, en los puentes
Agua sobre agua
Y cuando mi hermano exclamó clamando al cielo: ¡¡Porque el barroco!!
Todo el cielo se nos vino encima
Pero no pudimos callar
El milagro lo vieron otros
Nosotros seguimos mientras el Eume fluía,
Claro como una radiografía iluminando la tormenta



Los árboles que yo amo
No se irán ni mucho ni poco
Tiemblan
Crecen y se extienden ocultos
Bajo todo lo aparente
Esconden su ancla
Bien asidos al centro
Sin perder el eje ni la compostura
Como los niños digo que en invierno
Se desvisten, quedan sus ramas desnudas
A las inclemencias del tiempo
¿son los árboles desnudos el invierno?
No les verás llorar
Todo el otoño pude observar
El tinte de sus hojas agrietadas
Tan bellas y crujientes
Que iban cayendo lentamente, lentamente…
Ahora queda en pie su esqueleto
Las hojas se amontonan y deshacen
Como polvo al polvo
El árbol que yo amo espera
Y no le importa
Es sabio y tarde o temprano
Como los niños digo
Vendrà la primavera
Tendrán su traje nuevo
Brotes verdes celebrarán
El amanecer de los tiempos



Recuerdo de mi hermano David

Veo poco a mi hermano
Y cuando estamos juntos
Me lleva a los bosques
Antes, por el camino, siempre conduce él
Yo le escucho
Quiero amar lo que él abrace
En mis sueños aún le sigo de lejos
Para cazar serpientes
Pequeña y torpe
Confío ciegamente en su protección
Ni hombre ni mujer, andrógina y expectante
Estoy tranquila.
Cerca de mi hermano soy más verde y enraizada
El mundo es más posible, no importa si cae la noche
Somos detectives, buhoneros, alpinistas
Altivos
Vivimos en el siglo XIX y lo echamos de menos
¿Quién nos ha traído hasta aquí?



En el río Gambia, jabón, agua estancada y
Cientos de telas recién lavadas a secar sobre su arena de playa
Una vena milagrosa en medio de la tierra
Agua roja y marrón fluyendo en corrientes frías y pájaros azules
Me meto, me hundo, sumerjo mi cuerpo,
Salpico y la bebo hasta volverme inmune, hasta que se me arrugan los dedos, hasta que mi pelo
Es estopa y tinta y todos los niños me aceptan
Floto y observo; soy un cocodrilo, un hipopótamo, una piedra
Cumplo una fantasía y muere
Tras la curva del río baja el sol hinchado y brillante de puro agotamiento
todos recogen sus telas y en silencio
la luna asciende transparente por la otra cara del cielo
llegan las vacas, mojan sus pezuñas en la orilla
Se tumban legítimas y aristocráticas sobre la arena que ya no arde
Sol y luna empiezan a fundirse lento,
Todos sentimos claramente el fin de un día
Y el espacio es tan grande



Sinthian

Mugen las vacas
Balan las cabras
Rebuznan los burros
Hacia el cielo claro
desgastado por el sol
como tela
una y otra vez lavada
Qué lejos quedan de aquí las gaviotas
Y su graznido quejica
La tentación de huir, el anhelo
Si lo hay, no consigo identificarlo
La música está completa en el balanceo
De las hierbas,
Las vacas vagan
Marcando el paso de todo lo demás

http://www.otroparamo.com/poesia-espanola-clara-nunez/



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MOHAMED FARID ZALHOUD [18.926]

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MOHAMED FARID ZALHOUD

Mohamed Farid Zalhoud, nacido en 1959 en Tafraout, es un un poeta marroquí en idioma francés, además de pintor y escultor.

Farid Mohamed Zalhoud ha compuesto una trilogía poética en lengua bereber titulada: Imerruyen, takad, ighd (Chispas, fuego, cenizas), editada por las Éditions Berbères, en París, bajo el título Afgan Zund Argan.

Parole de Paria es su primera colección de poemas aparecida en Les Cahiers d’Anoual.

En 2007, ha publicado dos nuevos poemarios en PDF en Diogène Éditions Libres: Ultime Poème (Último Poema y Semblable à l’arganier (Al igual que el árbol de argán).

a finales de 2008, una antología titulada Mots de neige, de sable et d'océan: littératures autochtones" (Palabras de nieve, arena y mar: la literatura autóctona) apareció en Québec, bajo la dirección de Maurizio Gatti, con un prefacio de Tomson Highway, y que reúne a treinta y un autores, entre ellos Farid Mohamed Zalhoud.

Primer libro de su tipo que se publicará en Canadá, Mots de neige, de sable et d’océan reúne textos de los indígenas Francofonos . Indios americanos (Québec), bereberes (África del Norte), Canacos (Nueva Caledonia) y polinesios (Polinesia Francesa) para aprender juntos a través de la literatura, citando muchos temas comunes que unen el territorio, el amor y las tradiciones de la experiencia colonial. Los autores presentan poemas, cuentos, fragmentos de novelas, obras de teatro y otros géneros de sus propias tradiciones.

Premios literarios

Mohamed Farid Zalhoud ha obtenido tres premios literarios :

en 1997, el premio Saïd Sifaw ;
en 2000, el premio de joven creador del Gran Premio internacional Abdelkrim Khattabi ;
en 2001, el premio Tamaynut.



Dossier de poesía francófona reciente organizado por Sergio Eduardo Cruz y Gustavo Osorio de Ita, presentamos tres poemas del poeta, escultor y pintor marroquí Farid Mohamed Zalhoud (1959), pertenecientes a la antología titulada Semblable à l’arganier.

Las traducciones son de Ilse Campos (1995).
http://circulodepoesia.com/2016/07/veinte-poetas-francofonos-recientes-farid-mohamed-zalhoud-1959/


La lutte contre le temps

Moi, je désire vivre; que meure qui veut mourir
Le temps règne sur la raison; le genou, il a pu affaiblir
Bande de poltrons, oh, mauvaise graine
Amène-toi ère de rien que je t’offre l’épine
Mes compliments pour ta fosse si tu es amène

Moi, je désire vivre; que périsse qui veut périr
Jusqu’à ce qu’on assiste au vainqueur ô temps
Seul dans la jungle; nuée, je te vois t’enfuir
Je ne crains pas le lion; par contre, je l’appelle
Toi qui me ressembles, que Dieu te Bénisse

Moi, je désire vivre; que trépasse qui veut crever
Aliéné je suis pour toi qui ne vis que pour les entrailles
Les cœurs sont de fer, la forge en ruine tombe
La bête surpasse la mèche; le pigeon la palombe
Moi, j’ai leurré le temps par passion pas de représailles

Moi, je désire vivre; que meure qui veut mourir



La lucha contra el tiempo

Yo deseo vivir; que muera quien morir quiera
El tiempo reina sobre la razón; la rodilla puede debilitar
Banda de cobardes, oh, mala semilla
Ven, era de nada, que te ofrezco la espina
Mis cumplidos por tu fosa si eres amena

Yo deseo vivir; que perezca quien perecer quiera
Hasta que veamos al vencedor, oh tiempo
Solo en la jungla; nube espesa, yo te veo huir
Yo no temo al león; al contrario, lo llamo
Tú que eres parecido a mí, que Dios te Bendiga

Yo deseo vivir; que fallezca quien morir quiera
Demente estoy por ti que sólo vives para las entrañas
Los corazones son de hierro, la fragua en ruinas cae
La bestia sobrepasa la mecha; el ave a la paloma
Yo he engañado al tiempo por pasión, sin represalias

Yo deseo vivir; que muera quien morir quiera



Femme jaune

Le môme que porte la femme jaune est chétif
Faim, si tu étais un homme, je te trancherais vif
Ces petits affamés, ces petits nus damnés à errer
Tu en souffres ô mon cœur car la main est navrée
Si seulement j’ètais un crésus bonasse je vous graverais
De quignons, de fringues; hélas! Défaite j’essuierais
O vie, tu es pour la veuve telle la pierre jamais molle
O langue, on dirait que tu te voiles quand je t’aborde
Ces mots dont j’ai grand besoin semblent te faire défaut
De l’ennui je me suis dépêtré par des poèmes placebos
A quoi rime enfin que l’on profère vaine parole?

Mes larmes coulent vers la mer; la terre en déborde
Les hommes sont rares; je ne vois nul qui te rassure
O femme abandonnée et de grossesses alourdie
Le chemin de l’errance est long, point clair mais obscur
Celui qui le bat en est las, ni éteint ni abouti



Mujer amarilla

El niño que lleva la mujer amarilla es enclenque
Hambre, si fueras un hombre, yo te cortaría vivo
Estos pequeños hambrientos, estos pequeños desnudos condenados a errar
Tu sufres, oh, corazón mío, porque la mano está afligida
Si tan solo fuera yo un rico bonachón les grabaría
Mendrugos, vestimentas; ¡ay! La derrota enjugaría
Oh vida, tú eres para la viuda tal como la piedra nunca blanca
Oh lengua, uno diría que te escondes cuando yo te encaro
Esas palabras que yo necesito tanto parecen faltarte
Del aburrimiento me liberé con poemas placebo
¿A qué rima, en fin, proferimos vanas palabras?

Mis lágrimas fluyen hacia el mar; desbordan la tierra
Los hombres son raros; no veo alguno que te tranquilice
Oh mujer abandonada y de embarazos pesada
El camino del errante es largo, punto claro, pero obscuro
Aquel que lo vence está hastiado, no apagado ni terminado



Mauvais sort

Ne suis-je pas d’ici? Où vais-je alors partir?

Dès que j’approche l’espoir, il s’envole; à quoi vais-je servir?
Mauvais sort est l’écriture, fardeau, à qui vais-je écrire?
Le poème d’amour ô souffrance me voici frémir

Mon être est épris de poèsie qui est ma guérison
Le cœur bat le cafard, l’estomac bouffe le gazon
La frange désire la frange et la barbe son semblable
Moi, je chéris tout le monde surtout les inconsolables

Quand je dis mes poèmes, m’écoutent des entrailles
Mes émules et j’en crève; mon cœur en sanglote
Point je ne pardonne celui qui les fils cisaille
Sur le tissage d’amour et qui abat ses potes

Pourriez-vous, Paris ou Londres, me quérir
Parmi la neige une chaude demeure et me chérir?
Ce que l’âne forcé bouffe; ouf! j’ai bouffé la paille
O, liberté, des braises j’ai avalées; je te veux sans faille



Mala suerte

¿No soy de aquí? ¿A dónde voy a partir, entonces?
Si me acerco a la esperanza, ella se va volando; ¿para qué voy a servir?
Mala suerte es la escritura, una carga, ¿a quién le voy a escribir?
El poema de amor, oh sufrimiento, y heme aquí, estremecido

Mi ser es seducido por la poesía que es mi cura
El corazón bate la tristeza, el estómago se come el césped
El fleco desea al fleco y la barba a su semejante
Yo, yo atesoro a todo el mundo, sobre todo a los inconsolables

Cuando me digo mis poemas, me escuchan las entrañas
Mis seguidores, y yo muero; mi corazón solloza
No perdono al que los hilos corta
Sobre el tejido de amor y que dispara a sus amigos

¿Podría usted, París o Londes, buscarme
Entre la nieve una cálida morada y atesorarme?
Lo que el asno forzado come; ¡uf! yo he comido la paja
Oh, libertad, cenizas he devorado; yo te quiero sin falta


***


Vient de paraître "Imriri n umdlfaw" ( Le Seuli de l'Aube ),recueil de poèmes en Tamazight Imprimerie Al-Aqlam Agadir Maroc fin avril 2010


Inconsistance et j'en passe
(Dédié à Mostafa)

Durera ce délire je l'espère car d'insomniaque émane
Blotti contre le flanc où le coeur tel un oiseau en cage
Que des folles visions fouettent de la haine de la rage
Celui d'un enfant délaissé qui vainement crie "aman"

La nuit elle si longue se déroule combien indifférente
Eveillé quant à lui quand ronronne las ce bas monde
Lorsque sa douce âme vadrouille erre et vagabonde
Le trépas le guette d'oeil mauvais en sa tourmente

C'est alors qu'inconsistant n'insistant plus il se rend
Calumet de paix éteint ses mirettes baissées lasses
La pipe en os se casse que veux-tu pote qu'il fasse
Aujourd'hui c'est déjà demain qui point ne surprend

Tout est dit et pourtant tout être humain s'acharne
A y mettre un peu du sien voire un vain brin de rien
C'est pourquoi moi aussi un drôle de scribe j'incarne
Pour ne pas paraître aux yeux des miens un vaurien



Air précaire
(Dédié à Renée dite Frisson)

Son cri pur m'est parvenu
Et j'en ai gros sur le coeur
De vaine plainte saugrenue
Qui avive bien de rancoeurs

Je la sais fargile et précaire
Qui d'espoir fort se nourrit
Et se lasser cela c'est clair
Sans amour tout se pourrit

Elle provoque les beaux parleurs
De mots d'amour en haut parleur
Mots dits maudits car sans échos
Pour des horizons point amicaux

Je la sais aussi qui tant pleure
Pétrie de douleur la flétrie fleur
Femme en flamme l'infâme sort
A fait pour elle tellement de torts



Douce attente
(Dédié à Karine)

A quoi bon ami attendre
Si ce n'est un mot tendre
Comme l'amour comme la paix
Une douce attente qui paie

La voilà ami qui arrive
Ma muse tant attendue
Avec des merles et des grives
Une main de fée tendue

Ma mie qui d'une caresse
Aussi soyeuse que la paresse
Essuie cafard efface ennui
Et fait de moi ce que je suis

Poète chanteur et heureux barde
Qui pour les vers et pour les rimes
Habille accoutre et vêt et farde
Le poème gai svelte et sublime



Saut de gazelle
(Dédié à Virgule Isabelle)

Arrêt sur image:
Je t'apostrophe
Souplesse bondissant
Adresse resplendissant
En ton saut éblouissant
Finesse et fin de strophe

Emu d'admiration:
Dans l'étonnement primaire de l'enfant sidéré
Je te zieute ébaubi exécuter une inouïe danse
Je te zieute percuter par ta splendide cadence
Les recoins fort reculés de mon coeur téméré
Coï, bibi reste baba de plaisir et joie immenses

Incroyablement crédule:
Allons;et que ça saute môme!
Magne-toi;toi qui refuses être homme!
Amène-toi ressaisis-toi bel ange!
Oublie tes nuits hantées de montres et fantômes!
Crois-les sois confiant en tes mirettes étranges!

D'un vers à l'autre:
Médusé ô dame qui marque de virgules
Mes pas qui trébuchent mes yeux crédules
Ma tête bidule ma boule débile de bulles
Mon coeur battant chamade qui déambule
Marque-moi Virgule d'un point à la ligne et d'une majuscule



Hic et mot bile
(Dédié à Mouloudi , poète du monde)

Je m'évade mais je reviens à ma prison maudite
Mon salut n'est trouvable qu'au sein de moi-même
Entendeur compagnon ami et prochain acolyte
Voudrais-tu je te prie ouïr mon hic en ce poème ?

Voudrais-tu soutenir mon haleine narratrice
Sans songer en retenir la sagesse du propos
Ni soigner des soupirs mon os qui crisse ?
Je le veux à moi seul de l'éveil au repos

Te voilà qui t'emballes pour de vaines babioles
Et qui tentes tout ouïe et tout oeil de saisir
Par six sens l'essence au lieu de laisser moisir
En son insensé sort inouï de l'absurde guignole

Va l'ami ta triste ombre me dit long de la mienne
Itou de l'immonde monde hanté de sombres âmes
Toi qui es comme le cygne et le navire et la rame
Persiste signe et dénonce cette vie qui est chienne




.

ELSA VEIGA [18.927]

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Elsa Veiga 

Nació en Santiago de Compostela en 1972. Estudió Filología Hispánica en la Universidad Autónoma de Madrid y se especializó en Literatura Española e Hispanoamericana. Pasó dos años inolvidables en la Biblioteca Nacional de Madrid catalogando manuscritos del poeta Jorge Guillén, dio clases de español para extranjeros, ha trabajado como jefa de prensa y comunicación en editoriales y escribe relatos, novelas y poesía, además de artículos y reseñas para revistas. En su blog, ‘El sofá rojo’, vuelca lo más apasionado. En 2009 recibió el primer premio de relato corto de Binéfar (Huesca). Fue finalista en el XXVII Premio Ana María Matute de Relato 2015 con El verano de Tom Sawyer, recientemente publicado por la Editorial Torremozas.



Y veo lo que queda

Yo, cuando decepciono,
me retiro.
Agacho la cabeza,
la meto bajo tierra.

Tú, cuando decepcionas,
te haces grande.
Gigante del orgullo,
me persigues.

Yo hundo la cabeza.
Lentamente.

Los ojos,
como hogueras encendidas,
cómo si no,
si no, no son hogueras,
comienzan a mirar
lo que nos falta
y lloran lamentando
lo que queda.

Yo, cuando soy consciente
del otoño,
dejo caer las hojas
que me sobran.
Retiro la coraza
con premura
y en carne viva
dejo que me veas.


Recuerdos enfrascados

A las tardes ociosas
se unió la pesadumbre
de tener que pensarlas.

No valía con sentirlas
—sentirte era otra cosa—.
Había que contenerlas
en frascos de memoria.

Guardé con certidumbre
los momentos pasmados,
las arañas reptando,
mi ojo en las paredes.

Escondí tras la puerta
los momentos felices
que no fueron ociosos.
Viví tras las persianas
los que me devolviste.

Guardé en frascos y en cofres
los instantes perdidos.
Cubrían las telarañas
los más afortunados.

Me pillas recogiendo
los restos de una tarde
entre cristales rotos
de un frasco que rompimos.

Acumulado el polvo
entre el corcho y el vidrio
destapo uno bien alto
que observa lo que hacemos.

El olor de momentos
felices y perdidos,
aunque quiera apresarlo,
se escapa por el cuello
e impregna todo el cuarto.

Las arañas esquivas
que anidan en lo alto
van cayendo, invadidas
por el olor a viejo
por fin recuperado.


Mañana y cicatrices

Es miedo lo que tengo
y cicatrices.
Anuncian su comienzo al principio del muslo
y ascienden imparables hasta ahogarse
en el cuello.
Las miran los que esperan encontrar mi conciencia.
La doctora las trata con mimo y sin sorpresa.
Sospecha el miedo azul que trasluce en el fondo
de cada cuadradito de la piel que me forma.

Conforman mi conciencia cantidades de miedos
que intentan escaparse por la boca y los ojos,
por los huecos que saben que no quieren abrirse.

Las mañanas despiertan con los ojos cerrados.
Queriendo ser mañanas siguen siendo mis noches.
La boca entumecida del vómito pasado
no expresa un miedo eterno,
no habla conmigo apenas.
Cobra vida, a mí ajena,
cobra muerte en lo triste
que resulta ser mía.

De mí se sonreía
la otra noche, temblando,
mientras yo la forzaba a expulsar
lo que había.
A través de la risa
sostenía la mía.

Mi boca independiente
y mis ojos ausentes
no creen en las mañanas
porque habitan personas
llenas de cicatrices.


El cruce de caminos

El cruce de caminos
que une tu historia
con mi historia
acabará en una encrucijada
en la que no habrá vuelta.

De vueltas de la vida vengo,
y sin embargo
miro
y no sostengo
los restos que me quedan
de cordura.

Me agarro a las paredes
que duras y solemnes me protegen.
Como si fuera importante
lo que existo,
que importa más al resto
que a mí misma.

La protección de cunas y algodones
la cambié, sin querer, por el vacío.
En casa se sembró la mala hierba.
A diario la recojo y crece obscena
para marcar mi vida para siempre
para juntar mi pena con tu pena.

Levanto la persiana y entran soles.
La felicidad se doblega
a la voluntad de ambos.

Tus soles mañaneros
se precipitan en noviembre
hacia la escarcha
que en ventanas con borde
se sustenta.

La nieve no aparece
hasta diciembre
y anuncia su llegada
con queja y alarido
grito helado
querido, conocido para todos,
final de mi día transformado.

De la unión de dos cuerpos
creí que salían almas enceradas.
Y compruebo que no.
Que encrucijadas hay muchas
y la mía es más tuya
y la aspereza.
No hay ceras que abrillanten imposibles
ni historias que prolonguen mi aventura.



Ligera como araña

Las arañitas locas que bailan en mi piso
esperan mi llegada con las patas abiertas,
me abrazan a lo araña
y estudian mis reacciones.

Las observo subirse y bajarse por sus obras.
Orgullosas reptaban y bajaban tan tristes
que les puse un sofá pequeñito, una tele,
una Play y unos libros.

La idea era que olvidaran sus hilos por un rato.
Quizá nunca lo hicieron.

Intenté acomodarlas a un espacio pequeño.
Entre las dos paredes
creé mundos de arañas
por supuesto invisibles.
Les gustaban.

A partir de aquel día
quisieron recibirme
con halagos y fiestas,
con noches sin ser tristes.
Construyeron castillos
con hilos que volaban,
alados, contagiosos de risa
y de ese ritmo
que quiero y que no olvido.

