Enrico Panzacchi
(Ozzano dell'Emilia, 16 diciembre 1840 – Bologna, 5 octubre 1904)
Fue un poeta, crítico de arte y crítico musical italiano escritor y orador.
Nació en las colinas de Ozzano, en Emilia, en 1840. Dos años más tarde se trasladó con su padre a Bolonia, donde estudió en el seminario (el único órgano de la educación secundaria en el pasado). En 1865 se licenció en filología en Pisa, y al año siguiente fue nombrado profesor de historia en la escuela secundaria Azuni de Sassari.
Enseñó Bellas Artes en la Universidad de Bolonia y fue diputado y subsecretario de Educación. Junto con Olindo Guerrini y Carducci formó el llamado triunvirato de Bolonia. Fundó y editó varias revistas. Fue uno de los primeros empleados de la cultura Corriere della Sera, que firmaron los artículos desde abril de 1876, justo un mes después de la fundación.
También fue crítico de música de preferencia todas las obras de Wagner y Verdi y aplaudido orador, celebró conferencias sobre diversos temas. Murió en 1904 en el "Instituto Ortopédico Rizzoli, y sólo en 1912 se erigió un monumento, diseñado por el escultor E. Barberi. Está enterrado en la Cartuja de Bolonia, Campo Carducci - lado oeste, 12 sarcófago.
Obras
Piccolo Romanziere, Milano, Ricordi, 1872.
Funeralia, Bologna, Zanichelli, 1873.
Lyrica, Bologna, Zanichelli, 1877 (prima edizione; seconda edizione: 1878; terza edizione: 1882)
Teste quadre, Bologna, Zanichelli, 1881
Racconti incredibili e credibili, Roma, Perino, 1885.
Cor sincerum, Milano, Treves, 1902.
Opere commentate:
E. Panzacchi, Racconti, a c. di V. Giannantonio, Chieti, Vecchio Faggio, 1993.
E. Panzacchi, Lyrica, ed. critica con commento di C. Mariotti, Roma, Salerno editrice, 2008.
AL ALBA
El gallo canta: olvido mudo y triste
Da fin á todo ensueño:
Vuelve al mundo ideal de que viniste
|Oh sombra de mi dueño!
En tu seno esta noche halló, tranquila,
Descanso mi cabeza:
¿Quién ha visto los astros? Mi pupila
Sólo vio tu belleza.
(Cuántos nombres de amor uní gozoso
Con tu nombre por ello!
¡Cuántos ósculos di sobre el undoso
Y odorante cabello!
Aura nocturna de pensil galano
Nuestra faz recreaba:
Soplo celeste del Edén cercano
Su aliento semejaba.
Su curso el tiempo detener quería
Sobre tantas dulzuras...
Mas ya predice la campana el día,
Blanquean las alturas.
Del bronce al son despiertan los vivientes,
La luz llega encendida...
¡Adiós, visión de rayos esplendentes!
¡Adiós! ¡Torno á la vida!
LYRICA
ROMANZE E CANZONI DI ENRICO PANZACCHI
IN BOLOGNA
PRESSO NICOLA ZANICHELLI
MDCCCLXXVII.
SERENITAS
I dì lunghi di pioggie e di procelle
Cessero a un tratto. Ecco, il sereno appar!
Tornan soavi gli occhi delle stelle
Verso il tacito mondo a scintillar.
I campi, i colli risaluto al raggio
Nascente della luna: odo lontan
Gonfio il Reno muggir: fatti coraggio
E dormi alfine, o povero villan!
Dormi: pei solchi limacciosi e grami
La speranza del Maggio è viva ancor;
Domani il sol, doman pe’ freschi stami
Vigoreggian le messi, o mietitor!
Corre intanto il seren per l’universa
Calma notturna e pochi o niuno il sa:
Così l’urna sovente inclina e versa
Silenzïosa la Felicità.
1876.
Lorenzo Stecchetti - Postuma (1877)
XXXVIII
MEMORIE BOLOGNESI
A Giovanni Vigna Dal Ferro.
V
IGNA, nel mio cortil nereggia un fico,
L’albero sarto del gran padre Adamo;
Io pranzo all’ombra de’ suoi rami e dico:
— Vecchia Bologna, t’amo!
T’amo, del senno antico antica madre
E un tesoro d’affetti in cor rinchiudo
Per le tue donne dalle occhiate ladre,
Pel tuo gigante nudo.
O San Michele, anch’io ci son passato
Per le tue strade solitarie e belle
E mi scorgeva un luccicar velato
Di lucciole e di stelle
Nell’ora queta in cui l’odor de’ prati
Umido sal da’ tuoi valloni foschi,
Nell’ora in cui le serve ed i soldati
Spariscon ne’ tuoi boschi.
Sul tuo monte tessei romanzi anch’io
Profumati di cinnamo e di mirra,
E il salario pagai dell’amor mio
Con un bicchier di birra.
Fu all’ombra de’ tuoi viali, o San Michele,
Ch’io la trovai, la donna del mio core,
La giovinetta che mi fu fedele
Quasi ventiquattr’ore!
