FELICE ROMANI
Felice Romani (Génova, 31 de enero de 1788 - Moneglia, 28 de enero de 1865) fue un poeta, libretista y profesor de literatura y mitología, italiano, que escribió óperas para compositores muy conocidos como Donizetti y Bellini. Romani es considerado como uno de los mejores libretistas, junto a Metastasio y Boito.
Romani salió de Génova a Pisa para "estudiar leyes para complacer a su familia, y literatura para complecerse a sí mismo". Posteriormente ingresó en la facultad de la Universidad de Génova, y mientras estudiaba traducía literatura francesa. Con un colega, preparó un diccionario en seis volúmenes de mitología y antigüedad, incluyendo la historia celta en Italia. El conocimiento de Romani del francés y la antigüedad se refleja en los libretos que escribió; la mayoría están basados en literatura francesa y muchos, como por ejemplo el de Norma, utilizaron fuentes mitológicas o antiguas.
Romani viajó ampliamente por España, Grecia, Alemania y Francia. En 1814 se estableció en Milán, donde granjeó la amistad de importantes figuras del mundo literario y musical. Rechazó un puesto como poeta de la corte de Viena, para dedicarse a escribir para la ópera. Produjo dos obras para el compositor Simon Mayr, que le lograron un puesto en La Scala. Romani se convirtió en el libretista más apreciado de su época, escribiendo casi cien obras. A pesar de su interés por la literatura gala, rechazó la oportunidad de trabajar en París.
Por lo general, Romani no creaba sus propias historias; se mantenía al día con lo que ocurría en el treatro parisino y adaptaba obras populares. Pero esta estrategia no era siempre segura, dada la escasa legislación sobre derechos de autor y copia que había para el momento. En una ocasión Romani utilizó una obra de Victor Hugo para una ópera de Donizetti (Lucrezia Borgia). Pero luego de las primeras funciones en París en 1840, Hugo obtuvo un amparo para evitar otras representaciones. El libreto fue modificado y retitulado como La Rinegata, y los personajes italianos se transformaron en turcos.
Romani escribió los versos de las siguientes óperas: de Bellini, Il Pirata, I Capuleti e i Montecchi, La Straniera, La sonnambula, Norma, Zaira y Beatrice di Tenda; de Rossini, Il turco in Italia; y de Donizetti, Anna Bolena y L'elisir d'amore. Verdi también utilizó uno de sus libretos, que fue escrito originalmente para el compositor Adalbert Gyrowetz, en una de sus primeras comedias: Un giorno di regno.
Romani fue considerado como la pareja ideal para Bellini, quien dijo: "Dadme buenos versos y os daré buena música". El compositor buscaba en los libretos versos con situaciones dramáticas e incluso extravagantes, "diseñados para retratar las pasiones de la manera más vívida", como escribiría a Florimo el 4 de agosto de 1834. Esos versos los encontró en el trabajo de Romani.
Después de componer I Puritani sobre un libreto de Carlo Pepoli, Bellini se propuso no escribir óperas italianos con otro libretista que no fuera Romani. Pero el compositor moriría pocos meses después del estreno de esta ópera. Romani lo lloró sentidamente y escribió un obituario en el que expresaba su arrepentimiento por los desacuerdos que habían tenido.
En 1834 Romani fue nombrado editor de la Gazzetta Ufficiale Piemontese para la cual escribía crítica literara. Mantuvo ese cargo hasta su muerte, menos el lapso comprendido entre 1849 y 1854. Sus poemas líricos fueron publicados en una colección de 1841.
HIMNO GUERRERO
I
Guerra! Guerra! Del bosque sagrado
Los guerreros á cientos saldrán;
Como fieras en débil ganado
Sobre Roma y sus hijos caerán.
II
Sangre! Sangre! Que el hacha potente
Lave en ella su antiguo baldón.
En las ondas del Líger hirviente
Ya borbota con fúnebre son.
III
Muerte! Muerte! Exterminio! Venganza!