Me balanceo ahora
de hilos hecha mi hamaca.

Permanezco escondida,
feliz con mis arañas.



Nueva York desde Bryant Park

Me siento a contemplarte
en Bryant Park
pocos días antes de irme
de ti
quién sabe si para siempre.

Bajo el quiosco de helados, a la entrada,
una tarde de calor y humedad
de fin de agosto,
de resto de verano,
de Labor Day con vida.

Times Square a mi izquierda.
Las Américas miran en mi norte.
Detrás, el Empire,
majestuoso,
se refleja en el cristal
de un rascacielos.

“Si deja de llover prometo…”
me digo con pocas esperanzas.
Y no sé qué prometo,
qué podría,
qué daría
consuelo a esta tarde.
Qué de nuevo.

Permanecer aquí
daría esperanza
a las últimas horas de este día.

Una tarde,
de verano cargada
todavía,
me miré en el espejo
de una orilla
de edificios inmensos
que invitan a quedarse.
Enormidad plagada de alegría.

http://latribudefrida.com/poesia/poemas-de-elsa-veiga/ 





 .

THEODOR SEUSS GEISEL -DR. SEUSS- [18.928]

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Theodor Seuss Geisel - Dr. Seuss -

(Springfield, Massachusetts, 2 de marzo de 1904 – San Diego, California, 24 de septiembre de 1991) fue un escritor y caricaturista estadounidense, más extensamente conocido por sus libros infantiles escritos bajo su seudónimo, Dr. Seuss. Publicó más de 60 libros para niños, que a menudo se caracterizan por sus personajes imaginativos, rimas y el uso frecuente del contador de trisílabas.

Dr. Seuss escribió libros tan populares como Hop on Pop, ¡Cómo el Grinch robó la Navidad! (How The Grinch Stole Christmas), que tiene como personaje principal al Grinch, El Lorax (The Lorax) y El gato en el sombrero –también conocido como El gato garabato (The Cat in the Hat) y el gato ensombrerado. Usando cuentos e imágenes surrealistas, las obras de Seuss despiertan la imaginación de los lectores a la vez que tratan temas esenciales como el deterioro del medio ambiente o la adquisición de la propia identidad. El constante juego de palabras convierte sus textos en obras casi intraducibles.

En el año 1984 recibió una mención especial del premio Pulitzer, por su contribución a la literatura infantil.

Theodor Seuss Geisel nació el 2 de marzo de 1904 en Springfield (Massachusetts), hijo de Henrietta Seuss y Theodor P. Geisel. Tuvo dos hermanas. Su padre era superintendente de parques y se encargaba del Forest Park, en Springfield, un parque enorme que incluía dentro de sus límites un zoológico y estaba ubicado a tres cuadras de una librería. Era miembro de una familia emigrante de Alemania por lo que el nombre Seuss se pronunciaría en realidad “zoiz”, sin embargo en Estados Unidos popularizaron la pronunciación “seus” y es la pronunciación aceptada casi universalmente al referirse al nombre de este escritor.

Acudió a la Universidad de Darthmouth, donde se unió al diario de la universidad y llegó a ocupar el cargo de editor en jefe. Sin embargo, cuando las autoridades de la institución descubrieron una fiesta clandestina organizada por Theodor durante un período de ley seca, decidieron que el joven Geisel debía renunciar a todas sus actividades extracurriculares. Al verse privado de su puesto como editor buscó la forma de continuar participando en la redacción del diario de su universidad, el Darthmouth Jack-O-Lantern, así que empezó a firmar sus textos como “Seuss”. Entró luego a la Universidad Lincoln,6 en Oxford, Inglaterra, buscando un doctorado en literatura. En Oxford conoció a Helen Palmer Geisel, con quien contrajo matrimonio en 1927. Acabó regresando a Estados Unidos sin haber obtenido el título. El “Dr.” de su seudónimo es un homenaje a los deseos de su padre, que anhelaba que él obtuviera un doctorado en Oxford. Durante una difícil enfermedad la esposa se suicidó el 23 de octubre de 1967. Seuss se casó el año siguiente con Audrey Stone Dimond. Dr. Seuss falleció luego de varios años de enfermedad en La Jolla, California, el 24 de septiembre de 1991. En el 2002 el Jardín Nacional de Esculturas del Dr. Seuss fue inaugurado en su ciudad natal, Springfield, Massachussets y tiene varias estatuas de Dr. Seuss y de muchos de sus personajes. A pesar de haber dedicado gran parte de su vida a escribir libros para niños Dr. Seuss nunca tuvo hijos.

Obra

Primeros años

Empezó a enviar artículos humorísticos a medios escritos como Judge, The Saturday Evening Post, Life', Vanity Fair y Liberty. Además gozó de fama nacional gracias a una serie de anuncios publicitarios que creó para el insecticida Flit. Geisel se mantuvo económicamente a él y a su esposa durante la Gran Depresión haciendo dibujos publicitarios para General Electric, NBC y otras compañías. También realizó el guion y los dibujos de una caricatura de corta vida llamada Hejji, en 1935.

Primer libro infantil

En 1937, mientras Seuss regresaba de Europa en un viaje marítimo, el ritmo del motor del barco inspiró el poema que se convirtió luego en su primer libro, Y pensar que lo vi por la calle Porvenir (And to Think That I Saw It on Mulberry Street). Seuss escribió tres libros infantiles más antes de que empezara la Segunda Guerra Mundial, dos de los cuales se encuentran redactados en prosa, cosa atípica en los textos de Seuss.

Segunda Guerra Mundial

Al empezar la Segunda Guerra Mundial, Dr. Seuss se inclinó por las caricaturas de temática política, y dibujó más de 400 tiras en dos años como caricaturista editorial para el PM, un periódico izquierdista de Nueva York. Estas caricaturas luego publicadas en el libro Dr. Seuss va a la Guerra se oponían a Hitler y Mussolini y eran de alto contenido crítico. Otras caricaturas criticaban el racismo ante los judíos y negros y a los efectos nocivos del racismo en tiempos de guerra. Sus caricaturas apoyaban al Presidente Roosevelt y su manejo de la guerra, y atacaban frecuentemente al congreso, a la prensa y a otros por las críticas a Roosevelt, por las críticas ante la ayuda a la Unión Soviética, la investigación de los sospechosos de comunismo y demás ofensas que consideraba contribuían a la desunión del país.

En 1942, Dr. Seuss dirigió sus energías al apoyo directo a los esfuerzos de los Estados Unidos ante la guerra. Primero trabajó dibujando Pósters para el Departamento del Tesoro y la Junta de Producción de Guerra. Luego, en 1943, se unió a las Fuerzas Armadas y fue comandante del Departamento de Animación de la Primera Unidad de Películas de las Fuerzas Armadas de los Estados Unidos. Allí escribió cortometrajes que incluían Tu trabajo en Alemania, una película de 1945 sobre la paz en la Europa posterior a la guerra, Diseño para Muerte, un estudio de la cultura japonesa que ganó un premio de la Academia a Mejor Documental en 1947, y el Soldado Snafu, una serie de cortometrajes sobre el entrenamiento de la armada. Mientras formó parte de las Fuerzas Armadas se lo premió con la Legión del Mérito. Otras películas de corte no militar realizadas por Seuss en la época también tuvieron gran acogida. Gerald Mc Boing Boing se llevó el premio de la Academia al mejor corto animado en el año de 1950.

Obras más famosas

Después de la Guerra el Dr. Seuss y su esposa se mudaron a La Jolla, California. Regresó a trabajar en libros infantiles y escribió lo que muchos consideran sus mejores trabajos, incluyendo títulos como: If I ran the Zoo (Si yo dirigiera el Zoológico, 1950), Scrambled Eggs Super! (¡Súper huevos revueltos! 1953), On Beyond Zebra! (¡Más allá cebra! 1955), If I ran the Circus (Si yo dirigiera el circo, 1956) y How the Grinch Stole Christmas! (¡Cómo El Grinch robó la Navidad!, 1957).

Al mismo tiempo, ocurrió algo que influenció mucho el trabajo de Seuss: en mayo de 1954, la revista Life publicó un reportaje sobre las dificultades que tenían los niños de las escuelas para leer correctamente porque sus libros eran aburridos. El publicista de Seuss creó una lista de 400 palabras que consideraba importantes y le pidió a Dr. Seuss que la redujera a 250 palabras y que escribiera un libro usando únicamente éstas. Nueve meses después, Seuss, utilizando 220 de las palabras que le fueron dadas completó El gato en el sombrero (The Cat in the Hat). El libro mantuvo los dibujos característicos de Seuss, la rima y todo el poder imaginativo de los trabajos anteriores, gracias a la simplicidad de su léxico podía ser disfrutado por lectores principiantes.

Existe el rumor de que en 1960, Bennett Cerf le apostó 50 dólares a que no podría escribir un libro usando solo cincuenta palabras. El resultado de tal apuesta es supuestamente Green Eggs and Ham (Huevos verdes con jamón). El rumor indica además que Cerf nunca le pagó lo acordado, pero esto no ha sido comprobado.

Obras para adultos

Escribió también para adultos usando el mismo estilo de rimas y dibujos, tales fueron: The Seven Lady Godivas: The True Facts Concerning History's Barest Family (Las siete Lady Godivas: los hechos reales concernientes a la historia de la familia más desnuda); Oh, The Places You'll Go! (¡Ah, los lugares a los que irás!); y You're Only Old Once (Solo se es viejo una vez).

Sílabas métricas

Dr. Seuss escribió la mayoría de sus libros en forma de rimas, la teoría métrica que utilizaba consistía de cuatro unidades rítmicas, estilo similar al de Lord Byron y otros grandes poetas. Estos versos y su interesante ritmo son apreciables únicamente en el idioma original inglés, aunque se han realizado traducciones que intentan preservar el estilo en verso del autor.

Dibujos

Los primeros trabajos de Seuss a menudo empleaban la sombra y textura de los trazos a lápiz o de acuarelas, pero en los libros infantiles del periodo de posguerra empleaba generalmente trazos hechos a base de pluma y tinta, normalmente solo usaba blanco y negro para sus dibujos, a veces uno o dos colores extra. Sus libros más tardíos como El Lorax, tuvieron más colores.

Las figuras de Seuss son a menudo redondeadas y de hombros algo caídos. También casi todos los edificios o aparatos mecánicos que dibujó Dr. Seuss evitaban las líneas rectas, ninguna caricatura tiene una sola línea recta a pesar de que dicho objeto tenga piezas rectas en la realidad. Seuss disfrutaba dibujar objetos muy elaborados arquitectónicamente, su amplia gama de palacios, rampas, plataformas y escaleras eléctricas están entre las más recordadas de sus creaciones. También cabe destacar que todas las creaciones del Dr. Seuss tienen la parte inferior de la nariz muy alargada.

Adaptaciones

Durante la mayor parte de su carrera se rehusó a que sus personajes tuvieran vida fuera de los libros. Sin embargo, permitió la creación de algunos dibujos animados, un arte en el cual ya tenía algo de experiencia gracias sus producciones durante la Segunda Guerra Mundial.

La primera adaptación de sus dibujos fue Horton Hatches the Egg (Horton empolla el huevo) en 1942, fue animada por Warner Brothers, el mismo estudio con el que trabajó al hacer Soldado Snafu y dirigido por Robert Clampett, Horton fue presentado como parte de los Looney Tunes e incluía una serie de bromas que no estaban en la versión original de la historia.

En 1959, autorizó a Revell una conocida empresa de modelos de plástico para hacer una serie de "animales" que se quebraban así en lugar de ser pegadas podrían ser montadas, desmontadas y montadas de nuevo. La serie se llamó El Zoológico del Dr. Seuss ("Dr. Seuss Zoo") e incluyó a Gowdy the Dowdy Grackle, Norval the Bashful Blinket, Tingo the Noodle Topped Stroodle and Roscoe the Many Footed Lion. Las partes básicas del cuerpo son las mismas y todas eran intercambiables, por lo que fue posible para los niños de combinar partes de diferentes caracteres en formas esencialmente ilimitado en la creación de sus propios personajes animales (la venta de Gowdy, Norval y Tingo podía ser juntos en un Set de regalo, así como también en forma individual). Revell también hizo una pegamento convencional junto al "kit de principiantes" de El gato en el sombrero.

En 1966 Seuss autorizó al eminente caricaturista Chuck Jones, su amigo y antiguo colega de guerra a hacer una versión animada de ¡Cómo El Grinch robó la Navidad!. Dr. Seuss aparece en los créditos como Ted Geisel, coproductor. Esta caricatura fue muy fiel a la versión original y es considerada un clásico hasta nuestros días, es parte del catálogo de películas navideñas que se muestran cada año en televisión.

De 1971 a 1982, el Dr. Seuss escribió siete especiales de televisión, que fueron producidos por Enterprises DePatie-Freleng y al aire en CBS: El gato (1971), El Lorax (1972), Dr. Seuss on the Loose (1973), The Hoober-Bloob Highway (1975), Halloween is Grinch Night (Noche Grinch) (1977), Pontoffel Pock, Where Are You? (1980), The Grinch Grinches (1982). Varios de estos especiales fueron nominados y ganó varios premios Emmy.

Un cortometraje animado Soviético en pintura sobre vidrio llamado Welcome (Bienvenido) (adaptación de Thidwick el Alce de gran corazón) se hizo en 1986. La última adaptación de las obras del Dr. Seuss antes de su muerte fue La Batalla de libros de Mantequilla (The Butter Battle Book), un especial de televisión basado en el libro del mismo nombre, dirigida por la leyenda de animación para adultos Ralph Bakshi. El mismo Geisel llama al especial "la más fiel adaptación de su obra."

Hacia el ocaso de su vida Seuss suavizó su política y permitió la realización de más series animadas y juguetes basados en sus personajes, por lo general de El Gato y Grinch.

Películas

Jacob Myers interpretando a El gato en el sombrero en Seussical, un musical de Broadway.

Cuando Seuss falleció a causa de cáncer en 1991 los derechos de sus creaciones pasaron a manos de su viuda Audrey Geisel quien aprobó una versión con actores reales de ¡Cómo el Grinch robó la Navidad! protagonizada por Jim Carrey. También ha permitido la creación de musicales para Broadway uno llamado Seussical que está basado en ¡Horton escucha a Quién! y una versión de ¡Cómo El Grinch robó la Navidad!. En el 2003 El gato en el sombrero, fue llevada a la pantalla grande protagonizada por Mike Myers, a Audrey Geisel no le agradó esta versión cinematográfica ya que sus diferencias de la historia original fueron un pocos extrañas y afirmó que no se harían más adaptaciones con actores reales de ningún libro de su esposo entonces una planeada sequela basado en "El gato en el sombrero viene de nuevo" fue cancelada.

En marzo de 2008 se estrenó Horton y el mundo de los Quién la animación por computadora del libro ¡Horton escucha a Quién! (Horton Hears a Who!), donde Jim Carrey hace la voz del personaje principal, El Elefante Horton

El 2 de marzo del año 2012, Universal Studios y Illumination Entertainment lanzaron una película 3-D generada por computadora basada en el libro, llamada El Lorax. El lanzamiento coincidió con el cumpleaños número 108 de Seuss. El reparto incluye a Danny DeVito como el Lorax, Zac Efron como Ted (el joven del libro), y a Ed Helms El-Una-Vez. La película incluye varios personajes nuevos: Rob Riggle como O'Hare (villano de la peli), Betty White como Norma la abuela de Ted, y a Taylor Swift como Audrey la enamorada de Ted (nombrada así en honor a Audrey Geisel, la viuda de Dr. Seuss). La película debutó en la posición # 1 en la taquilla, ganando 70 millones de dólares. La película finalmente recaudó un total de $ 214.030.500.11

Seuss Landing

Isla en el parque temático Islands of Adventure
Los personajes de los libros de Dr. Seuss pueden apreciarse en un parque de diversiones llamado Seuss Landing en el parque temático Islands of Adventure perteneciente a los estudios universal en Orlando, Florida.
El parque cuenta con diferentes secciones como:
Cats, hats & things. La cual es una tienda donde se pueden hallar camisetas, juguetes y regalos diversos.
All the books you can read. La cual es una tienda donde encontrarás tanto libros como DVDs.
Snookers & snookers Candy Cookers. Como su nombre lo indica es una dulcería donde encontrarás snacks, manzanas cubiertas de caramelo o chocolate y algodón de dulce, entre otros.
Mulberry Street store. Aquí encontrarás lentes, tazas, ropa, souvvenirs, sombreros, pelucas y mucha mercancía del Grinch y el gato ensombrerado.
Para mantenerse apegados a la esencia de los libros en el parque no existe ni una sola línea recta, todo es curvo.

Versiones animadas

El Grinch (How The Grinch Stole Christmas)
Horton y los micro-seres
El gato en el sombrero (The Cat in the Hat)
El Lorax, especial de televisión de 1972
El Dr. Seuss anda suelto (Dr. Seuss on the Loose!)
La Autopista Hoober-Bloob (The Hoober-Bloob Highway) (1975)
Halloween Is Grinch Night (1977)
Pontoffel Pock, Where Are You? (1980)
The Grinch Grinches the Cat in the Hat (1982)
La Batalla de la Mantequilla The Butter Battle Book(1989)
Mayzie Cabeza en Flor Daisy-Head Mayzie (1995)
Horton y el mundo de los quién
Dr. Seuss' The Lorax

Obras traducidas al español

Traducir los libros de Dr. Seuss es un gran reto, pues las rimas y su estilo de escritura deben ser adaptados a los otros idiomas. La cubana Yanitzia Canetti fue nombrada la traductora oficial de Dr. Seuss al español y ha traducido sus libros desde entonces.
Obras traducidas por Yanitzia Canetti[editar]
¡Cómo El Grinch robó la Navidad! (2000)
¡Horton escucha a Quién! (2002)
El gato en el sombrero viene de nuevo (secuela de "El Gato En El Sombrero"2004)
Un pez, dos peces, pez rojo, pez azul (2005)
Y pensar que lo vi por la calle Porvenir (2006)
¡Hay un molillo en mi bolsillo! (2007)
Yoruga la tortuga y otros cuentos (2009)


Oh, the Places You'll Go at Burning Man!

¡Oh, cuan lejos llegarás!
Hoy es tu día.
¡Grandes lugares visitarás!
¡Te alzarás y partirás!
Con cerebro en tu cabeza.
Con pies en tus zapatos.

Cualquier dirección escojerás
que tus pies quieran encontrar
Por tu cuenta andarás y bien lo sabes
Adónde ir eres tú quien decidirá.

Mirarás calle arriba y calle abajo.
Mirarás con cuidado.
Algunos te dirán "En esa dirección no escojas avanzar"
Pero con tu cabeza llena de cerebro
y tus zapatos llenos de pies,
tú eres demasiado listo para bajar
por ninguna calle no debas transitar.

Y puede que no encuentres ninguna por la que desees viajar.
En ese caso, por supuesto,
te dirigirás directamente fuera de la ciudad.

Al aire libre estupendo se está
Y hay mil cosas que pueden ocurrir y frecuentemente ocurren
a gente con tanto cerebro y tantos pies como tú.

Y cuando las cosas empiecen a ocurrir, no te preocupes. No te sulfures.
Sigue directamente adelante. Tú empezarás a ocurrir también.

¡Oh, cuan lejos llegarás!
¡Estarás en camino! ¡Estarás viendo grandes cosas!
Te unirás a personas ambiciosas
que a grandes alturas volarán.

No te quedarás atras,
porque tendrás la velocidad.
Pasarás a toda la pandilla
y pronto en cabeza irás.

Donde quiera que vueles,
serás el mejor de los mejores.
Donde quiera que vayas,
superarás a todos los demás.

Excepto cuando así no será.
Porque, algunas veces, no será.
Lamento decirlo así pero, tristemente,
la verdad es que Bang-ups y Hang-us pueden ocurrirte.

Puede quedarte colgado de una rama espinosa.
Y tu pandilla volando te pasará.
Plantado te quedarás.
Del plantón por fin saldrás,
con una fea magulladora que mostrar.

Y oportunidades habrá,
en que en una bajada caerás.
Cuando en la bajada estés,
divertida la cosa no la será
Y des-bajarte ardua empresa resultará.

A un lugar llegarás
donde las calles marcadas no están.
Algunas ventanas iluminadas verás
Pero sobre todo oscuras las encontrarás.

Un lugar en el que podrías torcerte a la vez el codo y la barbilla!
¿Te atreves a quedarte?
¿Te atreves a entrar?
¿Cuando pudes perder?
¿Cuanto puedes ganar?

Y si entras, ¿deberías girar a izquierda o derecha...
... o justo tres cuartos?
¿O tal vez no tanto?
¿O dar la vuelta y asomarte desde atrás?

Para ser un tipo de mente despierta,
me temo que descubrirás,
despertar su mente fácil no resultará.

Puedes acabar tan confundido
que empezarás a correr a toda prisa
por largas carreteras contoneantes a paso aterrador...
Y vagando durante millas
a través de salvajes páramos inexplorados,
irigiéndote, me temo,
hacia los lugares más inútiles.