Coi gomiti sul ponte ella volgea,
Come una santa al ciel le luci belle,
Ed io, poichè l’amor già mi tenea,
Chiesi — guarda le stelle? —
Ella chinando gli occhi di colomba,
Gli occhioni di colomba innamorata,
Rispose — no; sto qui a sentir la tromba
Suonar la ritirata. —
Era bionda e pareva un’angioletta,
Una cosa di ciel che non ha nome
E come un casto odor di mammoletta
Uscia dalle sue chiome.
Io le dissi — fanciulla, Iddio ci sente:
La gran parola in faccia a lui diciamo!
Di’, giovinetta bionda ed innocente,
Di’, vuoi tu amarmi? Io t’amo. —
Ella rispose — come sei gentile!
Stiamo in Sant’Isaia, numero tale,
La porticina in fondo del cortile,
Su due rami di scale —
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Basta così — Non posso più badarvi,
Care memorie del mio tempo antico:
Ci leggono le mamme e per velarvi
Dovrei sfogliare il fico.
E tacerei — ma tu, Vigna, mi scrivi:
— Mercutio, a che ti duoli?
Lascia strillare noi bruciati vivi
Da questi atroci soli;
Noi che cuociamo, noi, dobbiam strillare,
Diventati frittura.
Tu vivi al fresco, in faccia al cielo, al mare,
All’immensa natura! —
Tu dici ben, Giovanni mio, fedele
E poliglotto amico;
Veggo nel glauco mar le bianche vele
Pranzando sotto al fico
M’allegran gli occhi la marina azzurra
E le campagne opime;
Freddo un ruscel nel bosco mio susurra;
La natura è sublime!
Ma questa carne di somaro infame
La pago per vitella,
Questo carton lo pago per salame...
Oh, cara mortadella!
D’acqua e di poesia gonfio il ruscello
Fugge laggiù nei boschi,
Ma il rigagnolo mio com’è più bello
Che passa per via Toschi!
E come cambierei questa ficaia,
Questa vista divina,
Col Caffè delle Scienze e la fioraia
Degli Etruschi regina!
Canta sul fico mio la capinera,
Ma se non ti dispiace
Io preferisco un bel venerdì sera
In piazza della Pace.
Quando Antonelli col cheppì alla sgherra
E lo spadon sui tacchi
Cava gli applausi e i bis di sotto terra
Coi Goti del... Panzacchi.
O bel venerdì sera! Il biondo Ottone
Versa birra gelata,
Gli zerbinotti vanno in processione
Dietro la fidanzata;
E le ragazze van dove c’è chiaro
Per mostrare il vestito
E pescar colle occhiate il pesce raro
Che chiamano marito!
Questa è la poesia, la vita, il moto
Che la mia mente sogna...
È pieno il mio bicchier — senti? — Lo vuoto
Per te, vecchia Bologna!
Per te, Bologna mia! Canti chi vuole
La natura, le pecore, i pastori,
Questo feroce sole
E questo bosco pien di raffreddori
Venga l’arcadia a strimpellar canzoni
All’infinito mare, al ciel turchino,
Ai naufraghi mosconi
Cascati ad annegar dentro al mio vino:
Io nato ai gaudi del consorzio umano,
Alle battaglie dell’intelligenza,
Del robusto villano
Non invidio le spalle e l’innocenza:
Ma invidio voi che per le arroventate
Vie cittadine a lavorar movete,
Voi che m’invïdiate,
Voi che siete felici e nol credete!
Non gridate cogli Arcadi e coi preti:
— Lungi dalle città, lungi dal vizio —
Son ciarle di poeti:
L’innocenza de’ campi è un pregiudizio.
Ecco una donna là, sull’erba verde,
Laggiù, lungo la via che al bosco adduce,
E il suo profil si perde
Sfumato nell’azzurro e nella luce.
Chi sarà? dove va? La chioma bionda
Saettata dal sol di qui si vede:
Ella guata sull’onda,
Guata pei campi, origlia e poi procede.
È la più bella bimba del villaggio,
La più cara di tutte e la conosco:
Perchè questo viaggio?
Che diavol cercherà laggiù nel bosco?
Che si tratti d’amor? No certamente:
Troppo il pudor sul volto suo si vede:
Ella è troppo innocente...
No, no, mi sbaglio!.. Oh Dio, che mai succede?
Esce un uomo dal bosco... è un uom davvero!..
Io che nel fuoco avrei messo la mano!
Madonna, come è nero!
Ah...! corpo d’una bomba!.. è il cappellano...
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Basta, basta così — Non è più al trotto
È alla carriera che si va — Fermiamo —
E tu mio bel strambotto
Vanne a Bologna e per me dille: — Io t’amo,
T’amo ed affretto il dì del mio ritorno,
T’amo, t’adoro, t’idolatro e dico:
S’io ti scordassi un giorno,
Ch’io dondoli appiccato a questo fico!
Falconara 1874.