Hoy comienza, se cumple, se alcanza:
Cual las mieses al hierro abatidas,
Son las haces de Roma vencidas;
Rota el ala, su garra desecha,
Por los suelos el águila está.
Sobre rayo de sol donde acecha
Baja el Dios que victoria nos da.
Traducción: Antonio Arnao
Felice Romani (Genova, 31 gennaio 1788 - Moneglia, 23 gennaio 1865). Librettista più famoso del suo tempo, Romani scrisse circa un centinaio d testi, alcuni dei quali furono musicati varie volte. La sua attività letteraria si estende dal 1813 al 1834, ma, benché le sue non comuni doti di poeta e di inventore di soggetti d'opera venissero presto riconosciute, il suo periodo di maggiore celebrità coincide con quello in cui collaborò con Bellini, a cominciare dal «Pirata» (1827). Per Donizetti Romani scrisse sette libretti: «Chiara e Serafina» (1822), «Alina, regina di Golconda» (1828), «Anna Bolena» (1830), «Ugo, conte di Parigi» (1832), «L'elisir d'amore» (1832), «Parisina» (1833) e «Lucrezia Borgia» (1833); Donizetti musicò inoltre due libretti di Romani già utilizzati da altri compositori: «Rosmonda d'Inghilterra» (1834) e «Adelia» (1841).
L’ELISIR D’AMORE
Melodramma giocoso.
Texto de Felice Romani
Música de Gaetano Donizetti
Atto primo
Scena prima
Il teatro rappresenta l'ingresso d'una fattoria. Campagna in fondo ove scorre un ruscello, sulla cui riva alcune lavandaie preparano il bucato. In mezzo un grande albero, sotto il quale riposano Giannetta, i mietitori e le mietitrici. Adina siede in disparte leggendo. Nemorino l'osserva da lontano.
Giannetta e Coro
Bel conforto al mietitore,
quando il sol più ferve e bolle,
sotto un faggio, appiè di un colle
riposarsi e respirar!
Del meriggio il vivo ardore
Tempran l'ombre e il rio corrente;
ma d'amor la vampa ardente
ombra o rio non può temprar.
Fortunato il mietitore
che da lui si può guardar!
Nemorino
Quanto è bella, quanto è cara!
(osservando Adina, che legge)
Più la vedo, e più mi piace...
ma in quel cor non son capace
lieve affetto ad inspirar.
Essa legge, studia, impara...
non vi ha cosa ad essa ignota...
Io son sempre un idiota,
io non so che sospirar.
Chi la mente mi rischiara?
Chi m'insegna a farmi amar?
Adina
(ridendo)
Benedette queste carte!
È bizzarra l'avventura.
Giannetta
Di che ridi? Fanne a parte
di tua lepida lettura.
Adina
È la storia di Tristano,
è una cronaca d'amor.
Coro
Leggi, leggi.
Nemorino
(A lei pian piano
vo' accostarmi, entrar fra lor.)
Adina
(legge)
«Della crudele Isotta
il bel Tristano ardea,
né fil di speme avea
di possederla un dì.
Quando si trasse al piede
di saggio incantatore,
che in un vasel gli diede
certo elisir d'amore,
per cui la bella Isotta
da lui più non fuggì.»
Tutti
Elisir di sì perfetta,
di sì rara qualità,
ne sapessi la ricetta,
conoscessi chi ti fa!
Adina
«Appena ei bebbe un sorso
del magico vasello
che tosto il cor rubello
d'Isotta intenerì.
Cambiata in un istante,
quella beltà crudele
fu di Tristano amante,
visse a Tristan fedele;
e quel primiero sorso
per sempre ei benedì.»
Tutti
Elisir di sì perfetta,
di sì rara qualità,
ne sapessi la ricetta,
conoscessi chi ti fa!
Scena seconda
Suono di tamburo: tutti si alzano. Giunge Belcore guidando un drappello di soldati, che rimangono schierati nel fondo. Si appressa ad Adina, la saluta e le presenta un mazzetto.