El lugar de espera.
... para gente que solo espera.
Espera un tren que coger
o un autobús que llegará, o un avión al que subir
o el correo por venir, o la lluvia que caerá
o el teléfono que sonará, o la nieve que nevará
o espera alrededor de un Sí o No
o esperan a que le crezca el pelo.

Todo el mundo está simplemente esperando
Esperando a que el pez pique
o esperando al viento para una cometa volar
o esperando la noche del viernes
o esperando, quizás, a su tío Jake
o a que hierva una cazuela, o un Better Break
o un collar de perlas, o un par de pantalones
o una peluca de rizos, u Otra Oportunidad.
Todo el mundo espera sin más.

¡NO!
¡Eso no es para ti!
De algún modo escaparás
de toda esa espera y espera.
Encontrarás los lugares brillantes
donde está tocando la Boom Bands
con las banderas ondeando, una vez más.

¡Alto remontarás!
Listo para cualquier cosa bajo el cielo.
Listo porque tú eres ese tipo de tí@!

¡Oh, cuan lejos llegarás!
¡Que divertido será!
Hay puntos que anotar
Juegos que ganar.
Y las cosas mágicas que puedes hacer
con esa pelota que te harán el ganador/a más ganador/a de tod@s.

¡Fama!
Serás tan famos@ como famos@ se pueda ser,
con el mundo entero viendote ganar en la televisión...
Excepto cuando no lo hagan
Porque algunas veces, no lo hacen.

Me temo que algunas veces jugarás juegos solitarios también
Juegos que no puedes ganar
porque contra ti mismo jugarás.

Totalmente solo, te guste o no,
Sol@ será algo que te sentirás bastante
Y cuando solo estés,
hay muy buenas probabilidades de que encuentres cosas
que te asustarán hasta hacerte mear en los pantalones.

Hay cosas, carretera abajo entre la ceca y la meca,
que te asustarán tanto que no querrás seguir.
Pero seguirás aunque el clima sea apestoso.
Seguirás aunque tus enemigos te ronden.
Seguirás aunque el hakken-Kraks aulle.
Remontando un montón de riachuelos aterradores,
aunque los brazos puedan escocerte
y tus zapatos de lona empaparse.

Sin parar caminarás.
Y sabes que lejos llegarás y
encararás tus problemas sean cuales sean
Te enredarás, por supuesto, como ya sabes.
Te enredarás con muchas aves extrañas y seguirás.

Estate seguro cuando des un paso.
Pisa con cuidado y gran tacto
y recuerta esto:
La vida es un gran juego de equilibrio.
Nunca olvides ser diestro y hábil.
Y nunca enredes tu pie derecho con el izquierdo.

¿Y tendrás éxito?
¡Si! ¡Lo dentrás, sin duda!
(98 y tres cuarto por ciento garantizado)

¡Chic@, moverás montañas!
Así que, te llames Buxbaum,
o Bixby o Bray
o Mordecai Ali Van Allen O'Shea
¡a grande lugares llegarás!
¡Hoy es tu día!
Tu montaña te espera.
¡Así, que ponte en camino!

(texto traducido)
http://trueuz.blogspot.com.es/


Oh! The Places You’ll Go!

Congratulations!
Today is your day.
You’re off to Great Places!
You’re off and away!

You have brains in your head.
You have feet in your shoes.
You can steer yourself any direction you choose.
You’re on your own. And you know what you know. And YOU are the guy who’ll decide where to go.

You’ll look up and down streets. Look’em over with care. About some you will say, “I don’t choose to go there.” With your head full of brains and your shoes full of feet, you’re too smart to go down a not-so-good street.

And you may not find any you’ll want to go down. In that case, of course, you’ll head straight out of town. It’s opener there in the wide open air.

Out there things can happen and frequently do to people as brainy and footsy as you.

And when things start to happen, don’t worry. Don’t stew. Just go right along. You’ll start happening too.

Oh! The Places You’ll Go!

You’ll be on your way up!
You’ll be seeing great sights!
You’ll join the high fliers who soar to high heights.

You won’t lag behind, because you’ll have the speed. You’ll pass the whole gang and you’ll soon take the lead. Wherever you fly, you’ll be best of the best. Wherever you go, you will top all the rest.

Except when you don’t.
Because, sometimes, you won’t.

I’m sorry to say so but, sadly, it’s true that Bang-ups and Hang-ups can happen to you.

You can get all hung up in a prickle-ly perch. And your gang will fly on. You’ll be left in a Lurch.

You’ll come down from the Lurch with an unpleasant bump. And the chances are, then, that you’ll be in a Slump.

And when you’re in a Slump, you’re not in for much fun. Un-slumping yourself is not easily done.

You will come to a place where the streets are not marked. Some windows are lighted. But mostly they’re darked. A place you could sprain both your elbow and chin! Do you dare to stay out? Do you dare to go in? How much can you lose? How much can you win?

And if you go in, should you turn left or right…or right-and-three-quarters? Or, maybe, not quite? Or go around back and sneak in from behind? Simple it’s not, I’m afraid you will find, for a mind-maker-upper to make up his mind.

You can get so confused that you’ll start in to race down long wiggled roads at a break-necking pace and grind on for miles across weirdish wild space, headed, I fear, toward a most useless place.

The Waiting Place…for people just waiting.

Waiting for a train to go or a bus to come, or a plane to go or the mail to come, or the rain to go or the phone to ring, or the snow to snow or waiting around for a Yes or No or waiting for their hair to grow. Everyone is just waiting.

Waiting for the fish to bite or waiting for wind to fly a kite or waiting around for Friday night or waiting, perhaps, for their Uncle Jake or a pot to boil, or a Better Break or a string of pearls, or a pair of pants or a wig with curls, or Another Chance. Everyone is just waiting.

No! That’s not for you!
Somehow you’ll escape all that waiting and staying. You’ll find the bright places where Boom Bands are playing. With banner flip-flapping, once more you’ll ride high! Ready for anything under the sky. Ready because you’re that kind of a guy!

Oh, the places you’ll go! There is fun to be done! There are points to be scored. There are games to be won. And the magical things you can do with that ball will make you the winning-est winner of all. Fame! You’ll be famous as famous can be, with the whole wide world watching you win on TV.

Except when they don’t. Because, sometimes, they won’t.

I’m afraid that some times you’ll play lonely games too. Games you can’t win ‘cause you’ll play against you.

All Alone!
Whether you like it or not, Alone will be something you’ll be quite a lot.

And when you’re alone, there’s a very good chance you’ll meet things that scare you right out of your pants. There are some, down the road between hither and yon, that can scare you so much you won’t want to go on.

But on you will go though the weather be foul. On you will go though your enemies prowl. On you will go though the Hakken-Kraks howl. Onward up many a frightening creek, though your arms may get sore and your sneakers may leak. On and on you will hike. And I know you’ll hike far and face up to your problems whatever they are.

You’ll get mixed up, of course, as you already know. You’ll get mixed up with many strange birds as you go. So be sure when you step. Step with care and great tact and remember that Life’s a Great Balancing Act. Just never forget to be dexterous and deft. And never mix up your right foot with your left.

And will you succeed?
Yes! You will, indeed!
(98 and ¾ percent guaranteed.)

Kid, you’ll move mountains!
So…be your name Buxbaum or Bixby or Bray or Mordecai Ale Van Allen O’Shea, you’re off to Great Places!
Today is your day!
Your mountain is waiting.
So…get on your way!












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MARCO ANTONIO TORIZ SOSA [18.929]

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MARCO ANTONIO TORIZ SOSA

Marco Antonio Toriz Sosa (Ixtapaluca, Edo. de México, 1996). Estudiante de Lengua y Literaturas Hispánicas en la Facultad de Filosofía y Letras de la UNAM. Fue becario de la Fundación para las Letras Mexicanas y la Universidad Veracruzana en el séptimo Curso de Creación Literaria, becario del Festival Interfaz ISSSTE-Cultura “Los signos en rotación” Acapulco 2016, así como partícipe en el taller de narrativa impartido por Eduardo Antonio Parra en las oficinas de la editorial ERA. Cultiva el género fantástico, policíaco y de ciencia ficción. Ha ganado el segundo lugar en el concurso 46 Punto de Partida de la UNAM en la modalidad de cuento. Actualmente es dictaminador de narrativa y publica una columna libre en la revistaPrimera Página, hecha por estudiantes de la Facultad de Filosofía y Letras, bajo el seudónimo de Anaïs Veränderung. Algunos de sus cuentos han sido publicados en Osario, Primera Página y Punto de Partida. 



BARGAIN

(Fragmentos).

A ella, la de los ojos de estrella
Y el corazón de piedra.
A ella, todo. Siempre.


“Este amor ya sin mí te amará siempre”.
Ángel González.


I.

Mi nombre es tan común como una puerta
O como un cuadro sin imagen.
Llamarse como yo es respirar dolores y expulsar franquezas.
A quien lleva mi nombre no le digo tocayo
Sino Hermano estoy contigo en tu dolor
Yo te entiendo, Todo va a estar bien.
Pero hasta ahora no conozco a nadie con mi nombre,
Y decírselo al espejo es muy difícil todavía.


II.

Mi pecho es una serie incierta de certezas:
Mi dolor no es mortal estrictamente.
No he perdido a un familiar amado,
No me he quedado sin techo,
No he pasado hambres prolongadas
Ni he padecido enfermedades de muerte.
Simplemente sufro de amor,
Y ese es un dolor perecedero.
La vida está llena de vaivenes,
El tiempo pudre lo que no comprende
Y los males cotidianos comienzan a apestarse.


III.

Soy hijo, hermano y esclavo;
Cada quién sabe
Qué parte de mí le corresponde.


IV.

No porque diga Soy malo
Tiento a la rudeza y escapo a los aromas
O digo que no tengo sentimientos.
Es bien sabido que el que actúa
Es muchas veces contrario a lo que dice.
Pero no puedo evitarlo:
A veces me paso de verga,
Y no es por culero u ojete,
Es simplemente mi fisonomía.


V.

A veces la lluvia me agarra
En los lugares menos previstos,
En donde guarecerse es utopía.
Pasa igual con muchas cosas:
Cuando llego, el metro ya salió.
Cuando el tránsito estuvo despejado, tuvo que apagarse el coche.
Cuando llegué a la cama ya no estaba el sueño.
Cuando empecé a amarte, tú ya te habías ido.


VI.

Ni el mar limpia impurezas,
Ni se lleva las desgracias.
Lo sé por experiencia.
Ayer dejé que me envolviera,
Que me arrastrara con furia
Hasta quitar todo de mí, menos mi cuerpo.
El Mar no se lleva las desgracias,
Lo sé por experiencia:
Todavía sigo pensando en ti.


VII.

Te amo como al adiós,
Como al ayer. Como a una sombra.
Como a lo que fue y sigue siendo.
Como a lo que no será y que aparece
De imprevisto. Te amo.
Te amo como al pasado que perdura,
Como al futuro que no se muestra
Pero que allí está.
Como al olvido. Como al ayer perpetuo.
Te amo siempre en pasado,
Sólo así se justifica el presente por sí mismo.


VIII.

No he cambiado mucho desde entonces.
A veces fumo por temporadas,
Otras veces dejo de fumar,
Y muchas otras no respiro a gusto.
Hay días en que limpio
Mis dientes hasta sangrarlos,
Y paso varias noches seguidas
Sin exprimir el tubo de pasta.
Me sigue maravillando el mar,
Me dejo arrastrar por las olas,
Me pongo a decir mentiras
Para después decir que era broma,
O dejar que crezca la semilla
Hasta las últimas consecuencias.
No he cambiado mucho, ya te digo.
Y en mi eterna repetición,
En mi ilusa comodidad,
En mi falta de respeto y en los días traicioneros,
Sigues estando en vaivén
Como las olas que vuelven siempre al fondo del mar.

 http://circulodepoesia.com/2016/07/poesia-joven-de-mexico-marco-antonio-toriz-sosa/









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JUAN MIGUEL IDIAZABAL [18.930]

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Juan Miguel Idiazabal

Marplatense (1984) Escritor, artista, traductor público, científico-técnico y docente de inglés y traducción, perito traductor, soñador utópico-surrealista, cantante de ducha, nowhere man, pacifista, delirante (Groucho Marx + Goofy).

Antologías y revistas: Poema Símbolos en el Anuario 2001 del Instituto Albert Einstein en ese año; 4 poemas en la antología Letras de Oro 2008 (Ed Nuevo Ser). Poemas publicados en la revista digital Proyecto Rayuela (Argentina-Colombia, 2008). Poemas diversos publicados en Revista La Avispa nº 46, 49, 51, 53, 54, 55, 5 y 60 bis (Ed. Martín); 5 poemas y 2 cuentos publicados en las antologías Fin de Cita y Lea y Punto (Ed Martín) respectivamente del Grupo de La Palabra en 2012; 3 poemas publicados en la antología El Decir Textual 2013 (Ed De los 4 Vientos); 8 poemas publicados en la antología En Pocas Palabras – Microficciones 2013 (Ed Martín) de la Colección DeLaPalabra; 1 poema publicado en la Antología LAIA IV – Certamen de Poesía 2013: Aromas de Ciudad (La Ovejita de Papel) de la Latin American Intercultural Alliance; 1 poema publicado en la antología de Las Uñas Sucias y Otras Poesías/La Vincha Roja de Mabel y Otros Cuentos 2014 (Ed Alma de Diamante). Mi poema WaR en inglés sobre la guerra de Malvinas ha sido referenciado en los sitios http://www.greendove.net/poetry9falkanconflict.htm y en http://voiceseducation.org/node/666. Poemas y nota en La Perla Literaria (2013, Argentina). Poema antologado en El canto eterno (2014, Movimiento Poetas del Mundo y Apostrophes Ediciones); poema antologado en la Antología FIPA 2014 (Ed. Martín). Cuento antologado en Mar del Plata: personajes, mitos y leyendas de la Colección DeLaPalabra (2014, Ed. Martín). Poema antologado en El libro de los talleres Vol. 24 (2014, Editorial Dunken). Poemas antologados en audiolibro Acapulco Raiders Inc. (2016, La Prosa Mutante publicación independiente). Poemas publicados en revista digital María La Bizca Nº 0 (2015, publicación independiente). Cuento y poemas publicados en revista digital Gealittera Nº 9, 11, 12, 13, 16, 17, 19 (España-Argentina). Poemas publicados en la revista Arribos nº 0 (2015, Grupo Faro Indios Verdes, México). Poemas publicados en la antología Poesía para vencer la derrota (2015, Hebra Editorial, Chile). Poemas publicados en el nº 10 de la revista digital estadounidense Maudlin House (2015). Poema publicado en la edición digital de la revista argentina El Corán y el Termotanque (2015). Poemas publicados en la antología internacional Voces Celestiales (2015, Isla Negra Editorial, Poetas del Mundo, y Alfred Asís). Poema publicado en 20 Poemas Desesperados a Sasha Grey -Antología Colectiva- (Hebra Editorial, Chile). Poemas publicados en el suplemento de cultura del Diario La Capital de Mar del Plata. Poemas publicados en la Revista Trasuntos nº1 (2016) editado por la Asociación de Estudiantes de Estudios Hispánicos Subgraduada-UPR RP de la Universidad de Puerto Rico. Poemas publicados en la revista digital venezolana Digo.Palabra.txt (2016). Poemas publicados en la revista digital Metaforología (2016). Poemas publicados en la revista digital española Puta Intensidad (2016). Poema públicado en la antología Berta Cáceres (2016, Biblioteca de las Grandes Naciones, País Vasco).

Premios: Obtuve el 2º premio en el “Concurso de Cuentos Cortos-Premio CEM 2012” por mi cuento La mejor maga del mundo. Obtuve el 2º premio en el 1º Slam de Poesía Oral de Mar del Plata 2014 y el 3º premio en el 2º Slam de Poesía Oral de Mar del Plata 2015.

Membresías: Miembro del movimiento internacional Poetas del Mundo. Miembro del comité organizador del 2º Festival Internacional de Poesía del Atlántico -FIPA- 2014; Jurado del cuento y poesía del “Concurso de Cuentos Cortos y Poesía-Premio CEM 2014”. Desde enero 2013, miembro y organizador del colectivo y ciclo de experiencias literarias La Prosa Mutante de Mar del Plata (Argentina).

Otras expresiones artísticas: realicé 2 exposiciones fotográficas en Piano Bar (Mar del Plata, 2014). Mi corto experimental Reflexión se puede encontrar en el siguiente enlace: https://vimeo.com/126404887

Libros publicados: E-libro 4 Estaciones de Haikeu auto-publicado en 2008 (fuera de circulación). Libro de relatos Hormiguero y otros relatos (2014, Ed. Taller de Letras - ISBN: 978-987-29730-7-0). Libro de poesía social S.O.S. Ciudad Enferma (2015, Ed Martín - ISBN: 978-987-543-761-6). Libro de poesía bilingüe español-inglés On Request/A Pedido (2015, CreateSpace Independent Publishing Platform - ISBN: 978-1519642226).

Poseo un proyecto editorial de plaquetas de bajo costo llamado Heresunge Editorial.

Desde 2008 tengo 2 blogs de poesía 

http://kratosdelaslenguas.blogspot.com (español) y 
http://southerncrosspoetry.blogspot.com (inglés.)





Envejecemos
La ciudad se torna gris
Pero nacemos

*

Las hormiga
Dejaron de trabajar
Les toca descansar

*

Las flores nacen
Despiertan de su largo
Letargo invernal.

*

Las noches son más
Cortas pero a la vez más
Largas que antes.

4 Estaciones - Extracto




Ecuaciones

injusticia arbitrariedad atropello avasallamiento inmoralidad abuso dolor sinrazón tiranía ilegalidad cacicada terrorismo impunidad desconsuelo maldad suplicio tortura angustia congoja pena daño calvario tormento desolación agonía enfermedad delito corrupción infracción violación dictadura abuso despotismo maltrato explotación depredación usurpación dominación extremismo amenaza masacre delincuencia locura

Sumo todo y lo divido por 522 años,
me da América.

A ese resultado lo divido por 35 estados nacionales soberanos,
me da México.

A México lo divido por 43,
me da muerte.

injusticia arbitrariedad atropello avasallamiento inmoralidad abuso dolor sinrazón tiranía ilegalidad cacicada terrorismo impunidad desconsuelo maldad suplicio tortura angustia congoja pena daño calvario tormento desolación agonía enfermedad delito corrupción infracción violación dictadura abuso despotismo maltrato explotación depredación usurpación dominación extremismo amenaza masacre delincuencia locura

Sumo todo y lo divido por 1392 años,
me da el mundo árabe.

A ese resultado lo divido por 48 estados nacionales soberanos,
me da el Estado Islámico de Irak y el Levante,

al EIIL lo elevo por EEUU
me da muerte.

injusticia arbitrariedad atropello avasallamiento inmoralidad abuso dolor sinrazón tiranía ilegalidad cacicada terrorismo impunidad desconsuelo maldad suplicio tortura angustia congoja pena daño calvario tormento desolación agonía enfermedad delito corrupción infracción violación dictadura abuso despotismo maltrato explotación depredación usurpación dominación extremismo amenaza masacre delincuencia locura

Sumo todo y lo divido por 10.000 años de “civilización”,
me da el mundo actual.

Al mundo actual lo divido por 2014 años de dominación occidental,
me da muerte.




Sin título 60

En la ciudad de las ratas
una última gota de sangre
anuncia que la ciencia ficción
ha matado al último de los unicornios
y en un ataque de psicosis
los fantasmas de mi pasado
salen a reclamar mis derechos de nacimiento
mientras desaparezco
del imaginario colectivo
en la noche amable.




Despierta Buenos Aires en invierno

Mi piel muta de color,
permuto mi calor,
las luces de la fulgurante ciudad me despiertan,
las chicas argentinas desfilan bajo paraguas parisinos color verde limón,
sigo esperando el diario
el frugal desayuno internacionalista se dio a la fuga en mi sistema digestivo,
lentamente,
mientras amanece la gris metrópolis llora,
la soda de mi vaso se esfuma
se condensa
y
llueve dentro del mismo vaso precipitado,
el gas no cambia de posición como el obelisco,
las adormiladas masas marchan
el paso marcial de un tango oficialista/opositor,
la contaminación sonora viene de adentro de los porteños mismos,
las noticias vienen de muy lejos, se ve,
porque yo las sigo esperando,
un relámpago solitario me recuerda el porqué de mi viaje,
unos linyeras ríen en la puerta,
la máquina de helados me sopla su hediondo sabor
a aburrimiento,
el diario sigue sin arribar,
es demasiado temprano en la Capital
y mi bandeja sólo me regala basura.




Tango de la muerte

Pasos
en la pista de baile…
toc toc toc
la policía ordena
el 2×4 resulta en
ocho
muertos en los telediarios
se habla de violento desalojo,
pasos marcados
en sangre de inocentes
que espíritus siguen marcando
cada bala es una década
marcada como los pasos
ensangrentados en la pista,
memoria de una canción desmemoriada
que el compositor se llevó
a su tumba
para tocarle a sus camaradas
esperándolo en la milonga
de Dios.




