Lino Angiuli
(1946)
Nació y vive en Bari. Poeta italiano.
Obras de poesía
Liriche, [prefazione di Edoardo Novielli], Pellegrini, Cosenza 1967.
La parola l’ulivo: (1965-1975), Lacaita, Manduria 1975.
Iune la lune, prefazione di Antonio Motta, un saggio di Brandonisio, De Bellis, Di Turi, rilettura poetica di Francesco Nicassio, disegni di Luigi Rossini, Schena, Fasano 1979.
Campi d’alopecia, prefazione di Ruggiero Jacobbi, Lacaita, Manduria 1979.
Amar clus,[prefazione di Leonardo Mancino], Bastogi, Foggia 1984.
Di ventotto ce n’è uno : parole e musica, Schena, Fasano 1991.
Catechismo, con presentazione di Raffaele Crovi, Manni, Lecce 1998.
Daddò daddà, Marsilio, Venezia 2000.
Cartoline dall’aldiqua : ventotto paesìe con un inserto fotografico di Angelo Saponara, Quorum Italia, Bari 2004.
Un giorno l’altro, postfazione di GabrioVitali, Aragno, Torino 2005.
Viva Babylonia : concertino per numeri e fiati, prefazione di Raffaele Nigro, Cd multimediale a cura di Giorgia Angiuli, LietoColle, Faloppio 2007.
L’appello della mano, postfazione di Daniela Marcheschi, Aragno, Torino 2010.
Ovvero, postfazione di Giuseppe Langella, Aragno, Torino 2015.
Otras obras:
In nome del Re: poematto unico, due interventi pour par di Ettore Catalano e Franco Perrelli, tre photo-grafie di Angelo Saponara, Levante, Bari 1982. [Teatro]
Favolare : fantasia popolare pugliese, con Lino Di Turi e Gianni Minardi, CPE, Modena 1993. [Favole]
Puglia in favola : fra teatro e lingua, con Lino Di Turi e Giovanni Minardi, presentazione di Pasquale Guaragnella. Facoltà di Lingue, Bari - CPE, Modena 1999. [Favole]
Giorni di festa: Da un Natale all’altro, Schena, Fasano 2002. [Tradizioni popolari]
Pugliamare : fiabe popolari liberamente raccolte e proposte da Lino Angiuli e Lino Di Turi, rivisitate dalla matita di Vito Matera, Milella, Bari 2005. [Favole]
Varietà, prefazione di Giuseppe Rosato, Mail Art Works di Pierpaolo Limongelli, Associazione “Malavoglia”, Viterbo 2005. [Aforismi]
I tempi dell’acqua = The times of wather, , con Antonio Di Fazio, Gelsorosso, Bari 2007. [Divulgazione]
La morale della favola : racconti, favolette, apologhi popolari raccolti in Puglia, con Lino Di Turi e Vito Matera, Vito Radio, Putignano 2007. [Favole]
Le strade dell’occhio, con Angelo Saponara, Gelsorosso, Bari 2009. [Turismo culturale]
La panchina dei soprannomi, disegni di Vito Matera, prefazione di Claudio Toscani, Gelsorosso, Bari 2011. [Racconti]
In tutti i sensi : viaggio fotografico nel cuore di Putignano, Schena, Fasano 2012 [Turismo culturale]
La penna in fondo all’occhio : esercizi di lettura/scrittura, Stilo, Bari 2013, [Critica letteraria]
Donna in fabula : figure femminili dell’immaginario favolistico popolare, con Lino Di Turi, grafiche di Vito Matera, prefazione di Giuseppe Lupo, La Vita Felice, Milano 2014 [Favole]
MÁS DE siete mil treinta y cuatro piedras
haciendo de guardia jurado en el huerto
¿y quién podría estar allí
sino él que es tan fuerte?
Es el olivo orapronobis
alimento orapronobis
medicamento orapronobis
sacramento orapronobis
santo óleo orapronobis
nuestro alarde orapronobis
bajo el manto orapronobis
de su verde paramento
ahora, ahora, ahora et siempre
desde su rincón mira al huerto
y le echa un razonamiento.
OLTRE settemilatrentaquattro pietre
a far la guardia giurata dell’orto
chi altro ci potrebbe stare
se non lui che è così forte?