Belcore
Come Paride vezzoso
porse il pomo alla più bella,
mia diletta villanella,
io ti porgo questi fior.
Ma di lui più glorioso,
più di lui felice io sono,
poiché in premio del mio dono
ne riporto il tuo bel cor.
Adina
(alle donne)
(È modesto il signorino!)
Giannetta e Coro
(Sì davvero.)
Nemorino
(Oh! mio dispetto!)
Belcore
Veggo chiaro in quel visino
ch'io fo breccia nel tuo petto.
Non è cosa sorprendente;
son galante, son sergente;
non v'ha bella che resista
alla vista d'un cimiero;
cede a Marte iddio guerriero,
fin la madre dell'amor.
Adina
(È modesto!)
Giannetta e Coro
(Sì, davvero!)
Nemorino
(Essa ride... Oh, mio dolor!)
Belcore
Or se m'ami, com'io t'amo,
che più tardi a render l'armi?
Idol mio, capitoliamo:
in qual dì vuoi tu sposarmi?
Adina
Signorino, io non ho fretta:
un tantin pensar ci vo'.
Nemorino
(Me infelice, s'ella accetta!
Disperato io morirò.)
Belcore
Più tempo invan non perdere:
volano i giorni e l'ore:
in guerra ed in amore
è fallo l'indugiar.
Al vincitore arrenditi;
da me non puoi scappar.
Adina
Vedete di quest'uomini,
vedete un po' la boria!
Già cantano vittoria
innanzi di pugnar.
Non è, non è sì facile
Adina a conquistar.
Nemorino
(Un po' del suo coraggio
amor mi desse almeno!
Direi siccome io peno,
pietà potrei trovar.
Ma sono troppo timido,
ma non poss'io parlar.)
Giannetta e Coro
(Davver saria da ridere
se Adina ci cascasse,
se tutti vendicasse
codesto militar!
Sì sì; ma è volpe vecchia,
e a lei non si può far.)
Belcore
Intanto, o mia ragazza,
occuperò la piazza. Alcuni istanti
concedi a' miei guerrieri
al coperto posar.
Adina
Ben volentieri.
Mi chiamo fortunata
di potervi offerir una bottiglia.
Belcore
Obbligato. (Io son già della famiglia.)
Adina
Voi ripigliar potete
gl'interrotti lavori. Il sol declina.
Tutti
Andiam, andiamo.
Partono Belcore, Giannetta e il coro.
Scena terza
Nemorino e Adina.
Nemorino
Una parola, o Adina.
Adina
L'usata seccatura!
I soliti sospir! Faresti meglio
a recarti in città presso tuo zio,
che si dice malato e gravemente.
Nemorino
Il suo mal non è niente appresso al mio.
Partirmi non poss'io...
Mille volte il tentai...
Adina
Ma s'egli more,
e lascia erede un altro?...
Nemorino
E che m'importa?...
Adina
Morrai di fame, e senza appoggio alcuno.
Nemorino
O di fame o d'amor... per me è tutt'uno.
Adina
Odimi. Tu sei buono,
modesto sei, né al par di quel sergente
ti credi certo d'ispirarmi affetto;
così ti parlo schietto,
e ti dico che invano amor tu speri:
che capricciosa io sono, e non v'ha brama
che in me tosto non muoia appena è desta.
Nemorino
Oh, Adina!... e perché mai?...
Adina
Bella richiesta!
Chiedi all'aura lusinghiera
perché vola senza posa
or sul giglio, or sulla rosa,
or sul prato, or sul ruscel:
ti dirà che è in lei natura
l'esser mobile e infedel.
Nemorino
Dunque io deggio?...
Adina
All'amor mio
rinunziar, fuggir da me.
Nemorino
Cara Adina!... Non poss'io.
Adina
Tu nol puoi? Perché?
Nemorino
Perché!