El silencio del campo

ondea
entre tanto llano
cables de electricidad
árboles de tensión
vacas tumbadas por el calor
un pedido de cordura
nadie sabe
cómo llegó allí;
cómo hacerlo cumplir.

Rojo punzó la tela,
dorados sus caracteres,
suena una campanilla,
pedido de cordura ahogado,
el silencio del campo
se traga todo.




Yendo a trabajar

La cucaracha sube al colectivo,
no le alcanza, el dinero,
la SUBE lo baja,
camina por distópicas veredas,
una manifestación
de perros agorilados lo sorprende,
susurran consignas
que el viento amplifica:
“el helado de soja es rico en uranio 238”
“el evangelismo transplutonita amalgamado es la verdadera religión”
“el salto del tigre invertido tiene que ser deporte olímpico de invierno”
“soldar con la boca está in”
“1 elevado a la menos diez es el número del diablo del norteño”
“comer pebetes de cantimpalo sirio y fiambrín con pistachos te convierte en revolucionario kurdo”
la mariposa sigue su camino
al llegar al banco
el silbido de su capataz de unidad básica
lo convierte en colectivero,
una cucaracha apurada sube a su unidad,
la baja pues no le alcanza el dinero.



Yerba húmeda

Gatitos tocan noise
la ciudad marca el ritmo.

Tarjetas de fichar
agujereadas pestañas.

Gotean lágrimas de grasa
no hay chapas o cartones
que nos cubran.

Colchón lleno de esperanzas,
                       miserias cucaracheadas.

Todo sube
como el agua del arroyo,
nos ahogamos
en deudas amargas.

Se lavó el mate,
seguimos secando la yerba,
lo último dulce que probamos
fue la hostia el domingo.

Huracanado sábado
llega a su fin (por fin);
también,
la niña de la Paca.

Luego de los amargos
lavados
mis niños
probarán bocado (por fin).

Soy un acantilado,
gatitos ronronean a mi alrededor,
sobrevivir hasta el lunes,
hasta los ángeles del plato de comida,
que aliviarán esta ojerosa tristeza.

Domingo asoma su cabeza,
lágrimas gotean
mis gatitos roncan el noise de la ciudad,
la yerba sigue húmeda
como mi colchón.



Emer-gencia

“Emergencia, las dos palabras más dulces del idioma. Emer-gencia. Emer-gencia.” 
Homero J. Simpson.



Emergencia educacional,
emergencia de seguridad,
emergencia judicial,
emergencia económica,
emergencia fiscal,
emergencia ecológica,
emergencia de salud,
emergencia forestal,
emergencia monetaria,
emergencia social,
emergencia política,
emergencia vial,
emergencia portuaria,
emergencia agropecuaria,
emergencia minera,
emergencia cambiaria,
emergencia laboral,
emergencia ocupacional,
emergencia municipal,
emergencia provincial,
emergencia nacional.

Emergencia en vez de crisis,
216 años de emergencia,
seguimos pagando platos rotos,
pueblo solidario,
funcionarios hijos de puta,
critican/quejan/justifican
nos cagan la vida,
la emergencia es para nosotros,
ellos y ellas,
siguen brindando pizza con champagne.



Niños muertos

Arena escapa de los dedos
del niño que se inmola;
ya no juega durante el recreo,
se esconde de la lluvia
de bombas y balas,
el viento lleva su alma
arremolinada entre la arena,
manchada de inocencia.



Tercera guerra mundial

El mundo confluye,
con bombos y bombas,
sobre Oriente Medio
que ya parece 1/8,
metástasis a la europea
con células en Líbano,
                       Kenia,
                       Paquistán,
                       India,
                       Nigeria,
sólo que no dan rating.

El temor se apodera
de los medios masivos,
el odio de las balas
en París
resuena en las bombas
sobre Beirut
que crean un efecto mariposa
en Kinshasa.

Mientras las masas
deambulan muertas en vida,
los muros inyectan odio.

Facebook caretea con banderas,
los muertos con nacionalidad no-europea
no existen más                                               en el cofre.

Todos somos Francia,
pero también somos
                                   Líbano / Siria / RD Congo / Congo / Nigeria / Marruecos / Malí / Turquía / Paquistán / Irán / Iraq / Zaire / Egipto / Palestina / Ucrania / Israel / India / Kenia / Macedonia / Grecia / Australia / Afganistán / Argelia / Yemen / Omán / Arabia Saudita / Chechenia / Daguestán / Filipinas / Jordania / etc…

La libertad y la vida
no se negocian
todos tus muertos
valen lo mismo.






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FRANCISCO JAVIER BUSTOS BRIONES [18.931]

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Francisco Javier Bustos Briones 

(Santiago de Chile, 1982). Es autor de Un grito de otono en un jardín de rosas histéricas, libro de poemas publicado por  El Ángel Editor de Ecuador en el año 2015. Fue poeta invitado al Encuentro de Poesía Paralelo Cero, 2016. Es editor cartonero y diseñador de libros artísticos de poesía.



CUERVO

El oído se vuelve sordo con el eco de tu ruido.
Vienes acechando con tus alas extendidas, dando aletazos que llenan el espacio.
No dejas de dar aletazos, esos vienen como gritos de espanto, acorralando cada gramo de aire fresco que se cruza en tu vuelo.
Vas templando el cielo para deslizarte a tu antojo, entre sombra y sombra se te ven los huesos.
Eres una lanza en picada con tus alas encogidas, giras con prisa para clavarte de prisa.
Has dejado dos hoyos en lugar de ojos, quedando un grito contenido sin ser atendido.
Un crujir de garganta, una boca abierta.
Un momento sin movimiento petrificado en el tiempo.
Vuelves a levantar el vuelo, buscando otras cuencas que brillen de asombro para sacarle los ojos.

 

VENDAVAL

¡Ciudad!
Ciudad, ha pasado más de medio quintal de harina por entre mis dedos abiertos.
Harina blanca.
Blanca harina entumecida.
Ciudad, han pasado tus cuatro vientos repetidas veces por mi cuerpo.
Ciudad, veo pasar tus seres.
Seres que ríen, se abrazan, se estrujan, se empujan, se abrazan, se besan, se miran.
Seres que gritan, se odian, se empujan, se escupen, se golpean, se matan.
Seres que lloran, seres que abrazan.
Seres inocentes, seres en brazos, seres limpios de ojos intactos, seres sin palabras, seres de llantos y gestos, seres puros.
Seres que abren el cielo, abren corazones, abren sentimientos, abren cabezas.
Seres que te detienen ciudad áspera.
Dejan el tiempo sin minutos ni segundos; solo flotan en el aire sus risas risueñas, risas que traen suavidad por pequeños segundos, segundos de vida en pequeñas risas.
Ciudad, he salido.
Ciudad, he salido esta tarde – noche a sentarme en tu lomo.
Antes de salir ha sentir tu viento, puse entre mis brazos a mi pequeño retoño.
Retoño dulce y amable.
Retoño con el pelo ensortijado prendido en llamas.
Retoño que es un vendaval.
Un verdadero vendaval que revuelve con su tierno aire mi corazón salvaje.
Lo he dejado con los ojos cerrados suspirando por su pequeña boca.
Suspirando su pequeño aliento inocente.
Ciudad, querrás robarte su aliento.
Ciudad, que preguntas por qué tengo los ojos en llamas y la frente afiebrada.
Ciudad, no olvides que soy un vendaval.
Vendaval de día.
Vendaval de noche
Vendaval que está sentado en tu lomo
Vendaval en mis pestañas
Vendaval hasta el final
Vendal hasta que no quede viento que soplar.

 

PÁJARO

Dedicado a todos aquellos que dejaron su tierra, aire y cielo.
En busca de otros suelos…

Se mordió el corazón y se metió una reserva de orgullo en los bolsillos vacíos.
Por si le hacia falta, saboreo el ¡último pan con queso!, antes de emprender el vuelo.
Sin pedir silencio, soltó una mueca… le dijo adiós a todo y cerro la puerta.
La diosa fortuna ya soltó los dados y estos están rodando. Se subió en un pájaro desconocido, un poco incomodo se sentó en el lomo, mientras el pájaro agitaba sus alas, se dijo medio pensativo… ¡hay que ver lo que pasa ahora que ya no seré de casa!
Se mordió un poco los labios y se cruzo de brazos.
Miro un poco hacia abajo… ¡ya no hay como bajar de este pájaro!
Se sumergió entre miedos y sueños dejando caer su cabello.
Despertó riendo medio dormido y bebió una copa de vino.
Sintió el corazón hinchado ya estaba preparado.

 

AUSENCIA

I

Suelos ásperos,
Secos,
por el cual pasan,
mis suelas ausentes.

II

Perecen en ausencia,
mis caídos,
ojos opacos.

III

Ruidos caen como lluvia
en mi cabeza,
que se mueve en este cuerpo,
a la deriva.

 

CABELLO

Cabello que te alimentas de agua viva que brota desde el cielo.
Vertiente constante y sonante de vida.
¡Crece cabello!
Protege este cerebro de todas esas palabras vacías que pululan por la ciudad de bocas abiertas.
Cabello, te mueves con el viento que susurra en tu oído rizado.
Cabello, que caes y descansas sobre hombros de hombre.
Cabello, te estás manchando de blanco, ¡se nota que te has cansado!

 




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KEVIN RAFAEL CUADRADO SERRANO [18.932]

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Kevin Rafael Cuadrado Serrano

Nació en Quito, Ecuador en 1993. Forma parte del Centro Internacional de Estudios Poéticos del Ecuador, desempeñando la función de Secretario de Literatura Juvenil. Obtuvo el segundo premio nacional de poesía del Instituto de Arte Moderno Libre ecuatoriano-argentino en el 2014. Fue parte de la antología poética Poesía para Todos, junto con un poeta argentino, un cubano y dos ecuatorianos, en el año 2015. Es Co-fundador del grupo literario Aporema, donde realizó la publicación de la antología poética Cuatro Estaciones. Colabora con la “Revista Utopía” de la Universidad Politécnica Salesiana.



EL CAFÉ PENDIENTE

Para hablar contigo
debo hacerlo con el revolver en la boca,
ajustarme la corbata hasta ahogar la voz
cerrar los ojos para imaginarte,
robarte la dulzura a golpes,
arrebatarte las caricias con lijas y balas
revolverte las entrañas con mis mordeduras.

Para hablar contigo
debo tener el revolver en la frente,
desnudarme en las ventanas del silencio,
descender de los ascensores ilusorios
y revolcarme en el lodo como un cerdo,
pretenderte como un ave
y dejar mi voz en tu cabeza como el eco
entristecido del suicida.

Para hablar contigo
debo presionar el gatillo del revolver
o saltar del mismo puente que tú lo hiciste
y atravesar la dantesca aventura hasta los cielos,
debo conversar con Lucifer o Jesucristo
y agendarme un minuto en tu oficina
para tomarnos el café pendiente.

Para hablar contigo
debo arrancarme la vida, debo amarte.




LAS ARAÑAS DE TU RECUERDO

Las arañas de tu recuerdo
me recorren la espina dorsal
de hueso en hueso.
Vienen sin llamarlas,
sin aviso ni precaución,
muerden el poco pellejo que queda
y tragan mi sangre para escupirla luego,
se reproducen en cientos
cuando la luz está apagada
y los sonidos que existen
son solo mis gritos.

Las arañas de tu recuerdo
son cientos, miles,
que pueblan el universo,
están bajo los libros,
detrás de los cristales,
en la oscuridad sobre todo
y en cada una de las esquinas
de mi casa.

Me vienen cuando duermo
caminan por mi carne
y muerden los pelitos de mis piernas,
me arrancan la poca humanidad
que me queda,
corroen  con sus dientes de diamante
y me miran dormir
con sus ojos de espejo,
no tienen piedad, no,
las arañas son hijas de tu recuerdo,
se parecen a ti,
únicamente, a ti,
sobre todo, tienen tu belleza,
tus ocho patas
y la misma fatalidad
con la que besas.



CUERPO DE MÁRMOL

Cuerpo de mármol, tallado
con cincel de muerto,
¡Muerto extraño!
más extraño que el silencio,
cuando en tu boca
produce colores,
formas incomparables,
indecibles,
de melodías calladas,
de profundas mudeces,
cuerpo de mármol,
piedra suelta en medio del río,
suelta entre piedrecitas de oro,
corales y cangrejos
con formas extrañas,
inmensas,
monumentales, eternas
como la talla de Miguel Ángel
cuando se vio al espejo,
el mismo cincel esculpió tus labios,
dibujó tus senos,
hizo de ti el cuerpo de piedra,
corazón de piedra,
alma de piedra, que yo tanto quiero.




DICOTOMÍA

Tú: yo mirándome.
Iguales y distintos.
Piedra y martillo.
Eres y no eres,
soy siempre.
Forma y reflejo,
tú solo reflejo.
Ojos y cabeza,
a veces grito.
Cabeza, grito y ojos,
transparentes,
inservibles,
rotos.
Inútiles armaduras.
Alma y cuerpo,
tú y yo.
Cuerpo y cuerpo,
animal y hombre.
Alma y alma,
yo y yo.
No digo que no existas,
pero sin mí no lo haces.
Tú existes porque yo escribo el poema,
si tú lo hubieras escrito,
yo no existiría.
Susceptible,
egoísta,
poesía.
Tú y tú,
irrealidad.
Yo y yo,
futuro.
Tú y yo,
poema.




UNO

Era tan solo un chiquillo cuando vi a mi sombra
disparar al cielo un arma de verdad
hecha de algún metal más fuerte que mis piernas.

Mi sombra disparó y la bala cayó en caída libre,
la esperé, no sé cuánto tiempo esperé
a que la bala cayera sobre mí.

Recogí el casquillo del suelo,
estaba destrozado,
atravesado de plomo y de fuego el alma,
nunca volví a ser el mismo.

Atesoré la bala en un poema,
lo vuelvo a disparar cada noche,
siempre espero que algo muera
mas todo nace.




DOS

Mi (Tu) soledad
es un espejo
en el que no estoy (estás),
no están mis (tus) labios
ni las palabras
que un día dije (dijiste);
mis (tus) ojos no miran el infinito
y mis (tus) pupilas se desorbitan
formando los planetas.

El espejo intenta calmarme (calmarte)
y me (te) miente,
deja rostros que no conozco (conoces)
y le da nombres a cada uno.

Me (Te) miran desde todas partes
con ojos roedores,
olfatos indiscretos
y certeza de que mi (tu) soledad intenta,
con el puñal de la rutina,
matarme (matarte).

El no-reflejo de mí (ti)
en el espejo,
me (te) advierte que soy (eres)
un no-vivo
esperando como un no-vidente
que alguien me (te) mire
y me (te) diga que existo (existes).







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MORALES MONTERRÍOS [18.933]

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MORALES MONTERRÍOS

Roberto Morales Monterríos. Poeta. Nació en Pueblo Hundido, Chile, en 1970.
Premio Municipal Gabriela Mistral 1998 y participante en 1997 del Taller Literario José Donoso de la Biblioteca Nacional, dirigido por Raúl Zurita.
Ha publicado los libros: Príncipe de Chile (2000), Antichton (2004), Pantheon (2004), Hécate (LOM Ediciones, Entre Mares  2009).



Del primer número de Revista CONTRAFUERTE LITERARIO


Lope de Aguirre.



Para que haya orden y reinen cristo y la iglesia

Más importante que la justicia  es la victoria

Más importante que la verdad es el poder


Santo Oficio






VASCO

Vasco

Vasco

Conchetumadre

Que maldigo a mi tierra madre

Y a mi padre

A mi madre

Y a todo aquel que haya rodeado

Mi vida antes de haber nacido de nuevo

En Tierra Firme y maldigo también

A quién se acerque a Chile

Porque de esta provincia tomé mi nueva sangre

Entendieron

Entendieron

Que en estos carajales y en estas rutas sin trazo

Fui hundiéndome hasta encontrar mis bolas bastardas

Soy el desvergonzado

Me senté en la corona

Soy LOPE de AGUIRRE

Entendieron

El que hecho cuartos

Formó las cuatro esquinas del Reyno

Soy el Hombre de esta tierra

Lope

Soy quién les enseñó a mentir a los ojos

Y a matar mirándote

Aguirre
el de las manos sucias

Príncipe de los Pringados

Por amor

Y por amor

Soy el padre de esta tierra

Entonces

SIGO



Felipe hijo de Carlos el invencible

¿Has comido carne humana Felipe?

Mascado carne cruda

Te has chorreado sangre por la comisura

Y sacado la lengua para saborearla

Pues la carne cruda
sabe a mi nombre

Robé el poncho de Castilla

Y lo puse en el cuerpo mordido del diablo

Lope de Aguirre

Fuerte caudillo de los invencibles marañones

Nómbrame
conchetumadre

Lope de Aguirre

Que la ira de Dios resuene en los troncos vocales

Que la sangre humana

La carne cruda

Cruja entre tus dientes

Que el nombre te seguirá donde quiera que vayas

Seguirá a tus hijos

Y los hijos de tus hijos

Porque la medida de mis palabras

No es el oro maldito cabrón
sino la sangre

La Sangre perfumada

Perfumada que baja tibiecita por los ojos del Salado

Mi nombre está en tu sangre




Aguirre

El Traidor

La Ira de Dios



La Mordedura del diablo



Parece que mearan sentados 
todos estos cronistas

Sentados en esas apostasías llevando una vida de cojín y culo Nunca verán sustraerse el verdadero espíritu de la aventura

Qué son los bellos textos de este mundo

Sino Ir

Ir sobre uno mismo

Y subírselo al lomo

Y subirse los latigazos

Seguir de a pie y a pelo muerto

Seguir

Con espada y a pulso

Tuerto

Viudo

Cojo

Seguir

Seguir

Si el hombre es polvo

Esos que andan por el llano son hombres

Firmes como el suelo que los parió

LAS FUERZAS MÁS SALVAJES ABREN CAMINO

Parece que mearan sentados todos estos cronistas

En el grupo de Hurtado venía un cabrón que se quejaba por todo, los mosquitos la comida la lluvia el calor

-Quiero volverme a españa al grupo literario mandril, decía-

Conchetumadre

Qué a punta de patada en el culo te enseñé a escribir

Aquí te enseñé a botar los dientes de leche

Y a caminar como un hombre

Erguido enfrentando

Las tormentas de Dios con la frente en alto



Nos comimos la montura

Y con los zunchos fermentados con saliva

Hicimos el mejor licor que he probado durante años

Siempre soñé con llegar a Chile  Ursúa

Siempre

Y mira qué extraños son los caminos







Lope de Aguirre. Príncipe de Chile de Morales Monterríos.

Lope de Aguirre, es un personaje histórico que ha sido recurrentemente retomado tanto por la literatura (Arturo Úslar Pietri o el argentino Abel Posse escribieron novelas sobre él) como por el cine (donde Aguirre, la cólera de Dios de Werner Herzog es la película que primero viene a nuestra memoria). La recuperación de un personaje perteneciente al discurso de la historia, por lo general, se actualiza en el arte a manera de reconsideración de la historia misma como verdad definitiva y sirve para dar luces sobre la situación contextual de producción. Simón Villalobos Parada en su reseña sobre el libro de poesía PRINCIPE DE CHILE (Ed. Cuarto Propio. 2007) del poeta Morales Monterríos, reconsidera tal perspectiva en relación a un personaje que deja de ser el Lope de Aguirre para transformarse mediante el juego del lenguaje en un chileno más, que no por eso deja de ser el príncipe que se autoproclamó. Continúa leyendo la reseña de Simón Villalobos.


LOPE DE AGUIRRE.

Príncipe de Chile.

El Dorado es el nudo mítico del espíritu aventurero del siglo XVI y posteriores, a partir de las ataduras de la conquista, descubrimientos y enfrentamientos varios disgregados por América, este templo o palacio simboliza o concentra la imaginación de la riqueza sin fin y la maravilla medieval proyectada en la vastedad americana. Sin embargo, el Dorado siempre está un paso más allá del alcance de quien lo desea, es un objetivo en constante desplazamiento, su principal característica es la de cegar con su ausencia al espíritu emprendedor que colapsa, conspira o medita temeroso en el senda hacia él, inventando los monstruos que lo cercan. La aventura americana, esto es, la aventura occidental en América, es el recorrido de o hacia este mito, desde el primer avistamiento de Colón, que inaugura el conocimiento de las indias occidentales, hasta la United Fruit Company, la explotación del caucho por la Firestone en Brasil y, por último, la individualización de ese tesoro, odisea y guerra en la acotada geografía personal de cada uno.



