Gianpaolo G. Mastropasqua
(Bari, Italia, 1980)
Médico y músico, vive migrante entre el puerto del Mediterráneo, la Alta Murgia y Andalucía. Hizo su debut con Silenzio con variazioni (2005) y publicó Andante dei frammenti perduti (2008), para el editor LietoColle. Creó y dirigió el "LietoColle Sur Tour" y editó con Anna Toscano y María B. Tolusso la antología Taggo e ritraggo.
Llama alquímica
Sobre la frente de la materia nunca detenida
que imperceptiblemente te oprime
como una arcaica madre obsesiva
yo bebo los albores de cada edad como
un perro callejero herido por las blasfemias
de los palacios, me hago el muerto
en tu olor a antimonio puro
para refugiarme en tu profecía
en el himno del ombligo mineral
remonto el cordón celeste de la sabiduría
furioso y mudo como Giordano en llamas.
Como alma fija
Me queda esta imagen rauca
clavada en equilibrios que nunca escribiré
y estos ojos de otoño, diseminados
en el florero, en una mañana sin espacios,
cuando ignoraba tus suicidios cotidianos
y no me importaba ser un piano
bajo tus dedos blandos como teclas negras:
has dejado este espejo, que cada noche
se encarna más, como alma fija.
Danzas de amor y duende, edición bilingüe italiano-español, traducción de Francesca Corrias y Julio Pavanetti, Enkuadres, Valencia, 2016
Fiamma alchemica
Sulla fronte della materia mai ferma
che impercettibilmente ti sovrasta
come un’arcaica madre ossessiva
io bevo gli albori di ogni età come
un randagio ferito dalle bestemmie
dei palazzi, mi fingo morto
nel tuo odore di antimonio puro
per rifugiarmi nella tua profezia
nell’inno dell’ombelico minerale
ripercorro il cordone celeste della sapienza
furioso e muto come il Giordano tra le fiamme.
Come anima fissa
Mi resta questa immagine rauca
conficcata in equilibri che non scriverò mai
e questi occhi d’autunno, dispersi
nel portafiori, in un mattino senza spazi,
quando ignoravo i tuoi suicidi quotidiani
e non importava che essere un pianoforte
nelle tue dita morbide come tasti neri:
hai lasciato questo specchio, che ogni notte
s’incarna di più, come anima fissa.
da "Adagio Limbico" del VIAGGIO SELVATICO INCOMPIUTO
(la stanza selvatica)
La stanza selvatica ha il corpo di guerriero
e sulla fronte una medusa di nuvole fisse
negli angoli assoluti si rincorrono bambini
il sogno da latte finisce la primavera,
nelle arcate serpeggiano sillabe, i trofei
intermittenti, per la deglutizione delle prede
l'indigeno catturasogni ha la vista più lunga
dell'uccello che è stato, eppure è cieco
e canto resterà lì a contare le stelle…
chi vince può cibarsi sull'altalena del buio
o spingere il pianeta in un ciuffo meraviglia
sul carro che supera la finzione del cielo
e dondola nella crepa silenziosa di una culla
nel Dio che accarezzando l'umana miccia
saltò in aria per coprirci la testa dagli occhi.
(la spiaggia)
Si abbandonò in capovolta di clessidra
sul fianco più estraneo del cielo
sorvolò tre volte il capo danzante
e si distese nel pensiero delle nubi,
virò nella morsa dove il fiato cede
nel giro nuvolare degli spiriti attinti
fino al sudore centrale dei pianeti
sparsi in briciole sul tavolo dell'azzardo;
e vidi sfilare l'indicibile, le spose perenni
il destino nudo nella cartapesta degli anni
e dimenticai il mio nome selvatico, l'indirizzo
delle vertebre, la sillaba immobile e ridente
le generazioni fonetiche, le finzioni alsaziane
e il pedale rampicante delle macchine umane.
(la seduttrice)
Si ciba di polvere e di tarli
di vecchie caldaie di organici affanni
va per mostri di carta e dimora
la soffitta che nidifica ha più segreti
dei suoi abitanti, li studia a volte
pesa cellula per cella, giudica la fine
misura la violenza e il genio, il gesto
il fallo proteso nel cielo oracolare
le mani da ultima suonatrice di silenzi
dove per conquiste senili e glutee
o fiati di versi per antri temporali
s'involano le prede nel corpo sonoro
la somma millenarie delle età sospese
nell'atto che vita e morte sommerge.
(piazza degli eroi)
Ci trovammo nella piazza imbandita della sera
nel nucleo di una tavola meccanica
come tante posate volanti, come macchine scolpite
nel capodanno preistorico della fame: cigolavano
le moire dell'equilibrio, le muse strepitose
del ferro, come lance definitive, come teoremi
a orologeria, prima dell'ultimo canto nuziale
vagavano a folle i mulini a vento, le imprese ruotanti
di una storia che da un futuro voleva essere
raccolta, raccontata, come una bimba! E scoppiava
in lacrime d'argento, fiorivano i tarli argentini
sfinivano nell'estasi come il diavolo del passo
e smarrimmo l'alfabeto nella folgore cenerina
ma la tecnica non bastò a disarmare il sogno
la festa è un passaggio fossile, un furto della polvere
un ronzino che acceca la corsa, una morte accesa.
(una forma di murgia)
L'antico ragazzo fiutò la piazza per correre
incanalò il palo di folla e impallidì
tutti erano rimasti indietro accecati:
cominciò a muovere i pedali come petali
ora a folle, ora dosando il gas con mestiere
quando superò le case e afferrò l'arrivederci
capì di aver cancellato il paese dalla nascita
fu felice di andare dove attraversano le greggi
o qualche vacca di nebbia dai segnali arrossati
come le tempie quando incontrano un'uscita
di murgia, quando cadono nelle rete
degli alberi palafitte, quando avvistano
il castello terragno appostato a mezz'aria,
in dolce attesa, da noi un passo.
(il vaso)
Mondo è questa voce che toglie un fiato
più dello spazio logico è il seme
che scompare piantando la realtà nel suo vaso
una rosa senza spine può piegarsi ai fatti
il sangue punge sempre verso il basso
l'ubriaco è già bagnato sull'orlo della sera.
Escono come aghi dalla pelle punta
girano i tacchi e rubano le scarpe al tempo
le parole vanno vengono a carica lenta
ci ridono pagliacci dalle stupide colonie
ci fingono attori immensi come insetti
le coppie si agganciano nei circuiti amorosi
come quando non c'è più corrente
e ci si muove appena, come nascosti
nel rumore accecante di un labiale
un atto di bruciante fissità
dove ci si muore, per poco.
(la bevuta)
Quest'utile che corre come una lama
scandita sulla parola in amore
come la smorfia dei padri in vendita
nelle vetrine altolocate della morte.
Questa gloria filiale del macero
che scardina gli avamposti delle cosce
fino alla lacrima, fino all'ultima foce
dove beve ogni conquista, ogni sangue civile.
Quest'ombra che a giorno fatto si accompagna
guardinga come un abisso epidermico, immota
fino al giudizio della cellula, allo stato
delle giunture urlanti, fino all'acrilico
di una libertà impazzita, una zanzara, punto.