Chiedi al rio perché gemente
dalla balza ov'ebbe vita
corre al mar, che a sé l'invita,
e nel mar sen va a morir:
ti dirà che lo strascina
un poter che non sa dir.
Adina
Dunque vuoi?...
Nemorino
Morir com'esso,
ma morir seguendo te.
Adina
Ama altrove: è a te concesso.
Nemorino
Ah! possibile non è.
Adina
Per guarir da tal pazzia,
ché è pazzia l'amor costante,
dèi seguir l'usanza mia,
ogni dì cambiar d'amante.
Come chiodo scaccia chiodo,
così amor discaccia amor.
In tal guisa io rido e godo, (anche: io me la godo)
in tal guisa ho sciolto il cor.
Nemorino
Ah! te sola io vedo, io sento
giorno e notte e in ogni oggetto:
d'obbliarti in vano io tento,
il tuo viso ho sculto in petto...
col cambiarsi qual tu fai,
può cambiarsi ogn'altro amor.
Ma non può, non può giammai
il primero uscir dal cor.
(partono)
Piazza nel villaggio. Osteria della Pernice da un lato.
Scena quarta
Paesani, che vanno e vengono occupati in vane faccende. Odesi un suono di tromba: escono dalle case le donne con curiosità: vengono quindi gli uomini, ecc. ecc.
Donne
Che vuol dire codesta sonata?
Uomini
La gran nuova venite a vedere.
Donne
Che è stato?
Uomini
In carrozza dorata
è arrivato un signor forestiere.
Se vedeste che nobil sembiante!
Che vestito! Che treno brillante!
Tutti
Certo, certo egli è un gran personaggio...
Un barone, un marchese in viaggio...
Qualche grande che corre la posta...
Forse un prence... fors'anche di più.
Osservate... si avvanza... si accosta:
giù i berretti, i cappelli giù giù.
Scena quinta
Il dottore Dulcamara in piedi sopra un carro dorato, avendo in mano carte e bottiglie. Dietro ad esso un servitore, che suona la tromba. Tutti i paesani lo circondano.
Dulcamara
Udite, udite, o rustici
attenti non fiatate.
Io già suppongo e immagino
che al par di me sappiate
ch'io sono quel gran medico,
dottore enciclopedico
chiamato Dulcamara,
la cui virtù preclara
e i portenti infiniti
son noti in tutto il mondo... e in altri siti.
Benefattor degli uomini,
riparator dei mali,
in pochi giorni io sgombero
io spazzo gli spedali,
e la salute a vendere
per tutto il mondo io vo.
Compratela, compratela,
per poco io ve la do.
È questo l'odontalgico
mirabile liquore,
dei topi e delle cimici
possente distruttore,
i cui certificati
autentici, bollati
toccar vedere e leggere
a ciaschedun farò.
Per questo mio specifico,
simpatico mirifico,
un uom, settuagenario
e valetudinario,
nonno di dieci bamboli
ancora diventò.
Per questo Tocca e sana
in breve settimana
più d'un afflitto giovine
di piangere cessò.
O voi, matrone rigide,
ringiovanir bramate?
Le vostre rughe incomode
con esso cancellate.
Volete voi, donzelle,
ben liscia aver la pelle?
Voi, giovani galanti,
per sempre avere amanti?
Comprate il mio specifico,
per poco io ve lo do.
Ei move i paralitici,
spedisce gli apopletici,
gli asmatici, gli asfitici,
gl'isterici, i diabetici,
guarisce timpanitidi,
e scrofole e rachitidi,
e fino il mal di fegato,
che in moda diventò.
Comprate il mio specifico,
per poco io ve lo do.
L'ho portato per la posta
da lontano mille miglia
mi direte: quanto costa?
quanto vale la bottiglia?
Cento scudi?... Trenta?... Venti?
No... nessuno si sgomenti.
Per provarvi il mio contento
di sì amico accoglimento,
io vi voglio, o buona gente,
uno scudo regalar.