Lope de Aguirre fue uno de tantos soldados que viajó a América a principios del siglo XVI para luchar en favor de la corona española, propietaria del continente, buscando enriquecerse, como tantos otros, en esa lucha. Sin embargo, este personaje es un punto de inflexión en la historia de la conquista. Luego de sus primeros avatares, asesinatos, condenas y castigos; luego de las múltiples batallas entre españoles y contra los alzamientos indígenas, envejecido -cercano a los cincuenta años-, con sus miembros lesionados y aún pobre, decide enrolarse en la expedición que se interna en la selva hacia el Dorado. En medio de la previsible catástrofe de esta empresa, proporcional a su internación en la selva, Aguirre asume protagonismo en las conspiraciones que en cierto sentido fueron -o son- la salvación frente a la necedad de sus dirigentes. Aguirre asume el lugar del rebelde, pero también del loco y del asesino estratega y del asesino ensañado, en fin, del peregrino americano que antes de hundirse, hunde toda la estructura que lo hiere. Asesina a los líderes de la expedición, uno tras otro -aunque él mismo nombrara a los sucesores uno tras otro- y se alza lanzando un desaforado desafío al rey Felipe II mediante una carta en la cual lo desacredita diciendo: no puedes llevar con título de Rey justo, ningún interés destas partes donde no aventuraste nada, sin que primero los que en ello han trabajado sean gratificados. Firma esta carta el Príncipe de la Libertad de los Reinos de Tierra Firme y las Provincias de Chile. De esta manera, guía un ejercito de vencidos españoles, pobres cansados en los frutos y réditos desta tierra, exigiendo a su rey: igual justicia, premio, paraíso e infierno para cada hombre que se ha esforzado en la conquista española. Justamente cuando ni premio, ni paraíso había sido encontrado, Aguirre se adelantaba a recibir su cristiano infierno.

El otro polo del Dorado es justamente Chile, territorio en los márgenes del virreinato del Perú, notablemente menos rico, y al cual Aguirre nunca llegó, pero cuya imagen alejada, por azar del nombre y la historia, permite enlazar la identidad de quien habla en los poemas de Morales Monterríos, nada menos que un príncipe. El juego textual que soporta al Aguirre de estos poemas, surge con la historia de la búsqueda del maravilloso tesoro americano, sigue con la disgregación del cuerpo satanizado del traidor (Que nadie se acerque porque en esos huesos / Anduvo  Lucifer) bajo sus cuatro banderas, cada una con su estandarte de espadas y la leyenda del peregrino sumido en el descontrol de la aventura: SIGO. Su imagen sigue con su cabeza sacada en procesión cada aniversario de su muerte dentro de una jaula (Para que no los mordiera) desde la iglesia que la contiene. Y por azar de la escritura y de la historia y del nombre, termina con un chileno -pero nada menos que un príncipe- hablando en la jerga que ha adoptado en la aventura -la única completamente efectiva en su violencia- acerca de su reinado que se anega y su destino: JURO / NO DEXAR EN ESTA TIERRA COSA / QUE VIUA SEA.
_______________________________
Simón Villalobos Parada: Santiago, 1980. Poeta y Director de Revista Contrafuerte. Ha participado en varios talleres de poesía. Fue director y editor de la revista Estrago durante los años 2003 y 2004. Ha publicado poemas en Desencanto Personal (Editorial Cuarto Propio, 2004). Obtuvo una Mención de Honor en el Concurso de Poesía Carlos Pezoa Véliz, razón por la cual fue incluido en la antología Selección de Poesía 2005 (Fundación Nueva Poesía, Santiago). Es Licenciado en Literatura y Magíster © en Literatura.








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MARÍA GARCÍA ZAMBRANO [18.934]

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María García Zambrano 

(Elda, 1973), estudió Ciencias de la Información y estudios de doctorado en Literatura en la Universidad de Sevilla, cursos de postgrado en Letras Modernas en la Universidad Paris-Saint Dennis, semiótica y lingüística en la Pontificia Universidad del Perú, en Lima, y literatura hispanoamericana en la Universidad de Buenos Aires.

Desde 1992 participa en diversos talleres literarios en Sevilla, Buenos Aires y Madrid con poetas como Ángel Leiva, Ivonne Bordelois, Gabriela Yocco, Reina María Rodríguez, Luis Antonio de Villena, Hugo Mugica y Enrique Gracia Trinidad.

En 1997 algunos de sus versos salen publicados en la antología, Siete poetas de Petrer, publicado por el Ayuntamiento de Petrer.

Desde 2003 forma parte de la Fundación Entredós, cuidando durante dos años el espacio Compartir Poesía, y realizando numerosos recitales.

En 2007 algunos de sus poemas ganan el concurso Voces Nuevas XX, de la Editorial Torremozas y son publicados. En marzo de 2007 sale su primer libro de poesía El sentido de este viaje, en la Editorial AguaClara, que incluye tres poemarios ganadores del premio de Poesía Paco Mollá, del Ayto. de Petrer.

En 2008 colabora en el programa de radio El Planeta de los libros, del Círculo de Bellas Artes, con un espacio dedicado a la literatura de mujeres, y forma parte de la Red de Arte Joven de la Comunidad de Madrid participando en recitales.

En 2010 se une al grupo de poetas Poesía en Sidecar http://poesiaensidecar.blogspot.com.es/ , realizando recitales en el Café Libertad, en la Casa de Asturias y en el Centro Cultural de San Fernando de Henares, y publicando en la antología del mismo nombre.

En 2011 es invitada al proyecto Transferenzias que une a poetas de España y Bélgica, y participa en un recital que se lleva a cabo en el Ateneo de Madrid.

En 2012 gana el premio Carmen Conde de poesía de mujeres de la Editorial Torremozas con su libro Menos miedo.

En 2013 con Menos miedo queda semifinalista del premio Ausias March al mejor poemario del 2012, de los críticos de Addison de Witt (http://criticadepoesia.blogspot.com.es/) 

Participa en el ciclo de recitales Voces del Extremo en su edición de 2013 y 2014; en el ciclo Poétikas http://poetikaspoetikas.blogspot.com.es/, organizado por Gsús Bonilla...

Sus versos son publicados en las revistas Nayagua http://www.cpoesiajosehierro.org/web/index.php/nayagua/item/nayagua-20
Escritores en Red http://www.erabradomin.org/rev20/revista20.html

Participa en las antologías:

Poesía en Sidecar. Huerga y Fierro 
En legítima defensa. Poetas en tiempos de crisis. Bartleby Editores.
El salón Barney.  Playa de Ákaba.
Voces del Extremo 2014. Poesía y resistencia. Editorial Amargord.

Libros publicados

-“El sentido de este viaje”  (Editorial Aguaclara Alicante 2007) 
-“Menos miedo” (Ediciones Torremozas 2012)
-"La hija" (El sastre de Apollinaire, 2015)






“El sentido de este viaje”  (Editorial Aguaclara Alicante 2007) 

Geometrías

La forma de este amor es extraña.

No es un amor redondo
sin picos ni altibajos
no es un amor trapecio
un amor coral
un amor atracción de feria.

Es un amor de luna
con labios de papel
y corazón en medio.

La forma de este amor es navegable
es opaco y transparente
es líquido y gaseoso
con chispas
y electricidades
un amor contenedor
un amor pisa-papeles.


En mitad del paraíso

De la oscuridad,
el viento como un huésped
se instala en tus dedos
y tú
amor deseado por todos los jóvenes
permaneces dormida

recibiendo en tu vientre
la semilla del dolor.



El tiempo de las uvas

Hasta ti
costa de mis esperanzas
barco ebrio
navego.

Conozco los continentes
para llegar a tu abrazo.
Conozco los delirios
que traerá el temporal.

- El viajero no abandonó la patria
su amada hasta el fin de los días.

En el mar de los hombres.
En el mar de los nombres
me aventuro donde
las aves escapan
a costas amables
y las aves que escapan
me indican
el camino al sol.



El nacimiento del mundo

Existe ese lugar donde quiero ir
al fin
acompañada de la mano invisible
deseo llegar
espacio profundo
donde nacen
los primeros sonidos
las primeras verdades.

Un lugar invisible y certero
que sólo siente
el que nombra
con la voz de los siglos
un lugar que sólo ven los niños.

Vedado a la razón, al sentimiento
pertenece al oscuro abismo
donde habitan los locos.
donde habitan los poetas.



Olor a madrugada

Anduve haciendo viruta
con la madera de tu espalda
y al ver que no eras tú
amanecí

en el año del silencio.

Boca cerrada.
Me mordí los dientes y no brotó
la saliva de tus labios.

Es difícil no tener la tentación de embarcarse
en el crucero nocturno que ofreces.
Me contengo y enloquezco:
los barbitúricos se los doy al pájaro
me acuesto con la alfombra
me como tus camisas.
Una sombra ausente ha despertado.
Olía a madrugada.

Detrás de esa sombra estaba
todo el silencio posible.

Este valle tiene alas,
que aparecen en fragmentos.

A temperatura normal me desdoblo:
medio poeta medio ministra
pero siempre dividida por tu cuerpo.




“Menos miedo” (Ediciones Torremozas 2012)

Menos miedo

Me ha crecido una hermana de los ojos y ahora puedo
mirar el horizonte.
– ¿El invierno es infinito? – me pregunta. 
Mientras, damos de comer a dos palomas que golpean 
con su pico los cristales. 
 – Me duelen los dientes de masticar tinta. 
Me ha crecido una hermana de los ojos y ha amanecido.
La noche duraba más de un sueño, y a veces dolía
en la boca y en los párpados. 
-- ¿Podré quedarme contigo?
Me ha crecido una hermana de los ojos y ya no veo la muerte.   



Salida Nocturna

Esta falda plisada
                                 con botines
una blusa que vaya
                                   con mis labios,
el escote imperfecto
                                    que perturbe. 

Al fondo del armario están mis ojos
cosidos con puntadas de limón. 
No los quiero abrir, me muevo a tientas.
Elijo una piel que me borre la piel. 



2012

Oscuros pero no.
que el gusano no siga mordiendo en el hueso.
Ha venido la madre, el padre, la hermana
para cantar
y será niña y tendrá tus labios y dirá una palabra
y creará una estirpe de fe. 

Oscuros pero no.
Que el topo no escarbe más en tu vientre.
Ha venido el poeta, la pintora, el bailarín
para crear
y será un árbol y tendrá sol y dará sombra
y creará un surco donde la vida. 

Oscuros pero no.
Que el banquero no se lleve los dientes de leche.
Ha venido el minero, la cirujana, el labrador
para abrir
y será un pájaro y tendrá horizonte y traerá el vuelo
y más.      






"La hija" (El sastre de Apollinaire, 2015)



EL QUIRÓFANO

Un monitor registra tu latido
papel que no termina y en su
desprendimiento
arrastra lágrimas
como cantos que el mar no erosiona.
Cuánto esperar entonces
(papel cayendo)
que asciendas a mi boca.
Cuánta ceguera        viscosa          alucinada.
(Contar las gasas la voz invisible
el suelo y su desinfección
la señal que debes darme).
Cuánta carne de corcho
todavía.
En lo alto    un temblor    me despierta a este mundo.

–LA HIJA VIVIRÁ.




LA SALA DE LACTANCIA

Mi pecho huérfano mira el otro pecho
derrama su simiente           al plástico y cristal.
Tus labios cerrados no acarician ni muerden ni hacen
que sangre
este huérfano tan mío.
Ninguno de los dos te saborea
tan solo están ahí para alumbrarte
con su amor
gota a gota.
Mi pecho se rinde y cae y se duele del silencio y de la falta.
Una máquina un ritual una ventana que da a los aparcamientos.
Y toda la tristeza que se vierte
con este chorro
blanco.



LA HABITACIÓN DE TRÁNSITO

Las motitas de polvo que flotan en la luz saben que el cuerpo no está para la despedida. La puerta se cierra a la metáfora de la muerte. La madre no acompañará al cortejo de batas y endoscopios y fauces que mastiquen lo que queda.
Atardece y un haz te atraviesa como un ser que hubiera venido a despertarte, a poner una bomba al otro lado de este cuarto.



EL HOSPITAL

(sutura arquitectura espultura).
Juego a palabras sentada en el box
mientras
una auxiliar rellena la jeringa
con la leche traída de una máquina.

Juego a palabras
y miro
en la sonda
c
a
e
la gotita
(goma que te alimenta y recorre
un camino que me lleva a lo hondo).

Juego a palabras
(hendidura amargura negrura).
Mueves la boca al sentir el alimento
satisfecha duermes
no me miras
quizá no sepas que siempre estoy 
inmóvil
mirando la gota que 
c
a
y me sepulta
esperando una señal para  morir
un poco menos.


*


Soy la dulce letanía de los niños muertos en este hospital. 
La silenciosa que seca sus lágrimas.
La que reza por cada neonato.

Soy el asombro el miedo          el ahínco 
el paso firme por baldosas que se mueven. 
(Mis labios pueden amar la espina
besar los bordes afilados de la rosa).

Soy la madre asistida por la madre
y firmamos el armisticio con los bisturíes. 
(Mi cuerpo se bate contra la patología).

Soy la escriba que registra el latido
de una vida encarnada en la magia.
(Las manos no se ahogan en un mar que anega 
camillas y goteros).

Soy recipiente de un líquido inflamable. 
La tierra el surco el árbol
la luz alógena de este amanecer.

(Hundo mis pies en lo real y te libero, hija mía, 
de los falsos sabios).




LA VIDA

Respiraré por ti.
Atraparé todo el aire de este y otros mundos 
que voy a inventar
para que caminemos juntas.
Inventaré una galaxia
para que llegues a lo alto
y extiendas tu mirada por encima de los dioses.

Respiraré por ti.
Seré tus ojos y en ellos
guardaré el mar
(con las manos de mi padre conteniendo la espuma
y todos los moluscos que se aferran a la roca).
Inventaré un mundo acuático para que flotes y te sumerjas 
serás el pez más veloz.

Respiraré por ti.
Multiplicaré mis alvéolos
y miles de luciérnagas y estrellas y la luz 
entrarán por tu piel como caballos que vuelan 
libres e iluminados.
Un amor limpísimo disolverá la enfermedad.

Respiraré por ti.
Seré tu lengua
con todas las palabras que existen y otras 
babel entre tus dientes
la historia que contaremos a tus hijas.
Respiraré por ti

hasta que ya no quede savia en este cuerpo 
entonces

inventaré otra vida para seguir respirando.






.

MARÍA SOTOMAYOR [18.935]

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María Sotomayor 

(Madrid, 1982). Poemas suyos han sido traducidos al portugués y publicados en diversos formatos digitales como: Letralia, Ácracia pour les porcs, Inspirulina o Permítanme ser hombre, entre otros. Ha participado en varios fanzines, como el nº1 de Aerostático Grotesto (ediciones Aerostáticas). O en los libros digitales de Dara Scully “Tus ramas/mis huesos” o “Dientes de leche”. 

Es autora de los libros de poesía Estoy gritando, me conocí de esa manera (Canalla ediciones, 2013), La paciencia de los árboles (Letour 1984, 2015), Blanco y negro es animal (Ejemplar Único, finales 2016). Y los poemarios inéditos: Nieve Islandia, La ventana de Celinne, y Para no saber lo terrible de los días. 

Se la puede leer en su blog: “Cartas desde Reykjavik” (mariasotomayor.blogspot.com.es).




EL TACTO ES UN INSTANTE PARA MIRAR EL MUNDO

De pronto el paisaje más triste y pequeño
se rompe en un grito de mala suerte 
sin embargo
tú eres el corazón más bonito
de este mundo
es bello 
antes de llegar a ser nada 
andar cosechando tristezas
como huesos de aceituna
en el más adentro de tu boca
derramarlos por el suelo 
siempre después de sembrarlos un verano
dentro de una botella granate 
o bajo una uña 
en la teoría más áspera de los invernaderos 
es bello 
estar tantas veces al borde de la gota 
y concluir así la lluvia 
y los besos que juegan al ruido de dos en dos
al chapoteo a la leche radiante de lo curvo  

Dios es un hombre herido y solo
que junta palabras y juega a los soldaditos de látex  

es bello
algo así como que cosas de niños vengan a mi pecho
como un remolino de viento 
destrozándome el pelo sacando las tareas de reír 
en mis nervios chillones rebosantes de piel 
hasta que llegan las mujeres desnudas por la casa
con su dolor humano 
como un extraño cielo abarrotado de formas morenas
  
todos los pies quedan grandes 
para echarse a correr como pájaros
sobre el lomo mojado de los perros idénticos a los antílopes azules
o sobre sus ojos blancos que de pronto son negros
y en la primera temperatura 
el mundo de ahora
por fin entiende 
que antes que nada 
sin ir más lejos
el tacto de la hierba en las manos se llama llorar. 




reiði.

Podría decirte que es hambre
sí           hambre
caracolillos ciegos y raros
por lo que los cabellos descienden y las personas rabian
hambre
podría decirte que es eso           hambre
un montoncito de aire que me azota cruel la barriga
superficial siempre                     nunca por dentro
pero no crece                     el hambre
y por eso no lloro ni hablo ni tampoco me cerca la angustia
eso sí
hay días que he pensado en ponerle fin           al montoncito de aire
por lo infantil de los golpes
que a cada rato me da           sin intención de mirarme
pero haciéndome circunferencia           a cada rato más
y yo me obligo a abrir la boca y tragarme la marca fina del tiempo
por cada rato           por infantil           por cada golpe
por todas las cosas que pasan a través de una ventana
redonda
como la tripa de la vaca           sin pasto ni casa
redonda
con forma de calendario durante muchas horas
los años van y vienen y lo escrito perdura impermeable
nunca a la intemperie           a lo cobijo
ahora
todos verán la cara no dicha
de aquella mujer ganso cuando habla
llenando todo de confusión           de charcos
de su filosa trampa           redonda           su hambre
tan herida           tan poco rezo           tan venganza de hereje.


*


Pequeños y encarnizados metales
de punta
alargan su mano de acero
y tejen una palabra en el costado
han caído temporales
han caído las casas en tu guerra
y vemos marcharse a las bestias
recorriendo el hombro hasta la palma de la mano
después dormimos cuando la rabia ataca
y se nos caen las tripas con saña ante las sogas
se nos caen como un aplauso ante una tumba
un perfecto nudo de estómagos en los tobillos
pero no hay que perder el cabo del hilo
los gritos melancólicos en esta edad tan flaca de caer
están en que nadie te dijo que después de todo
el sonido de la metralla sería lo único que recordaras


*


Yo a ti te quiero
cerquita del pecho siempre
te quiero lejos de la crueldad
de las habitaciones por las noches
pálida y vieja ballena
te quiero
talismán de pie
balanceándose en señal
del cirujano sobre las caderas
un silencio en el mal de los hombres
el cabello anudado a los brazos largos
que rodean los árboles creciendo entre nosotras
sólo la tarde se ha hecho minuto
conteniendo una línea en el bostezo
la tristeza es larga y la confundimos
por eso necesitamos nudillos firmes
golpeando las mesas
la carne de tu carne en un guiño
fragmentos de seda en la vieja madre


*


Volveremos a estar juntas
para hablar de nuevo con estas voces nuestras
de carne y estómago
y no con los demonios de tus noches
de esas noches tuyas de pájaros en las caderas
cuando volvamos                    nosotras
a estar juntas y prender el verde
y el fuego para calentar la leche
y a oscuras sentarnos para toquetearnos los bordes
para ser negras, para beber de las manos
como insectos salvajes de nuestro lado más temible
alzaremos el cuello para contar los aros
en ese instante sublime
de olvidar la palabra que utilizaron para nombrarnos



*



Nos cruza una niña jugando
lleva el pelo recogido en forma de llave
y un lluvia pálida en cada mano
parece hambrienta
siempre ansiosa por estar adentro

antigua
desnucada
algo resbaladiza

la arena entonces en sus pies
y lo lento del girar en el sentido de las manos
con sus golpes, sus rodillas violetas
me pregunto
si su ombligo tiene forma de paloma
la invisible cicatriz umbilical
dentro de una cáscara de rosa

escribo sobre sus pies torcidos
su labio rojo tan lejos, tan lejos
de los tobillos huérfanos de charcos
del significado de lo puro cuando encaja
convirtiendo a los árboles
en animales heridos junto a la carretera
y los juegos infantiles son bombillas rotas de la tarde
tal vez la infancia sea un hilo en el suspiro del viento



*



No tiene prisa, olvida un zapato
pero no el sabor verdadero de los grifos
los hijos pasan silbando blancos por los caminos
y ella detrás del visillo deja correr la lluvia en sus dedos

se ha separado el pelo
y cose un jarrón milenario dentro de las azucenas
también afuera una cierva con el vientre hinchado
ha llegado hasta tu puerta
con un corazón de hombre en la boca

por qué ya no os conmueven los partos de los animales
por qué

el tiempo sería más lento en los ojos
si aprendiéramos a alimentarnos del goteo de leche
de las cicatrices redondas de los cuerpos
del ritual anémico de lo salvaje sobre la vida



*


He despertado en medio de un puente gris
soplando pequeños pasos
como insectos torpes que saltan
y saltan y remueven sus patitas
en mi carne abierta en mi carne blanda
una luz
naranja
de tarde
se derrama
por la garganta
y lo cubre todo de tierra brillante, incluso la cintura 

allí dentro estoy a salvo porque el silencio avanza
y no lo he dicho aún, pero mi pena es redonda y roja
con el mismo aspecto de la tripa de mi madre
cuando ella no era mi madre y yo aún no era yo
tan sólo éramos hambre
entonces
tan chiquita era
que no podía llorar
después me soltó la mano
y las hijas dejaron de hacer pie en las bolsas
para quedarse dormidas dentro de una trapo azul
en el cielo de los niños
en las casas furiosamente extrañas



*


Si toda la luz se quedara quieta
contemplando las manos sacudirse
motitas de polvo alrededor de las farolas
y yo sintiera que me estaba enfermando
no pararía de acariciar el pequeño diente
que me empezó a crecer dentro del cráneo
en lo liviano de mi condición de mujer hacia dentro

más tarde
más tarde aún de encaminar mis pies por las aldeas
de bajar feliz de la cama y bautizar a mis doce hijos
más tarde aún de estar siempre del lado de las tormentas
pero en distintos lugares                     lo supe

hay que seguir tragando flores con los ojos muy abiertos
para seguir oliendo bien por dentro

así que detrás de todos mis intentos de llorar pétalos
sólo me quedó ponerte a navegar en lo hueco de los tallos
por los ríos, por las rayas lisas y pequeñas de tus manos
por la nostalgia luz barullo de los naranjos

y no hizo falta estar limpia para arrastrarse
cuando el gallo cantó su dibujo infantil
contra tu primer llanto blanco de animal sin amo



*


Una vez a mis cinco años tuve una hija
no pude llorar lo puro de su carne
la mancha cobalto que dejó en la tierra

la parí a escondidas debajo de un árbol
y no encontré señal alguna de los lobos
más tarde fui la madre de una cierva
y también gorrión dentro de una rosa
clavada en el dobladillo de un vestido blanco

la primera sangre tuvo aspecto de miel púrpura
me hizo nudo y sonrojo las mejillas
despeinada de cintura para abajo

después, la cierva murió tatuada en la ternura
en un pedazo de cielo inmenso que nos hizo sombra
la mañana que nosotras también quisimos el amor
más allá del hambre, de la tripa limpia de los hombres únicos



*


Tenías una belleza tan líquida colgando del labio
que hubo un tiempo que olvidé cómo nombrarte
más tarde el puño sobre la mesa
y quedarte tan flaca después del nacimiento
en los objetos punzantes que han llenado tu cabeza
la casa tan vacía
el grito tan alto
que no te reconoces
en el olor de la cocina sucia después de los adultos
de la ceremonia salvaje de ser dorada

ningún espejo va a devolverte tu imagen de cierva
como ningún hombre te va a volver a llenar el vientre
estás seca, te doblas como un junco
y su pequeño corazón se derrama
en tu belleza tan líquida
colgando del labio
en algún lugar de una niña
que hace una acrobacia en la ventana
y lo pone todo perdido de cabellos
sonando a barro en los ríos
en la vida entera







.