È l’ulivo orapronobis
alimento orapronobis
lenimento orapronobis
sacramento orapronobis
olio santo orapronobis
nostro vanto orapronobis
sotto il manto orapronobis
del suo verde paramento
ora ora ora et sempre
dal suo canto guarda l’orto
e gli fa il ragionamento.
Traducción Emilio Coco
NOVE POESIE di Lino Angiuli da “Ovvero” (nino aragno, 2015)
Che a fare l’uovo di colombo
almeno quando si rigonfia l’alluvione
di scatole discorsi a due piazze e scatoloni
scollando significati appena insalivati
dalla carnagione variopinta di amanti occasionali
pascola allora nelle sventrate intercapedini del sole
una razza di muffe ininterrotte allora…
*
Da bravo galeone fantasma
trasporta santi diavoli e cristiani
insieme a taciturni incubi di calce
da una sponda all’altra della notte
beccheggiando dentro un tempo acquoso
che affila le sue onde a mannaia
contro parole in pietraviva
*
minutaglia di pensieri senz’arte né parte
crosticine della vecchia ferita
in odore di maltempo
che non s’asciuga e non s’asciuga mai
*
vorrei scovare una parola
svestita senza niente addosso
nemmeno qualche finta foglia
ma non c’è verso d’adocchiarla
forse sarà esistita
in fondo all’antro della voce.
*
Di un monastero abitato da respiri medievali
vado tuttora in cerca con bisaccia a tracolla
certo che lui un giorno mi spunterà davanti
proprio nel mezzo di una geometria vegetale
perciò apprendo la filosofia dal lazzeruolo che
abita nel paese più remoto dell’occhio mentre
dal percoco imparo a pigliare il sole in fronte
o puramente a non farmi la barba tutti i giorni
parolerò coi monaci che mi hanno anticipato
con le sagome loro svolazzanti intorno al pozzo
di un’acqua da sorseggiare nelle mani a coppa
domanderò come introdursi in una passiflora
uscendone con una pozione di salmi terrestri
adatti a mettersi a tu per tu con la roba celeste
poi basterà alzare gli occhi oltre il nono cielo
per fare alle malombre disumane il contropelo.
*
A quel convento cimato in capo a una collina
bussa ribussa il pensiero per domandare i voti
e andarsene appresso alla radice quadrata che
porta lì dove molti avverbi finiscono in mente
una pezza di marrone manufatto basta e avanza
un cordone lungo quel tanto che possa servire
ad abbracciare il mondo con fare meridiano e
i sandali per poter viandare a piedi nella testa
al buon convento della terraferma mi raggiunge
l’anima in persona per spalancare porte portoni
da molti secoli non la guardavo in faccia ma lei
mi riconosce subito a prima vista e primo udito
appesa al collo porta una cartapecora sgualcita
dove sta disegnata la parola d’ordine silentium
un mare di silentium da risciacquarci la lingua
in modo tale che il suono vero non si estingua.
*
Da un chiostro accampato nella murgia aperta
ai famosissimi cinque sensi più quello di scorta
con cui misuro le muraglie di pietre muricciole
ci sono chilometri di spighe ballerine e tramonti
in un minuto secondo passa lungo l’orizzonte
una sorta di ripensamento che non dice niente
eppure traccia una striscia di cose d’altro mondo
la controfirma di quello che da noi si chiama dio
passa anche un odore di stalla migrata nell’altrove
tra la lagna di una casedda ruminata da malerbe
e due querce stravecchie da sempre imparentate
col fantasma di un volpino squagliatosi nel giallo
se poi compare la ferma essenza di un pio bove
allora sì che faccio terno nel suo occhio incantato
in cui sparisce la differenza tra ieri oggi domani
sì da poter slegare il cuore con entrambe le mani.
In questa cella vive una specie adriatica di alba
sbucata dall’acqua marina a due passi dal piede
fino ad allagare tutti i tabernacoli della mente
dopo aver sbarcato ossa di miracoli color caffè
quelle di sannicola e di sangiorgio per esempio
insieme alle milleunanotte di storie e patorie ai
contrabbandi di vite agli smerci di carne umana
alle malarie che combina l’homo qui dove però
vennero altre anime a raschiare l’umore del tufo
con il tantumergo rimasto impigliato al cappero
basta spegnere la radio dell’estate per ascoltarne
le note insieme alla ronda di api attorno attorno
basta una branda di sabbia circoscritta dal timo e
una grotta scarrassata dal sole verso mezzogiorno
per mantenere a cuccia la frescura d’ombre sante
tra cento viavai di un’onda galoppata dal levante.