Coro
Uno scudo! Veramente?
Più brav'uom non si può dar.
Dulcamara
Ecco qua: così stupendo,
sì balsamico elisire
tutta Europa sa ch'io vendo
niente men di dieci lire:
ma siccome è pur palese
ch'io son nato nel paese,
per tre lire a voi lo cedo,
sol tre lire a voi richiedo:
così chiaro è come il sole,
che a ciascuno, che lo vuole,
uno scudo bello e netto
in saccoccia io faccio entrar.
Ah! di patria il dolce affetto
gran miracoli può far.
Coro
È verissimo: porgete.
Oh! il brav'uom, dottor, che siete!
Noi ci abbiam del vostro arrivo
lungamente a ricordar.
Scena sesta
Nemorino e detti.
Nemorino
(Ardir. Ha forse il cielo
mandato espressamente per mio bene
quest'uom miracoloso nel villaggio.
Della scienza sua voglio far saggio.)
Dottore... perdonate...
È ver che possediate
segreti portentosi?...
Dulcamara
Sorprendenti.
La mia saccoccia è di Pandora il vaso.
Nemorino
Avreste voi... per caso...
la bevanda amorosa
della regina Isotta?
Dulcamara
Ah!... Che?... Che cosa?
Nemorino
Voglio dire... lo stupendo
elisir che desta amore...
Dulcamara
Ah! sì sì, capisco, intendo.
Io ne son distillatore.
Nemorino
E fia vero.
Dulcamara
Se ne fa
gran consumo in questa età.
Nemorino
Oh, fortuna!... e ne vendete?
Dulcamara
Ogni giorno a tutto il mondo.
Nemorino
E qual prezzo ne volete?
Dulcamara
Poco... assai... cioè... secondo..
Nemorino
Un zecchin... null'altro ho qua...
Dulcamara
È la somma che ci va.
Nemorino
Ah! prendetelo, dottore.
Dulcamara
Ecco il magico liquore.
Nemorino
Obbligato, ah sì, obbligato!
Son felice, son rinato.
Elisir di tal bontà!
Benedetto chi ti fa!
Dulcamara
(Nel paese che ho girato
più d'un gonzo ho ritrovato,
ma un eguale in verità
non ve n'è, non se ne dà.)
Nemorino
Ehi!... dottore... un momentino...
In qual modo usar si puote?
Dulcamara
Con riguardo, pian, pianino
la bottiglia un po' si scote...
Poi si stura... ma, si bada
che il vapor non se ne vada.
Quindi al labbro lo avvicini,
e lo bevi a centellini,
e l'effetto sorprendente
non ne tardi a conseguir.
Nemorino
Sul momento?
Dulcamara
A dire il vero,
necessario è un giorno intero.
(Tanto tempo è sufficiente
per cavarmela e fuggir.)
Nemorino
E il sapore?...
Dulcamara
Egli è eccellente...
(È bordò, non elisir.)
Nemorino
Obbligato, ah sì, obbligato!
Son felice, son rinato.
Elisir di tal bontà!
Benedetto chi ti fa!
Dulcamara
(Nel paese che ho girato
più d'un gonzo ho ritrovato,
ma un eguale in verità
non ve n'è, non se ne dà.)
Giovinotto! Ehi, ehi!
Nemorino
Signore?
Dulcamara
Sovra ciò... silenzio... sai?
Oggidì spacciar l'amore
è un affar geloso assai:
impacciar se ne potria
un tantin l'autorità.
Nemorino
Ve ne do la fede mia:
nanche un'anima il saprà.
Dulcamara
Va, mortale avventurato;
un tesoro io t'ho donato:
tutto il sesso femminino
te doman sospirerà.
(Ma doman di buon mattino
ben lontan sarò di qua.)
Nemorino
Ah! dottor, vi do parola
ch'io berrò per una sola:
né per altra, e sia pur bella,
né una stilla avanzerà.
(Veramente amica stella
ha costui condotto qua.)