MATÍAS FLEISCHMANN GONZÁLEZ [18.936]

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Matías Fleischmann González 

(Santiago de Chile, 1997) es egresado de secundaria. Quiere estudiar Antropología. Escribe y traduce poesía. Traduce relatos pero no los escribe. Le gusta sentir cosas. Ha sido publicado en revistas y antologías, impresas y online. Una vez casi se ganó un premio. Vive con un quiltro y un blog.



el clima mediterráneo es especialmente vulnerable al cambio climático
hago crecer plantas en tus maceteros
es la tercera vez en este mes de primavera que llueve torrencial
junto con la subida de las temperaturas globales, la acidificación de los océanos y
la disrupción de la circulación termohalina de las corrientes marinas, el
cambio climático provoca
reducción del tiempo de las lluvias
proporcional al aumento de intensidad
reduciendo el número de estaciones
de cuatro a dos:
la estación en la que visitas mi espacio personal como una embarcación
de pesca por arrastre
tallando el fondo marino y
la estación en la que no necesito más el sonido de los trenes del metro frenando
para
recordarle a mis extremidades que hay algo que nos
causa pero nada más.

mis extremidades, durante esa mitad del año, se
acuerdan solas de la manera de encajar tus dedos de los pies en mi suelo de
plástico importado
esto tiene, en un análisis superficial, tres consecuencias:
–       la actual balanza comercial de la nación de chile se mantiene negativa
–       los crujidos de tus nudillos llaman a los chincoles
–       los aromos de la esquina florecen a mediados de agosto
ninguna de las cuales es suficiente para hacer despertar los líquidos de mis
huesos
que no quieren sostenerme más allá

durante la otra mitad del año, la de la pesca,
el enojo del sol me pega en la frente como mil portazos
de viento solar, el cual es una de las principales fuentes de
mi pena

levanto los pies del suelo
supongo que haber tenido un astrolabio al navegar habrá de haber sido
muy reconfortante,
saber adónde ir, saber que las líneas rectas de la
proyección de mercator
(proyección que engrandecía los polos, empequeñecía el ecuador y permitía la
navegación en línea recta)
efectivamente te llevaban más allá
y no debajo de la niebla




el farellón costero es un accidente geográfico 
característico del norte de chile
el paisaje es una sombra de tu ropa
las polillas nos reciben de este viaje insoportable
la frontera se mestiza por sí misma cuando el aire de
tus pulmones se mezcla con la
yerbabuena
falsa

supongo que hay un poco de todas las cosas repartidas en tus extremidades
caparazones estrujados de todo amor, eso son tus extremidades
pero nosotros
nosotros somos baratas de otro planeta cruzando el desierto de noche
y las estrellas que construyen un puzle en el cielo
un puzle que se construye solo
no determinan nuestro destino
solo iluminan la calle vacía
de la capital regional

existo contemplativo
mirándote ser motor de todas las cosas del mundo
fusionando todos los cariños que
dispersé
por las cuencas hidrográficas que
evacúan por el pacífico,

me cuesta despegar los pies
no hay muchas cosas que mis huesos aguanten
más allá de la gravedad

salimos de las madrigueras a recorrer la superficie hasta que nuestro cuerpo nos
dice: tengo el humo del desarrollo pegado bajo las pestañas
no hay suficientes espirales para hacerte caminar por mis brazos sin perderte



se siente cómo el mar regurgita 
el calor en la noche
hay una suerte de oscilación en mi cuerpo
el desierto lo engloba todo
engloba mis manos y las partes de atrás de mi cuello
estoy en medio de un espacio físico de tres dimensiones
en este espacio físico de tres dimensiones siento el viento húmedo correr del mar
al altiplano
tengo ganas de que tiremos pero ni siquiera me gusta tirar
tu cara es muy bonita. te queda bien la barba
eres una figura que absorbe todos los fotones de atacama y tarapacá
entre estos fotones se encuentran los latidos de mi corazón y todas las veces que
me he sentado a llorar porque no tengo con quien hablar a las cuatro de la
mañana
me dices: es que eres un ser nocturno
te digo: es que de noche las cosas son menos claras y me agobian un poquito
menos
es que de noche lo único que se ven son los vidrios rotos de las botellas al lado de
la línea del ferrocarril
me robé esa apreciación de un poeta que me mencionaste
de cuyo nombre no quiero acordarme

hay algo en las iglesias robadas
algo en la absoluta carencia de nada más excepto ladrillos rojos
ladrillos rojos
ladrillos rojos que construyen casas sin techo
que entierran las uñas en las laderas de los cerros de una tierra que no es nada
más que eso: tierra
y frontera
que respira en mis orejas
hay algo en las iglesias vacías
algo que me destapa el pecho y me invade por detrás de las fracturas de mi frente
no puedo explicarlo porque
dejé de creer en el alma a los quince
pero hay gringos muertos
gringos torturados en el valle de azapa
que nos hablan de noche
sobre la dictadura

tomamos cerveza al lado de personas con tatuajes
aunque ni siquiera me gusta la cerveza
tengo sueño porque salir de mi casa me cansa más que cualquier otra cosa en el
mundo
quiero tirar
mis lágrimas al desierto
y hacer que crezcan palmeras gigantes
que me hagan sentir que tengo vida más allá de la humedad de las ciudades
conquistadas
más allá de los valles transversales
me dices: la bandera es
enorme
te digo: quiero tirar mis
lágrimas
al desierto
y hacer un oasis de agua sin niveles peligrosos de plomo
sin
niveles peligrosos
de estar solo

 http://latribudefrida.com/poesia/3308/





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ANDREA ABREU LÓPEZ [18.937]

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Andrea Abreu López

(Tenerife, 1995)
Estudia Periodismo en la Universidad de La Laguna. Nació en Icod de los Vinos, la tierra de Emeterio Gutiérrez Albelo. Cuando tenía solo 10 años ganó el premio escolar de poesía Emeterio Gutiérrez Albelo. El realismo mágico y el surrealismo han sido sus vías para conocer y celebrar la realidad que no está, un mundo que vive bajo la corteza de los ojos. Julio Cortázar ha sido la curva del puente. Estudió un curso de poesía con Coriolano González Montáñez, quien deslizó en ella el amor por la poesía de mujeres como Sharon Olds, Wislawa Szymborska y Diane Di Prima. Busca en la poesía un escape de lo cotidiano, de lo sistemático, de las normas que el sistema impone para descodificar la realidad. Busca la sencillez de un gato, que escapa de la construcción humana, o la metafísica de un árbol. Algo que está más allá de las cosas que vemos y tocamos. Esta búsqueda la ha llevado a profundizar en el activismo ecologista y feminista. La poesía es una forma de observar el mundo, de entender la realidad, y nos abre a cambiarla y a construir. Es creadora y parte del equipo del blog literario Proyecto Garabatos (www.proyectogarabatos.wordpress.com), y en los blogs El bicho negro (www.elbichocarretero.blogspot.com) y Cielo raso (www.elcieloraso.blogspot.com).



Llueve en la calle herradores

Llueve en la calle herradores
dos niños
que juegan a morirse
pam              pam
un golpe certero en el pecho
tres monjas negras
que salen de un portal

oscurece en la calle herradores
no hay hojas
no importa
en el cielo
el aire
también balancea la calle
las luces más tenues
no hay flores

no tengo paraguas
solo una antena parabólica
un pequeño recuerdo de vida
dos niños
que juegan a morirse
pam              pam
un golpe certero en el pecho
tres monjas negras
que salen de un portal
el cielo sin hojas
el aire que porta la calle
las luces más tenues
la ausencia de flores
una palabra muy larga
la noche

la certeza

nosotros también moriremos

pam              pam.





Utilidad de mi casa

Para Aida González Rossi,
por aquello de los edificios interiores.


He hecho unas galletas de canela
están en la mesa de la cocina

no me mires así
gato

no ves que no tengo ojos
sino dos bloques
cemento
yo también quiero saber qué ocurre
nepal
hay gente que vive en mi ropa sucia
en las bragas que asoman de la gaveta

gato
te puedes quedar este domicilio
yo ya no lo quiero
sabes lo que hay en Gokayama
tejados como naipes en actitud de reyerta
sabes lo que hay allí
la nieve

me preocupo por ti
gato

gato barroquismo
no ves que no queda comida en lata
pack ahorro gourmet gold mousse
surtido catessy bocaditos

nada
NADA

no quedan sino edificios aquí
y yo ya no soy de carne
gato
nagual
quién sabe si tú no eres yo
o si yo soy tu comida en lata

sweetness sweetness i was only joking
when I said I’d like to
smash every tooth in your head
gato

apaga la maldita radio de una vez
no ves que no soporto más la
casa distopía
que me duele el cuerpo de la fm

gato
escúchame
no ves que
yo soy presa por partida doble
cárcel de esta casa                                                                  
cárcel de mí

de la lombriz verde que se posa
en mis esquinas.




SEI LA TERRA E LA MORTE*

Yo soy como la Tierra, siempre
sola, siempre viva. Siempre
gravitante. Siempre giratoria.
Siempre trescientos sesenta y cinco.
Y cuatro. Años bisiestos
y estaciones.

Fantaseo con la niña que duerme
en la otra cama. Se ha hecho amiga
de gallinas hacinadas y ratas
con ojos de sangre. Ella y yo
vivimos en una casa con muros
descubiertos, pilares enormes,
ventanas sin vidrios, alfileres en
las fotos, veneno para gatos.

Me quiere, pero me habla cerca
de la oreja y no consigo ver
lo que me dice. Todo porque soy
una mujer sin párpados ni boca.
Hueca.

Vacía como la Tierra.
Oscura como la Tierra

*Cesare Pavese




UNA, NESSUNA…

es imposible ver desde dentro
desde dentro solo soy yo
ciega del mundo y de mí




EDREDÓN DE PATITOS DE COLORES

doctor
tengo veinte años y aún no sé dormir sola
mi madre me ha dicho que me olvide
de compartir cama con los ángeles
que los ángeles se han ido
que los ángeles antes eran tres

miguel gabriel rafael

uno en cada esquina
pero también eran tenebrosos
y mudos como mi cama
los ángeles se han ido doctor  y yo
tengo los dedos con forma de rombo
no paro de meter las uñas en los muros
y saco trozos de fotos
verdes
como los ojos de mi padre
doctor
los ángeles se han ido
doctor
los ángeles
¿qué voy a hacer yo si no tengo párpados?




Utilidad de mi reloj

Un pájaro azul se ha alimentado
de mis ojos todo este tiempo.
Ciego las horas como topos.
Muerte, me dueles en la sangre.




Adiós

A Fernando Angulo Herrera

amiga de este cuerpo
me caminas
como la noche
y la noche
me despierta en llamas
te vas
y me quedan los cercos azules
de tu ausencia
ese olor a flores moribundas




Mutismo selectivo

Camino vulnerable, como se camina con la luz apagada en una casa que no es la propia. Solo habla una voz que no es la mía. Los sonidos los articulan mis labios. Pero otra cara toma mi apertura para salir de su escondite. Nadie me conoce. Nadie ha oído nunca lo que digo. Yo no existo. Me limito a morir. A no nacer aún. Y aquí: solo habla una voz que desconozco.



Viaje

A Alejandra Pizarnik, por ser hermosa sin saberlo.

qué extrañas formas
del agua prismática y la distancia
sólida
detrás del azul
y la ventana y lo otro detrás del
vidrio
y lo otro se me asemeja huraño
rostros destapados
pero solo corteza
en las monedas los bolsos
los pájaros los tickets
los brazos cruzados y los zapatos
de los que esperan el próximo tranvía




La Ciudad húmeda

I

paseo por la herradores
con un libro de anne carson
pegado al brazo
plegado con delicadeza
como un pañuelo valiosísimo
sorprendentemente
estoy hablando sola
y veo otras locas aproximarse
que también hablan con sus espíritus

en la noche
en la calle de la ciudad despierta


II

no ha parado de llover
desde esta mañana
intento escribir
pero no hago otra cosa que observar
esas lámparas que cuelgan del techo
como mocos translúcidos y fríos
prohibido hablar, esto es una biblioteca
yo no pretendía hacer ruido
ahora mi miseria quiere cantar


III

pequeñas bombillas centelleantes
pequeñas amapolas imberbes
o peludas               sus cabezas bullen
como el viento            en este bar
no logro concentrarme
me mata el olor a pieles descompuestas




La Ciudad de la calma

Hoy me tiemblan las piernas Gritamos Canté Canté con los dientes como cuchillas que relucen a las puertas de la universidad Nosotras Las chicas que leen a las chicas Las chicas que besan a las chicas Gritos Hicimos parar por última vez al tranvía de la ciudad mojada Mojada como mis dedos Mojada como nosotras mojadas La calzada cubierta de ojos gatos callejeros que nos persiguen Aún Un último grito Un último aullido Hoy

ha sido

un día de lucha en la ciudad de la calma







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IOSUNE DE GOÑI GARCÍA [18.938]

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Iosune de Goñi García 

(Burlada, Navarra 1993) estudió Filosofía en la Universidad del País Vasco. Actualmente reside en Barcelona, donde cursa el máster Estudios Comparativos en Literatura, Arte y Pensamiento de la Universidad Pompeu Fabra. Escribe en euskera y en castellano. Sus poemas han sido publicados en los fanzines Seremos Onironáutas, No eres consciente y en la revista Lekore.

www.ipsofiliak.blogspot.com



F40.0 AGORAFOBIA

Nº Historia Clínica: 28**76.
Mujer de 22 años.

Presenta dificultades
para permanecer en espacios cerrados
o rodeada de gente.

Multitudes, lugares públicos, viajes.
Psicoterapia.
2 mg de benzodiazepinas.

Siguiente.

no puedo pensar no puedo dormir qué sucede con los vivos dónde están los que aúllan bajo la tierra los que sangran y tienen sed pero no respiran los olvidados // me buscan a mí buscan el cuerpo la carne preguntan y no sé decirles que no hay yo que no hay a mí del que decir me buscan porque hace siglos guerras y tempestades que perdí mi nombre // los ojos vacíos el agua en los pulmones no estoy muerta pero no respiro no puedo respirar no puedo // no hay suficientes palabras para decir la asfixia el pulso violento miedo temblor y el silencio es la voz de una aparición nocturna aullido de los sepultados bajo la tierra // los que me buscan // a mí que no tengo nombre que no sé de la vida más que el sabor de la sangre y los desiertos más que el dolor y el miedo a ser alguien más

a mí
que estoy al otro lado
en la otra orilla
la tierra sangra
y no sé volver




INVOCACIÓN AL LENGUAJE

Digo palabras: incienso, tinta, amor, espectro. No. No las digo. Escucho una voz que habla. Una voz que dice. La voz dice tinta, amor, incienso, espectro. Entre los nombres, partículas de lenguaje: ecos, respiraciones. Un verbo. Pre-posición. Y se forma una frase. El eco antes del sonido. Respirar y venir a la vida.

La voz dice escribe y sé el verdor de una música pasada. Que por qué la música es verde, yo no lo sé. Una vez escribí verde y escribí música y la música fue verde y quién soy yo para negarlo. Pasada. Porque todo ha pasado y nada hay por venir. El sol es negro y las aguas claras.

Cierro los ojos y busco su aliento. La voz trepando por mi garganta. No hay garganta. No hay posesión en la palabra. Tan sólo la tinta, el amor abierto como una herida, este espectro que soy cuando dejo de ser y la ceremonia silenciosa del habla. Antes de ser, qué. Antes de nombrarme fui tal vez fuego: informe, caótico, ardiente fuego.

Después mi nombre. Ella dijo yo y vine a la vida. Desde entonces escucho su voz, el canto secreto que me creó y por el que creo. Y sin embargo soy yo. Huelo el incienso dentro de mí. Yo soy la frase, el eco y la garganta. Nada ha pasado en la palabra: todo está por venir. El sol palidece. Las aguas son oscuras.




PAISAJE INTERIOR EN BLANCO

más allá del espejo la araña tejedora
jardín helado trance de los hilos
la soledad es un astro oscuro
espacio vacío entre las hebras
no hay tierra fértil ni mirada ni deseo
cómo hablar del fuego en el páramo
cómo conjurar el cielo
luz divina madre celestial
el cielo es verde música marina
sangre de la madre sangre de la luz en los hilos
no hay cielo música calma no hay calma
tan sólo la albura virginal de la captora
Is there no way out of the mind?*
tan sólo los hilos
la escarcha
el espejo

* Apprehensions, Sylvia Plath (1962).




Helena

Helena, zuregana nire ahotsa eta zuregana mendeen hautsa. Maskorren doinuan entzun dezaket Ilionera nabigatu zuten ontzien arnasa, irentsi zituzten sugarren itzala. Harresien gainean zure izena daraman zitori bat loratu da, gaua bezain adiezina, denbora bezain faltsua. Non zinen itsasertza leize bihurtu zenean? Helena, Greziak kondenatua, norena zen zure gorputza?

Olatuek Egiptora eraman zintuztela diote, Troiak zure izena baino ez zuen mamua lapurtu zuela. Amets aizun batek eraman zuen erorien odola, antzinateko desertu gorria. Izenak errudun egiten zaitu, Helena, herioaren alaba, Egiptoko lilia.

Olatuek eraman zintuztela diote, baina nik zure lepoa urratu egin dut, musu eman dizut mendeen lainopean, Helena, zure itsasoan oheratu naiz, eternitatea bailitz, gorputzak azala eta emetasuna balira bezala. Eta bertan, Helena, inoren Helena, hotza idatzi dugu, eta hautsa izan gara, eta ahotsa, eta heriotzen osteko ekaitza, eta izena galdu egin dugu denboraren erroitz esanezinean, Helena.



Decir la herida

¿De qué ciénaga eres esclava, 
lirio de agua, lamia de la noche?
¿Quién hechizó el vuelo de las aves?
¿Con qué nombre dirán los vivos
el océano de todos tus cuerpos?
Mi aliento mece los juncos,
tu rostro es la voz del viento.

Bajo el agua hay un corazón sangrante.
Sacia la sed de la tierra, por eso duele 
el reflejo como duele la herida, por eso 
revela el vacío donde el yo deserta. 