*
Con l’abbazia d’un cielo fatto a cielo me n’esco
a pascolare il mio grillo canterino voglioso di
sviolinare la stella che da sempre lo allatta e di
salmeggiare a modo suo in onore della lunanova
gli passano così le brutte insonnie del malincuore
i calvari della grasta in terracotta tra vasi di ferro
gli inverni con le sue mazzate di coltello amaro
le gelature che gli stutano la parlantina in gola
meglio farsi un quartino o una quartina solitari
abbandonarsi alla notte come fosse l’ultimora
giocare con il buio a mosca cieca senza la paura
del giorno che pianta bombe per cogliere tombe
malemale domani mattina sposerà una zucchina
col fiore aperto a strombazzare le lodi pacchiane
lei non sa se potrà farcela a vedere un’altra sera
eppure in cuor suo sa che la propria vita è vera.
*
Su l’eremo di settembre veleggia una boccata d’aria
festeggia l’onomastico delle prugne color prugna
quelle ricevute in dono dal Qualcuno appostato
sopra l’altalena di una foglia eterna e passeggera
lì dentro c’è un sacco di roba che manco sappiamo
come una chiocciola mi ci chiudo da dietro e godo
questa brezza madrina di mandorle e ozoni strani
e di nostalgie giallognole scampate a un temporale
mi vengono incontro i fichi a mano disarmata ma
ripiena di fruttosio con cui provare ad addolcire
l’ombra scaraventata a terra dal fumo dei cannoni
inutili e scemi che fanno soltanto gridare peccato
peccato quei bambini che non possono fare poesia
peccato quelle donne col seno pendulo e vacante
peccato questi ulivi uccisi su un altare di cemento
peccati contro la vita che chiede un altro accento.
*
Per la cattedrale del sogno vado scolpendo origani
e rucole che si danno il cambio sul portale della
notte accogliendo un popolo di ombre pellegrine
tumefatte dall’assenza di luce e da vuoti di carne
a rimpolpare le loro lentezze accorrono i ricordi
accorrono i perdoni a tagliargli le unghie per bene
cosicché possano guarire dall’italico maltempo
e riuscire a incamminarsi sul tratturo del giorno
piano piano ecco si muovono in fila per quattro
per riempirsi la bocca con una manciata verde
c’è un cotogno che le aspetta proprio all’incrocio
tra l’autunno e una congrega di nubi pensierose
seminano nella testa la semenza di altri desideri
capaci di riempire le tasche di ortaggi consacrati
e accucciare tra parentesi quadre l’eterna fame
di sciocchezze che imbambalisce l’umano reame.
*
Tra me e la cappella della pioggia maestra di grigio
si stende una sera enorme quanto il lago maggiore
biodegradabile al centopercento più o meno come
le lacrime e tutto ciò che mi inumidisce l’ossario
allorquando anche il cielo si abbassa le mutande
così da acchiapparlo con un pensierino rasoterra
resuscitato dalla muffa come un cavolo a merenda
eppure buono a trasportarmi altrove tutto intero
è forse questo il tempo giusto per ridare la corda
ai sorrisi arrugginiti che fanno capolino dalle foto
ai memoriali che salgono su una scala senza pioli
e scendono con una cesta di frasi infreddolite
il tempo giusto per farmi amico quel cipresso lì che
ogni giorno mi fa buongiorno con la mano mentre
m’invita ad adacquarla bene la mia beata solitudo
perché cresca tanto da far rima con sola beatitudo.
*
Fra un migliaio di nicchie abitate da mille madonne
cerco quella incassata in fronte a una casa vacante
quella da cui fu sfrattato un qualche santo eremita
allergico alle messe cantate ai ceri e agli incensieri
voglio abitare lì in compagnia di calce alla buona
per contare i minuti della mia eternità giornaliera
senza vetrina fermo dentro una canottiera di lana
dieci parole al giorno cinque scritte e cinque orali
dimodoché venga un silenzio a dire uffa e poi uffa
a quelle moine terrene che non cambiano mestiere
e venga l’edera giustiziera che campa di campagna
a tinteggiarle di verde a botta di ramaglie e foglie
avrò tutto il tempo per farmi perdonare dal carrubo
giacché è dal secolo scorso che non l’ho più potato
purtroppo la testa è caduta dentro la rete dei casini
e solo ’sta nicchia può restituirmi i puntini puntini.