Dulcamara entra nell'osteria.
Scena settima
Nemorino.
Nemorino
Caro elisir! Sei mio!
Sì tutto mio... Com'esser dêe possente
la tua virtù se, non bevuto ancora,
di tanta gioia già mi colmi il petto!
Ma perché mai l'effetto
non ne poss'io vedere
prima che un giorno intier non sia trascorso?
Bevasi. Oh, buono! Oh, caro! Un altro sorso.
Oh, qual di vena in vena
dolce calor mi scorre!... Ah! forse anch'essa...
Forse la fiamma stessa
incomincia a sentir... Certo la sente...
Me l'annunzia la gioia e l'appetito
Che in me si risvegliò tutto in un tratto.
(siede sulla panca dell'osteria: si cava di saccoccia pane e frutta: mangia cantando a gola piena)
La ra, la ra, la ra.
Scena ottava
Adina e detto.
Adina
(Chi è quel matto?
Traveggo, o è Nemorino?
Così allegro! E perché?)
Nemorino
Diamine! È dessa...
(si alza per correre a lei, ma si arresta e siede di nuovo)
(Ma no... non ci appressiam. De' miei sospiri
non si stanchi per or. Tant'è... domani
adorar mi dovrà quel cor spietato.)
Adina
(Non mi guarda neppur! Com'è cambiato!)
Nemorino
La ra, la ra, la lera!
La ra, la ra, la ra.
Adina
(Non so se è finta o vera
la sua giocondità.)
Nemorino
(Finora amor non sente.)
Adina
(Vuol far l'indifferente.)
Nemorino
(Esulti pur la barbara
per poco alle mie pene:
domani avranno termine,
domani mi amerà.)
Adina
(Spezzar vorria lo stolido,
gettar le sue catene,
ma gravi più del solito
pesar le sentirà.)
Nemorino
La ra, la ra...
Adina
(avvicinandosi a lui)
Bravissimo!
La lezion ti giova.
Nemorino
È ver: la metto in opera
così per una prova.
Adina
Dunque, il soffrir primiero?
Nemorino
Dimenticarlo io spero.
Adina
Dunque, l'antico foco?...
Nemorino
Si estinguerà fra poco.
Ancora un giorno solo,
e il core guarirà.
Adina
Davver? Me ne consolo...
Ma pure... si vedrà.
Nemorino
(Esulti pur la barbara
per poco alle mie pene:
domani avranno termine
domani mi amerà.)
Adina
(Spezzar vorria lo stolido
gettar le sue catene,
ma gravi più del solito
pesar le sentirà.)
Scena nona
Belcore di dentro, indi in iscena e detti.
Belcore
(cantando)
Tran tran, tran tran, tran tran.
In guerra ed in amore
l'assedio annoia e stanca.
Adina
(A tempo vien Belcore.)
Nemorino
(È qua quel seccator.)
Belcore
(uscendo)
Coraggio non mi manca
in guerra ed in amor.
Adina
Ebben, gentil sergente
la piazza vi è piaciuta?
Belcore
Difesa è bravamente
e invano ell'è battuta.
Adina
E non vi dice il core
che presto cederà?
Belcore
Ah! lo volesse amore!
Adina
Vedrete che vorrà.
Belcore
Quando? Sarìa possibile!
Nemorino
(A mio dispetto io tremo.)
Belcore
Favella, o mio bell'angelo;
quando ci sposeremo?
Adina
Prestissimo.
Nemorino
(Che sento!)
Belcore
Ma quando?
Adina
(guardando Nemorino)
Fra sei dì.
Belcore
Oh, gioia! Son contento.
Nemorino
(ridendo)
Ah ah! va ben cosi.
Belcore
(Che cosa trova a ridere
cotesto scimunito?
Or or lo piglio a scopole
se non va via di qua.)
Adina
(E può si lieto ed ilare
sentir che mi marito!
Non posso più nascondere
la rabbia che mi fa.)