¿Qué es el gesto antes de ser gesto?
Ser lluvia sobre el propio cuerpo.
Mirarse hacia dentro. 

Besar los labios de la diosa,
hacerse piedra, incendiar el bosque,
decir la herida.



Celda de la voz ajena

Dentro de mí hay otra que canta.
En su voz fluye un oleaje helado,
navíos extraviados bajo el manto lunar.
Cuenta que bajo las aguas del ensueño
hay un jardín de lilas que oscilan en la mar.
Cuenta que la sangre es una mirada al verbo,
al sexo de un poema; pincelada incierta, 
pincelada muerta.

Dentro de mí hay otra que canta.
No con mi voz ni con mi acento,
sino con el rumor ficticio de una caracola
en los hexámetros de una sibila.
Habla el lenguaje de los ahogados,
de la calandria, de la niebla que
más allá del espejo danza.

Caja de pájaro cantor, sarcófago vetusto.
Mis huesos son espectros captores,
una jaula vacía como la noche
que sólo confina voces exiliadas.

Dentro de mí hay otra que canta.
Y no es un canto lo que entona, 
sino un grito, sino las sombras.



Urruntze kafkiarrak

I

Bakardadetik haratago
ez dago itzultzerik. 


II

Atzerritarra naiz
eta alde egin dut
inora.


III

Non dira hemen ez direnak?



Magia beltza

I

Hitzak ahoskatzen ditut: itsasoa, arroka, lurrunontzia, emakumea, zerua. Itomena, nerabe baten begirada, ura biriketan. 1912. 1945.


II

Soinekoak amaren aurpegia estaltzen du uraren azpian. Begietan ekaitzen ahotsak gordetzen zituela diote, noizbait lainoa maitale izan zuela. Soinekoak estaltzen ditu orain amaren zeru-begiak.


III

Itsasotik zerura ametsa. Lurretik itsasora ezeztapena, zerutik lurrera gorputzak.


IV

Amaren itzala enara baten hegaldia zen. Suzko enara batena.


V

Ez dakit esaten urak nora daraman: basora, ispiluen odolera ala etenaldi batera. Ez dakit esaten suntsitu, ez dut inoiz itsasoa ikusi. Eta ez dut ama izateko desiorik, lurra eta zeruaren arteko gorputz honetan. Urak eraman nazala. 


VI

Lurrunontziak itsasoa zeharkatzen du. Itsasoaren gainean, zerua. Emakumea zerua da. Emakumea lurra da. Arroka emakumearen euskarri. 


VII

Pintoreak emakumearen zeruzko bularrak marrazten ditu. Ez dio aurpegia estaltzeko soinekorik jantziko. 


VIII

Itsasoaren gainean, lurra. Zeruaren gainean, itsasoa. Emakumea arroka da. Itomena uraren euskarri. Lurrunontziak emakumearen gorputza zeharkatzen du. 1912. 1945.


Oharra: 1912ko martxoaren 12an Magritte-ren amak bere buruaz beste egin zuen, Sambre ibaian itota. 1945ean pintoreak La magie noire (Magia beltza) koadroa amaitu zuen. 









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CLAUDIO YUNGE [18.939]

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Claudio Yunge 

(Coyhaique, Chile, 1993). Estudiante de Licenciatura y Pedagogía en Historia y Ciencias Sociales en la Universidad Austral de Valdivia. Escritor y poeta, publica asiduamente en su blog King for a Day, donde artesanalmente ha subido los poemarios “Uno” y “Nací en 1993”. También ha colaborado en su ciudad adoptiva con cuentos para el proyecto de literatura de terror “Valdivia Críptica”.


NACÍ EN 1993

Me las ingenié,
me puse a googlear mil novecientos noventa y tres
y cacha lo que encontré:
argentina con batistuta ganó la copa américa
se estrenó la película daniel el travieso
(esa que veíamos, mamá, en el canal 13)
falleció cantinflas y pablo escobar
duran duran sacó su último gran álbum…
en fin, entre otras curiosidades
también nació un prospecto de poeta
nació el cayito,
próximo artesano de los versos que ni pancho puelma
envestido de nostradamus cantante pop
podría haber vaticinado.

Aún no se realmente si tengo dedos pal’ piano,
pero eso para otro poema
a la misma hora y en el mismo canal.

Nacido en el núcleo de la constelación del gallo
una primavera parcialmente nublada,
el primogénito de una incansable mujer patagona
botaba su primer llanto en el rinconcito
de un andrajoso hospital regional.

Desde ese día ocho hasta el instante justo
en que ilumino estos versos de neón
los años se han portado como un herrero
que forjó la curiosidad de esa pequeña guagüita.
Las preguntas sobre el acontecer mundial en
noviembre de mil novecientos noventa y tres
ahora suceden dentro de una
intermitencia sináptica en estado de frenesí.

¿Mientras me estaban dando a luz
los noticieros se atrevieron a mostrar los
edificios bombardeados en sarajevo,
con los niños bosnios
dormitando entre los escombros?

¿Una bala era colocada en la escopeta de
kurt cobain, en un simulacro del suicidio
que lo esperaba al cruzar el año nuevo?

¿Qué teleserie estaban dando en el tvn?

¿Alguien esperaba el día de mi nacimiento
que este neonato estuviera escribiendo poesía
sobre los tópicos clásicos de la existencia:
la muerte, la tristeza, el amor, el sexo?
(me disculpo enormemente por tal presunción).

Nací en mil novecientos noventa y tres
y las interrogantes anteriormente expuestas
tal vez nunca serán respondidas,
pero no importa.
Ya habrá más líneas que cooperen
en el armado de estos puzles nostálgicos.




LA ALEGRÍA NUNCA LLEGÓ

Un lienzo de papel se ha ido despegando
de los murales del imaginario colectivo.

Las colosales letras negras
ENE y O
que rellenaban el espacio vital del cartel
se fueron destiñendo como las promesas de 
paraíso territorial que heredamos.

Nos quisieron regalar un arcoíris
y nos terminaron entregando una postal
de patria en blanco y negro.

Nuestra generación nació marcada
por el pecado original de la dictadura,
crecimos atados constitucionalmente
desde el vientre materno.

En un teatro de títeres de quince pulgadas
aprendimos los mitos de nuestros salvadores:
ahora somos los jaguares del continente,
nada nos faltará compatriota.
El país está creciendo,
¿no ha visto acaso los rascacielos que
embellecen la vista hacia la cordillera?

Algún día íbamos a despertar de la hipnosis
provocada por el consejo de magos expertos en 
las artes oscuras de la politiquería. 
Dejamos el sonambulismo embelesado
y descubrimos el secreto
detrás de la bandera tricolor.

Cuando solo les faltaba vender el aire,
encontramos el ventrílocuo tras del telón.
Un festín empresarial de cerdos hijos de puta
que se atragantaban sobre nuestras espaldas,
manteles del despilfarro neoliberal.

Si ya no creemos en el viejito pascuero,
¿cómo esperaban que siguiéramos
enganchados a sus relatos mesiánicos?

Se jactan de su credo democrático
y no somos más que una dictablanda.

Nos prometieron la copia feliz del edén,
y en realidad sólo transitamos 
por el purgatorio del subdesarrollo. 
Pero ojo, sonriamos pa’ la foto
que no vayan a pensar en el exterior que
no somos un país ganador. 




ERROR 404 NOT FOUND

Si estaba buscando un poema aquí
este ya no se encuentra.

Seguramente estos versos se esfumaron
con el humo del cigarrillo que bota el autor,
o se tomaron unas merecidas vacaciones
en un crucero camino a aruba.

Como supongo que no sabe donde esta aruba
(no se exalte, no es su culpa
los noticieros nos bombardean con crónicas
del primer mundo a cada minuto)
yo le indico con exactitud su locación:
este pequeño país insular se encuentra
a 25 kilómetros de la península de paraguaná,
al noroeste de venezuela
y al sur del mar del caribe.

No tiene que agradecérmelo a mí,
sino que a la información que exhibe
wikipedia en sus vitrinas.

Cuando usted compre un pasaje en avión
directamente a este paraíso cristalino
(un vuelo en clase económica con
una escala por las amazonas brasileñas),
busque el poema perdido.

Las estrofas pueden estar extraviadas
en una señal de tránsito en neerlandés.

O puede que por algún motivo de fuerza mayor
hayan terminado en un hospital deplorable
por culpa de una intoxicación por cocaína.

No descartemos la opción de que los versos
traicionando al poeta,
comenzaron a trabajar en la sección vida social
del periódico más vendido de la isla.

Lo cierto es que el poema no está aquí.
Puede estar en el libro de un youtuber
o en el menú de un restorán de comida coreana.

¡Pero no está acá!



EL DÍA QUE DESCUBRÍ QUE ME ODIABA

ya no tenía sueños con cambiar el mundo
ni anhelos de proyección.
El futuro me buscaba noquear
en el primer round.

El día que descubrí que me odiaba
iba caminando por un paso de cebra
pensando en la muerte.
Casi me atropella un colectivo
que dejé pasar entre aplausos.

El día que descubrí que me odiaba
me enteré que la autoestima
era un helado de chocolate que se derritió
en el volcán de las inseguridades.

El día que descubrí que me odiaba
me convertí en una bacteria que
estaba fagocitando su propio organismo.

El día que descubrí que me odiaba
busqué ciento un formas de romperme
el cráneo contra el espejo.
Una de esas maneras debería invocar
al doppelganger que me reemplace
del holocausto existencial.

El día que descubrí que me odiaba
quería traspasar mi ira al mundo.
Aborrecer a cada uno de los seres
que están en la faz de este puto universo,
pero no pude.

Hay miles de hijos de puta
que podrían odiarse más de lo que yo me odio
desde hoy,
pero se me hace imposible.

La rabia no es un regalo,
es una pesadilla en tres dimensiones.
Puedo observar cada detalle de
mi podredumbre en alta definición.

El día que descubrí que me odiaba
no habían ni metáforas ni versos
que me protegieran.

Estábamos solos,
mi odio y yo.



ELEGÍA POR UNIVERSIDAD CATÓLICA

Hoy nuevamente
Católica quedó a un paso
de ser campeón.

En cinco años
creo que he dicho estas palabras
más veces de lo que se merece
un hincha.

Me pregunto
en qué chucha se fijó mi papá
al hacerme aficionado de este club.

Sin ser un entusiasta del fútbol
-como si lo fue su hijo-
qué habrá visto.

Los signos de interrogación
me dan más nauseas
que los cigarros con sabor a decepción.

Y así vamos,
de funeral en funeral.

Soportando las burlas,
cargando el cartel de segundones
en un vía crucis constante.

¿Es que será una puta maldición?
¿Enterraron un murciélago
en el centro de la cancha
de San Carlos?

Vuelvo a pensar en mi viejo,
él se deslumbró por Acosta y Gorosito
no por esta mierda que
nos toca vivir.

Para no llorar de rodillas
rememoro los momentos que le
dan sentido a mi identidad cruzada.

Y ahí están
Álvarez tapándole el penal a la U,
los goles del ingeniero Norambuena
en la final del 2002,
Conca siendo
el mejor jugador del mundo,
y Mirosevic convirtiéndose
en mi héroe de acción favorito.

En un recuadro blanquiceleste
colgado en mis recuerdos
está la actitud
ofensiva, guerrera y vibrante
que creí que nos caracterizaba.

No me vengan con su mierda
de que somos todos cuicos.

Tampoco quiero vivir más esta angustia.

Ni menos seguir encontrándome
con técnicos mediocres,
jugadores que no sienten la franja
y dirigentes más preocupados
del beneficio monetario
que de darles una alegría a la gente
(Sociedades Anónimas Deportivas:
The SAD thing of fútbol).

Me olvidé de la patria,
de dios
y de la universidad.

Solo amo estos colores
porque son casi lo único que me queda.

Y seguiré ansiando
estación tras estación
torneo tras torneo
por todas las alegrías que aún
me faltan por vivir.





CONVERSACIÓN ENTRE AMBOS YO

-Claudio,
¿por qué chucha tienes la necesidad
de escribir?
-Para reparar el daño ambiental que
provocan los desechos tóxicos
que salen de mi boca.

-No me hables con metáforas,
soy yo quien te está hablando.
-Tengo una insatisfacción con
la comunicación humana:
las palabras ya escritas no tartamudean
ni exudan falta de confianza.

-Entonces,
¿la poesía es tu vía de escape?
-Es un juego de máscaras,
un salón con cortinas rojas del que
entro y salgo
con mayor facilidad.

-¿La poesía es
una necesidad biológica?
-Es un artificio que ocupa el cantor
para engañar
a sus obstáculos verbales.

-¿Eres un farsante?
-Los artificios también están cargados
de honestidad brutal
de sentimientos salvajes
de desolación in extremis
de rabia gutural.

-¿La ortografía es el rayado de cancha
de ese artificio?
-Es mi estupefaciente favorito,
la morfina que me calma de la
decepción que tengo
por mi desempeño en el habla.

-Las adicciones no nos liberan
del contacto humano.
-Solo busco una manera de escapar
de las putas muletillas
de las palabras mal dichas que escupo
día tras día, hora tras hora,
del nerviosismo detrás
de mis ideas mal expresadas.

-Una última pregunta,
¿quién soy yo?
-No lo sé.

-¿Soy el yo poético?
-¿Existe tal cosa realmente?



DE CULTURA, LADRIDOS Y ROSTROS DIFUSOS

Intento leer un libro sobre cultura.

Un perro comienza a ladrar
incesantemente en la calle.

Las palabras del texto
van bosquejando imágenes difusas
de tu rostro.
Los conceptos se transfiguran
en cejas y
las citas a pie de página
me direccionan a tus labios.

El perro continúa ladrando.

Ya no estoy leyendo.

Estoy volando en versos aerostáticos
que describen tu rostro
cada vez menos difuso.
Una serenata de ladridos
persiste como banda sonora de esta
aventura abstracta.

El libro yace en el suelo.

Los ladridos continúan,
tu rostro no desaparece
y una jaqueca
comienza a patear mis neuronas.

Soy un psyduck.

El perro no se detiene,
tu rostro tampoco.

El dolor de cabeza anestesia
las ganas de levantarme
recoger el libro
y continuar con mi lectura esmerada
del concepto de cultura.

El estruendo de los ladridos
rebota por los rincones de mi pieza.

Ya no veo tu rostro:
tienes una cabeza de perro
y me ladras.

Y te respondo con ladridos también,
a pesar de que soy un psyduck.

Faltan más libros de cultura
plagados de
guau, guau, guau.



AGOSTO

El mes que recién pasó fue nefasto.

Pero me hizo tomar la decisión de hacer este “mini libro”. Concentré toda la frustración, ira y tristeza en este pequeño espacio. Seguramente es muy ambicioso haber empezado con esto, pero no hallé otra forma de canalizar estos sentimientos. Tal vez estoy diciendo demasiado. Aunque espero que me lean, hay mucho cariño detrás de su formación. Lo tomé como una labor apremiante (incluso más que mis deberes universitarios), pero creo que valió la pena todo el tiempo ocupado en esto.

Gracias de antemano.



SOY UN SPAM

y por hartazgo tendré mi espacio
en tus vivencias.
Estas líneas son el engrudo
que me adhiere
a tu sistema neuronal.

Soy un anuncio propagandístico,
publícame en páginas pornográficas.
Un click y le regalas algo de O2
a mi ego.
Así que por favor anda,
coopera con mi medio ambiente.

Escribo por pura vanidad,
esta es poesía publicitaria.
Por cada verso un dólar.
No busco expresar sentimientos,
sino que estar en las vitrinas
de cientos de librerías
(Siento que hago buena combinación
con las novelas eróticas adolecentes,
o con Papelucho).



PARANOIA

E s c r i b o
l a s
p a l a b r a s
d e
e s t a
m a n e r a
porque temo que me persigan
hasta las sombras de las letras.

En la calle
siempre camino dos veces más rápido que el resto,
me gusta pensar A VECES que cada uno
tiene reservado un metro cuadrado en el mundo.

Y ese pavor a las miradas,
con esos ojos que temo a que salgan de sus órbitas
y me ahorquen en un ascensor
en una fila del supermercado
en una calle congestionada.

Está bien ir en contra del individualismo,
pero no puedo caminar seguro
mientras
lees
este
poema
con
un
cuchillo
mantequillero
en
tus
manos.

No me hablen de mil maneras de morir
que de esas ya conozco 999
(la número 1000 se la reservo al suicidio).



UNA TÍPICA CAMINATA BAJO LA LLUVIA

¿Será un Dios el que echó los dados
y avanzamos los casilleros de asfalto
en esta ciudad-monopoly?

Compartimos la misma ducha expiatoria,
una misma nube negra
mientras unos van a trabajar,
otros, camino a una cita
y yo voy rumbo a comprar un champú.

Las calles para defenderse de la cortina de agua
se han provisto de escudos techados.
Con esto las arterias del centro de mi ciudad
forman una gran feria
donde se reúne todo el folclor urbano.

Ahí están los encargados de venta de Dios
con sus biblias-diccionario.
Ni la lluvia detiene sus diatribas
que salpican la sangre de Cristo
en nuestros rostros llenos de pecado original.

Me llama la atención unos vendedores ambulantes
que vociferan su nuevo producto:
un rayo láser verde de gran alcance.
Todo muy bonito, pero me quedo con un patito
que mueve sus patitas cortitas aullando un débil
cuak-cuak.

Muchos estamos ahí, acompañados
por la soledad (no es una prostituta),
pero ni el mar de piernas que me engulle
en esta aventura mecanizada
la hace desvanecer.

Pero a pesar de todo
no me gusta encontrarme con caras conocidas.
Ese ritual del “hola”, “¿cómo estás?”, “bien y tú?”
está marcado por la frivolidad.
Propongo que cuando nos veamos
nuestros saludos estén llenos de cuak-cuak.

Ahí va pasando una chica
que me rechazó miserablemente.
Ella me reconoció,
ella sabe que yo la vi.
Pero la evito con un enganche de la mirada,
una bicicleta digna de un crack brasileño.

Si no hay un Dios echando los dados
soy horrible jugando en este tablero.


LATERAL

Si la vida fuera una cancha de fútbol
(de hecho lo es)
yo tendría que ser un lateral.

Siempre olvidado,
corriendo desde un extremo hacia el otro.
Ni atacante ni defensa.
Quien se consuela
con los centros correctos
de los goles que él nunca podrá anotar.

¿Izquierdo o derecho?
Hay laterales que preferimos ser ambidiestros.
Nunca tenemos la certeza
de absolutamente nada
(la posición en el campo
ya no depende
de las posturas políticas).

Ni la eficacia de los delanteros,
ni la visión de los porteros,
ni el carácter de los volantes de corte,
ni la decisión de los centrales,
ni la pericia de los creadores.
Ser un lateral es estar condenado
a las sombras,
a los errores de la memoria,
a jugar en este partido efímero
siempre como el secundario
(un Steve Buscemi más).

Si te rememora la hinchada,
un noventa y nueve como nueve por ciento
será por el error que cometiste
en el momento menos indicado.
Ni una campaña exitosa
te salvará
de las puteadas.

Evidentemente,
no soy un Roberto Carlos.
Este poema está manchado por mi falta de talento.
Así somos los laterales.



EL CAMINO DE LOS SUEÑOS

Nunca pensé que escribiría de amor
pero mi universo onírico me traiciona noche tras noche,
proyectando malos plagios del cine yanqui
de películas de romance con finales felices
de todos los besos que nunca he dado
de todos los Brad Pitt que no logro personificar
de una mujer que es mía
¿Mía?
Fantasías del ello, dirá el amigo freudiano
mientras el otro yo del espejo se ríe de mi derrota
pues la función se terminó
y la cámara se acerca, más y más.

Plano de un hombre solitario en su cama
primer plano a su rostro
confusión, frustración, amargura.
La máquina hollywoodense dejó de funcionar
y el hombre solitario es arrojado a su destino.
Corte.

Nunca pensé que escribiría de amor
pero la musa que inspira la mala caricatura de Titanic
me impulsa a crear estos versos de cartón,
poesía barata que se vende en un tarro de jurel,
terapia del desahuciado con miedo a Morfeo
que no quiere dormir
que teme a las pesadillas hermosas del subconsciente
que vio un mal filme donde una mujer era suya
¿Mía?
Nunca fui capaz de tenerla.

Estoy haciendo un trato con la tierra de los sueños
(No me refiero a Disney),
apareceré en su próxima película
como extra vendiendo maní en una calle helada de New York
o como secundario en una película de Tarantino
asesinando a la antagonista de mis deseos frustrados,
la mujer que era mía
¿Mía?







.

SARAI PORTILLA SALGADO [18.940]

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SARAI PORTILLA SALGADO

(Santander, España. 1995). Estudiante de Lengua y Literatura Alemana en la Universidad de Sevilla, ciudad donde reside actualmente.  Escribe poesía y relatos cortos desde 2004, está trabajando en su primer poemario y desde 2015 deja rastro de su obra en un Blog: alaseptimanovalavencida.blogspot.com.