Nemorino
(Gradasso! Ei già s'imagina
toccar il ciel col dito:
ma tesa è già la trappola,
doman se ne avvedrà.)
Scena decima
Suono di tamburo: esce Giannetta colle contadine, indi accorrono i soldati di Belcore.
Giannetta
Signor sergente, signor sergente,
di voi richiede la vostra gente.
Belcore
Son qua! Che è stato? Perché tal fretta?
Soldato
Son due minuti che una staffetta
non so qual ordine per voi recò.
Belcore
(leggendo)
Il capitano... Ah! Ah! va bene.
Su, camerati: partir conviene.
Cori
Partire!.. E quando?
Belcore
Doman mattina.
Cori
O ciel, sì presto!
Nemorino
(Afflitta è Adina.)
Belcore
Espresso è l'ordine, che dir non so.
Cori
Maledettissima combinazione!
Cambiar sì spesso di guarnigione!
Dover le/gli amanti abbandonar!
Belcore
Espresso è l'ordine, non so che far.
(ad Adina)
Carina, udisti? Domani addio!
Almen ricordati dell'amor mio.
Nemorino
(Si sì, domani ne udrai la nova.)
Adina
Di mia costanza ti darò prova:
la mia promessa rammenterò.
Nemorino
(Si sì, domani te lo dirò.)
Belcore
Se a mantenerla tu sei disposta,
ché non anticipi? Che mai ti costa?
Fin da quest'oggi non puoi sposarmi?
Nemorino
(Fin da quest'oggi!)
Adina
(osservando Nemorino)
(Si turba, parmi.)
Ebben; quest'oggi...
Nemorino
Quest'oggi! di', Adina!
Quest'oggi, dici?...
Adina
E perché no?...
Nemorino
Aspetta almeno fin domattina.
Belcore
E tu che c'entri? Vediamo un po'.
Nemorino
Adina, credimi, te ne scongiuro...
Non puoi sposarlo... te ne assicuro...
Aspetta ancora... un giorno appena...
un breve giorno... io so perché.
Domani, o cara, ne avresti pena;
te ne dorresti al par di me.
Belcore
Il ciel ringrazia, o babbuino,
ché matto, o preso tu sei dal vino.
Ti avrei strozzato, ridotto in brani
se in questo istante tu fossi in te.
In fin ch'io tengo a fren le mani,
va via, buffone, ti ascondi a me.
Adina
Lo compatite, egli è un ragazzo:
un malaccorto, un mezzo pazzo:
si è fitto in capo ch'io debba amarlo,
perch'ei delira d'amor per me.
(Vo' vendicarmi, vo' tormentarlo,
vo' che pentito mi cada al piè.)
Giannetta
Vedete un poco quel semplicione!
Cori
Ha pur la strana presunzione:
ei pensa farla ad un sergente,
a un uom di mondo, cui par non è.
Oh! sì, per Bacco, è veramente
la bella Adina boccon per te!
Adina
(con risoluzione)
Andiamo, Belcore,
si avverta il notaro.
Nemorino
(smanioso)
Dottore! Dottore...
Soccorso! riparo!
Giannetta e Cori
È matto davvero.
(Me l'hai da pagar.)
A lieto convito,
amici, v'invito.
Belcore
Giannetta, ragazze,
vi aspetto a ballar.
Giannetta e Cori
Un ballo! Un banchetto!
Chi può ricusar?
Adina, Belcore, Giannetta e Cori
Fra lieti concenti gioconda brigata,
vogliamo contenti passar la giornata:
presente alla festa amore verrà.
(Ei perde la testa:
da rider mi fa.)
Nemorino
Mi sprezza il sergente, mi burla l'ingrata,
zimbello alla gente mi fa la spietata.
L'oppresso mio core più speme non ha.
Dottore! Dottore!
Soccorso! Pietà.
Adina dà la mano a Belcore e si avvia con esso. Raddoppiano le smanie di Nemorino; gli astanti lo dileggiano.
[...]
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