Pérdida

Estar sola
como si huyera del tráfico de afecto,
de la corriente de dolor
que me transmite el lenguaje que os representa.

Estar sola
como si nunca hubiera sido yo,
rodeada de vacíos con nombre,
como si ahora evitara ubicarlos
en mi naciente forma de entender la pérdida.




Qué haré con el miedo

Escribir sobre el desgarro
o pernoctar bajo el extraño silencio de las aspas,
bajo el mismo movimiento
que desencadena el miedo.

Aproximar el grito y fragmentarlo.

Una vez más,
la voz del ventilador luchando contra nada
o el frenético batir de las palabras
sobre la gran rotura
que prolonga el tedio.




Tullido y azul

No quiero luchar
contra la bestia que resguarda las costillas,
contra la gran coraza que sostiene
la manada de huracanes.

No quiero agrietarme los ojos,
compartir el esqueleto helado,
estirar la piel
para arroparlo todo.

¿Recuerdas?

Mi corazón es azul
y yace tullido entre mis dedos;
no quiero encerrarte
en el minúsculo hueco
donde recito el metal con el que me hiero.




Infancia

Cambiar el hambre por alimento;
tragar el hielo que viste nuestro océano.
Descansar colgado del trueno
que despertó al niño de papel,
al niño que llora descolorido
vacío, arrugado, sobre la tierra.
Renombrar el deterioro
y observar la imagen
que yace a los pies
de nuestro utópico universo.



La soledad engendra poesía

La soledad engendra lo original, lo atrevido y lo extraordinariamente bello: la poesía.
Pero también lo desagradable, lo inoportuno, absurdo e inadecuado.
Thomas Mann


La soledad,
lijando el pecho,
cubre de sangre al poeta,
cubre de sangre al lector.
Clavada en la lengua
cubre de sangre las bocas,
las manos que tapan las bocas.
Lo trágico, lo bello,
lo tétrico de nuestras voces
vacía de sangre
al pálido cuerpo.
Nace el espanto
y de la punta de sus dedos
brota el arte.




Poema mutante

Tenemos la fiebre
De quien hierve la tragedia
Para evitar su toxicidad
Y sólo encuentra quemaduras.
Tenemos la fiebre
De quien huye del matadero
Pero olvida su cadáver
Junto a la puerta.
Tenemos fiebre
Y somos hematoma
Pero el escenario
Sigue siendo nuestro.




Poeta no eres tú

Poeta no eres tú
ni yo;
no somos arte,

pero tampoco retenemos
palabra alguna
en nuestro puño

-siempre medio abierto-

y somos diestros
en el arte de cuidar
de nuestras mentes

disipando la nocturnidad
con versos libres
de etiquetas y opiniones.



Piel de martes

Menos sábados así.
Así, con piel de martes.
Sábados de escarcha en las uñas
De arañar las paredes blancas
De la habitación de los horrores
Y perder libros bajo la cama
Para que el terrible monstruo
Los devore antes que yo.

Menos sábados pirómanos
Que escupan humo en sobres
Y envíen sin destinatario
Cinco incendios por segundo,
Y más de esos que deshielan
El temor a ser vencido
Por la monotonía que ofrece
El vaivén de las horas en bucle.





.

MARTÍN J. ZUBÍA [18.941]

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MARTÍN J. ZUBÍA

(Toledo, 1997) estudia la carrera de Lenguas Modernas y sus Literaturas en la Universidad Complutense de Madrid. Le gustan la poesía, las ballenas y los árboles. A veces escribe no sabe qué cosas.

 

Róbame sobre la  Antártica
viento esquivo sobre espalda
sombra ciega
irrumpe en la mañana
irrumpe en los diáfanos
suspiros que nos miran destruye
la voz que canta la voz que asfixia
la voz que todo lo reduce a polvo
regreso escarcha
ceniza cielo grillo vuelta
cielo seco
grillo ebrio
estampa ignífuga en los años
duerme en mí cielo seco
expira en mí grillo ebrio
sálvame en mí bella estampa
¿dónde dormiste anoche?
róbame sobre la Antártida

 

(tras el párpado)

Un invierno mutuo nos entrega.
Las constelaciones se separan lentamente
constantemente.

Un cometa dará su vida
-hoy, mañana, siempre-
en nombre de todas las estrellas.

Acto inútil.
Su muerte no será contemplada.
Nadie –persona, ciprés,
estrella-
mirará al cielo ese día –lunes,
abril, mil novecientos diecinueve-.

. . . . . . . . . . . . .

Los días verdes. La sangre,
caliente. La herida
se fragmenta en distintas dimensiones:
recuerdos en blanco y negro,
mi hombro y una mano
(mía, tuya, mano de árbol,
mano de halcón…),
un océano tan inmenso tras el párpado.

 

(Olvido)

Puedo decir “la luna está alta,
más alta que todos los mundos.”
O quizá: “la luna es un reflejo de mi alma.”
Y,  “este bosque se arropa de sí  mismo esta noche.”
O, “algunas luces traspasan más que otras.”

Los astros, dicen, se mueven debido a
fuerzas gravitatorias.

Yo me muevo por instinto
-fallido-
buscándome de mí mismo,
a través de mis propias huellas.
Me pierdo en ellas,
en caminos recorridos hace años.
Kilómetros, exhausto,
sintiendo un frío que ya conozco.

Olvido.

Puedo decir  “mira, Luna, cómo caigo.
Mira, mira, ¿qué me queda?”

 




.

ALEJANDRA MARQUERIE MARTÍN [18.942]

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Alejandra Marquerie Martín 

(1998) es de Madrid y está sufriendo un segundo de bachillerato de Humanidades, aunque no tiene muy claro qué hacer luego. Le gusta mucho escribir, y ha aparecido en la 10 avenida y en New spleen. Ha disfrutado recitando en los encuentros de Los perros románticos y ha aparecido en artículos de Playground.

Además, estudia teatro y fue nominada a mejor actriz en el Certamen de teatro de la Comunidad de Madrid, con la escuela de Nuria Soler. Ha realizado prácticas en el Museo Nacional Reina Sofía y le gusta mucho, mucho leer.

http://aleatoriamar.blogspot.com.es/



¿Descansar de qué?
Si últimamente de lo único que quiero descansar es
de vosotros, y vosotros sois lo único
de lo que no puedo descansar.
Hambre y deseo por un lado en el corazón,
moral y familia en el otro lado,
cosiendo la libertad en una camisa de fuerza,
en un habitáculo de sed en el que estoy
descansando todo el rato.
CO2 y coches en un lado del pulmón;
literatura en el resto.
Amor en el hígado y melancolía en el estómago y
un páncreas que segrega mierda que la
hace nostalgia
pero no
pero no sé por qué es.
Pendientes y mordiscos en las orejas
el estallido del tímpano que me hace falta
para despertar.
Un ombligo de certificado de que soy
sin saber lo que soy,
igual que los demás,
por una parte.
Y la otra no tiene nada,
porque no hay espacio para ella,
no hay tiempo para ella:
no hay espacio para nadie aquí.
Dedos y falanges para añorar tiempos pasados
horribles y crueles
cuando las piruletas sabían a algo
Y las heridas valían qué;
mejores que ahora,
que no sé dónde vivo.
Una tráquea que no filtra nada de lo que entra
y así estoy
tapando la melancolía con mierda del páncreas
para que no parezca lo que es.
Una tráquea bloqueada por mis dedos presionando mi cuello.
Esta boca y sonrisa que sonríen ante la nada
sin plantarle cara
qué cara.
Este cerebro cobarde que se llama cobarde en secreto:
este cerebro cobarde y estúpido que ordena al páncreas
tapar con mierda los gusanos que me agujerean el estómago.
Una juventud para no hacer nada
hecha de cristal infantil y cristal adulto
en la que no soy esto ni lo otro.
Cristal opresor que se clava al respirar,
que me hace bloquear la tráquea:
bloquéala, bloquea la tráquea
porque no filtra
y ahí está el problema.



Epitafio I


           Buscándote en el laberinto, y allí gritando cerca del monstruo, 
                                                                              tu nombre.                                                                                                                                                   
                                          Leopoldo María Panero 

El cielo de los enamorados no
Me abrirá sus puertas porque
Aún
No he gritado el nombre frente
Al monstruo
Ni he imaginado los ojos ante el temblar
De la tierra.
Porque ante el caos y las bestias:
El gesto más cotidiano y
Vuelta a empezar,
Hasta que amanse a la fiera el
Destello de la postura de sumisión que adopto
Cuando estalla.

El cielo de los enamorados no podrá acogerme
En su tela pegajosa porque
Aún
No soy el fuero fuego que alumbra
Cuando lee
Ni soy nunca esa mano que no conoció otra
Ni soy aquel destello cuando confundo
La sumisión al temblor de la bestia con
El brillo como campo de fuerza en mi cráneo.
Aún
No entiendo cómo llamar amor no
Entiendo cómo asumir el desastre no
Entiendo cómo el fin del mundo puede parecer
Agradable
En tu existencia.
Aún no puedo decir que espero que en mi piel escribas
Todos los sonidos que no recordaré cuando
Esté tirada en el suelo de un cuarto vacío
Con todo lo que altera la realidad para
Hacerla más liviana
Colapsando mis arterias:
(Se muestra más cruel, sin embargo,
con la cara degollada y la cabeza arrancada
de un cuerpo hueco donde resuenan
los crujidos de cuando te ríes, que da vueltas sobre si mismo,
sin espetar nada).
No puedo decir, entonces,
Que espero que mi piel sea cubierta con
Todas tus memorias porque
Ya sabes
La belleza siempre es el comienzo de lo terrible
Y a veces parece que reseñas
Con más y más contundencia
El destino de mi próxima destrucción:
No sé si me explico.



*



El cielo de los malditos puede esperar
porque voy a estar labrando todos los epitafios que necesito
para mis múltiples muertes.
Entonces no veo la diferencia: malo o maldito. Maldito:
no me hago responsable, no cruzo el umbral entre
la tierra y el árbol.
Hago malabarismos en un escenario manejada por
un dios ruinoso y endeudado. Pero
mi papel es otro, no puedo ser títere de
trapo que cubra
con sus payasadas
la deuda de los dioses,
mi papel es otro.
No dejo que corten los hilos que
sostienen en tensión el yunque:
aún no he llegado al sitio establecido para su caída.

El cielo de los inocentes aguarda
mi llegada: la ataraxia a la que me someto cuidadosamente
no es más que el principio de la reseña, mi próxima destrucción,
el reflejo que me avisa:
Y el viento te lo advirtió transportando
hojas podridas hasta los pies de tu cama.
La prolepsis que me encierra: el habitáculo en el que desarrollo todas
mis acciones de rebeldía ante los círculos viciosos
va estrechando sus paredes con
cada vez más contundencia.
Entonces
quién me oirá cuando la prolepsis deje de serlo
quién oirá mis lamentos enquistados en
un pulmón
quién leerá el asombro de mi epitafio:
tengo una lápida desflorada en cada cementerio.



Cause all I want is the moon upon a stick.

De modo que las jaulas donde revolotean

los dioses infantiles,
humanos cosificados
y
piedras antropomórficas
se balancea al ritmo de los bailes
de una luna que marca
si estás o no fuera;
se balancean al ritmo de la luna sobre
un palo que da vueltas
 floreciendo grotesca:
no tiene labios y sus ojos están
cosidos.
luna cuerda,
que mueves el mar,
que no ves, y aún así decides
animal, cuándo estamos fuera.


***


No recuerdas cuando nos caímos
en la hierba y
mirando el sol
no pudimos vernos despúes:
hay colores que tapan tu cara.


***


De manera que estamos girando
bajo colores
y mis ojos
están sellados con colores
y no eos veo la cara
porque estoy mareada,
estoy fuera;
animal grotesco
lleno de colores.


***


De manera que la luna ciega
se enfrenta a un sol mudo
que se agita
sujeto por hilos florecientes
procedentes de la hierba.
y cuando ella rasga sus ojos
cosidos
(qué fea imagen)
(qué esto, lo de fuera)
el mudo habla
y habla
y dice colores que los enjaulados entendemos
y alegres danzamos
movidos por destellos florecientes
(qué grotesco: nos sangra la boca).
la sorda rabia: no ve los colores,
no entiende
no baila.


***


De modo que la vida es eso:
balancearnos enjaulados por una
luna ciega y sorda que decide,
animal,
cuando te quedas fuera.

Bailamos y esperamos. es grotesco:
nos sangra la boca. 



Tengo el TOC sin el TOC, tengo el transtorno del no-transtorno.

                                                                   
De tu muerte nace mi sangre.                                                                             
Cuida de mi piel cuando yo no esté para                                                               hacerlo,                                                               
cuida de mi piel cuando yo esté                                                               
concectada a unas máquinas:                                                               
respiración electromagnética.                                                            
Cuida de mis libros en mi                                                                   
  ausencia:                                               
no se los dejes a nadie,                                                 
o bien regálalos todos.                                                           
Toca la espuma de mi cadáver cuando                                                   
esté a punto de chocolate,                                                             
  y cuando eclosione,                                                            
monta una fiesta a la que acudan                                         
todos los gatos de la zona:                                                 
  esa es mi familia                                                  
  esa es mi culpa                                                 
  esa es mi muerte






.

GEORGE REYES [18.943]

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George Reyes

Es ecuatoriano de nacimiento, pero reside en la Ciudad de México. Posee un bachillerato, una licenciatura y dos maestrías en Teología, y es candidato a un PhD en Teología. Es Presbítero, profesor, teólogo/escritor, poeta y ensayista. Ha publicado  poesía y ensayos literarios y teológicos. Su poesía ha recibido homenaje y  ha sido incluida  en antologías internacionales de papel virtuales, y está dispersa en diversas revistas literarias de papel y virtuales. Ha publicado el  e-book Hermenéutica posmoderna y hermenéutica bíblica. Tiene varios poemarios inéditos: Filosofía risueña; Signo XXI; El árbol del bien y del mal; Salmo hondo; Mañana; Ese otro exilio, esa otra patria. Es miembro del Movimiento Poetas del Mundo, y otros. Ha ofrecido recitales de poesía. Es editor de  la antología poética Nuestra Voz (Buenos Aires, Argentina: Editorial Tersites, 2015). Ha participado en talleres literarios. Dirige dos grupos de poesía lírica en Facebook. Ha publicado el poemario El azul de la tarde & Dama3Lunas (Santiago de Chile, Chile: Apóstrophes Ediciones, 2015). Su poesía ha sido galardonada en concursos internacionales. Consta en la Enciclopedia de la Literatura en México, FLM-Conaculta. 

E-mail: george_reyes@email.com.





CON SONRISA DEL ALMA 

Se fue
despertando
con bostezo de ironía
al tic tac de un reloj
que de viejo se dormía…

Despierto yo…
y su mano
en mi hombro
me canta la canción
de esa frágil sonrisa  
del alma



LO DIRÁ DE NUEVO 

En el suspenso
se cuela la esperanza
de ese viejo amanecer tardío
que ha rayado en tu horizonte
Volverás hablar 
en tu dolor 
teñido de ese eterno azul
entonces volveré
a chorrear
la resina que encandila
la frente que se postra
empobrecida



ERES 

Tú,… 
libertad de antaño
en noche destrellada
que suspira por el sol  
sonriendo en una tarde de preguntas...
Tú,… 
ojo
de horizontal mirada
que humedeces 
tus ojeras
que empapa de azul
ese murmullo de mi geografía
al que solo tú 
tienes acceso a su camino



EN LUZ DE PLATA

Te pillo sonriendo
en tu silencio terco
recluido en la recámara
del tiempo
donde duerme en luz de plata 
ese sueño
sin arrugas
ni ojeras
Si el silencio
no es tu idioma
ha de hablarte todavía
en tu lengua de alborozo



EL SOLLOZO DEL OLVIDO

Has pintado 
el  perfil
de tu presencia 
en un cuaderno
desgastado
en la pupila
de mis ojos
y rojo
de mi corazón
¡Qué presencia…!
Cansada está la espera
recostada en sofá de terciopelo
viendo que se marcha
en lontananza
en sollozos
el olvido
por la ruta 
que le impide su regreso:
el oído dulce tuyo



ME REVESTIRÁS DE OTRA PIEL

Cayendo el telón
tu señorial silencio
salen de  la escena
mis vesperales horas

Será en el segundo acto
o quizás en el tercero
que otra vez 
te veré en escena 
para revestir 
mi gran piel de niño

Tu  camisa 
de tibieza
a mi silueta 
le quedará pequeña
en estas horas
tardeantes y holgadas
con tantas voces chorreando 
h
i
e
l
o



EN EL ESPEJO DEL AMANECER

Ya que tú has querido
                           servirme una vez más
                           una copa
                           de tu voz 
                           en bandeja cristalina
no mendigo ni una gota 
en el trillo en que camino
floreado de azulino

Ya que tú has querido
                          pintarme esta vez
                          estos pies  
                          con que te anuncio
danzo aquí en mi espejo
que enmarca tu imagen
este ritmo 
increado
al clarear mis días



REVERSO DE LAS SOLEDADES 

Detrás del alero
de mi paso ambulante
hallé lo que había perdido
hace tantos siglos:
el timbre de mi nombre
que se anuncia
en clara voz…

Se oye a un espectro
marchando hacia el destierro
de la fosa de agonía
borboteando espuma
de colores pestilentes
Este siglo es 
tachado de injusticia
zurcido de soledades

Detrás del alero  
cuelga un paisaje 
en tela que encanta y recanta
la canción sin fin
encarnada en tu ser



BAILE DE LA SILUETA  

Esta silueta
que cabe en tus manos
será clareada
hasta cesar el día
Y será deshecho
en azulino estanque 
el terrón 
de sombra
que hirió
su aliento

Será un arte
que no se aplaude
en la platea
de otras sombras
aun si danza 
al son de flautín
ese otro vals 
            que celebra la vida
en pasos 
            que pisotea al olvido



CAÍDA DE LA CARETA

¡Careta
endiosada
en altar
que adora la nada
pasea en vergel 
de árboles secos!
¡En el estante del ego
archivas delirios
a vestir de blanco
y en tu murmullo
de letanías 
yace tu aureola sentada 
hasta vaciar tus palabras…!  
  
Palideces tú su color mañana 
en un flash  capturas su rostro real 
chorrea su maquillaje
en el gran desfile 
de su agonía y mortaja



SIGILO DE ÁNGEL  

En el bosque enorme
que todavía camino 
el sol me espía  
detrás de un lienzo vuelto hilachas
y con pesar quema 
lo que tejió sus manos
Sabe que ese lienzo 
está gastado
con el peso de cada hueso
Y yo sé
que todavía no ha racionado  
ese oxígeno que moviliza 
mis partículas que se han viciado



NARRATIVAS DE LAS NOCHES Y UN EPÍLOGO 

Esas noches
con ropaje de papel rasgado  
ante mi espanto
se tildan diosas
en cielo
hurtado
Lo acechan cuando duerme el día   
y manchan con gran neblina su estación contraria    
Da pena como lucen y se incrustan alas…   
¡Lávale tú su osadía en agua de mares 
marca en tu reloj sus horas 
asciende en ellas como espuma bendita 
el vértigo de su travesía  
en océano que yo ignore!

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Al despertar el día
mi ser descalzo
en la caminada
por tu vergel 
leerá tu gloria    
en sus follajes que se doblan con estos versos



DE ALONDRAS Y JAURÍAS 

Toma ahora un cincel
con la diestra de un artista
talla en mi arcilla adentro
un trío afinado de alondras
que te entonen 
en el ramal del tiempo 
el estribillo 
de mi recital en tu oído
El vendaval de tus lágrimas
arrase en olas a un pozo 
la ausencia que hiende el alma 
allí donde duermen jaurías
en guaridas de pobre lumbre



AL OÍDO TU VOZ LÍMPIDA  

El cristal
con el que filtro tu mirada
se ha empañado
con barniz de llanto  
en cada charco de oleada, de espumajo 
Y me hace oír
tu afonía    
en la luz que parpadea a la distancia
Aunque sabes lo que corre 
por mi río de añoranza 
y sé que a ti no se te grita en ninguna tinta 
musítame al oído
que no soy huérfano
desempaña mi cristal con llovizna de tu ojos
y refresca cual aireada de una ardiente tarde 
cada paso que se canse de ironía
con tu voz límpida



OPCIÓN BENDITA 

Reescribo el resto 
de mi verso
en un descanso de este viaje  
llevando el peso de un bolsón de soledades
y de un puñado de nada enmohecido
   
Es que mis días
una “historia en reverso” 
se han transmutado vérsicos  
follaje de folclor en magazines… 
Mas ha irradiado mis sienes
el resplandor del sol naciente
que quita el hielo mi pan que escarchó tu paso 
en un recipiente que acopia mil migajas…  
y despinta los hilos de esta madeja  
pintarrajeados con estopas de tiranía 
pues cual poeta que la luz y vida ensalza  
Dios ha optado por leer mis versos

©George Reyes, del poemario El azul de la Tarde & Dama3Lunas (Santiago de Chile, Chile: Apostrophes Ediciones, 2015).







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